I consigli di scrittura di Luciano Funetta, una delle voci più originali del romanzo distopico

Per aiutare chi ha un romanzo nel cassetto e lo vuole pubblicare questa volta abbiamo chiesto qualche consiglio a un maestro indiscusso del romanzo distopico, Luciano Funetta. Di origini pugliesi, Funetta vive attualmente a Roma e lavora in una libreria. Il suo primo romanzo, Dalle rovine, finalista al premio Strega 2016, è stato accolto con grande entusiasmo dalla critica. I suoi racconti sono stati pubblicati in varie riviste, tre le quali “Granta Italia”, “Watt” e “Costola”. Fa parte del collettivo di scrittori TerraNullius. Presso Chiarelettere è uscito il secondo romanzo, Il grido (2018), con il quale la Lettura – Corriere della Sera lo ha consacrato come “una delle voci più originali e ammalianti della nostra produzione letteraria.”

“Una scrittura meravigliosa, una grande promessa.” Marcello Fois, l’Espresso

 

Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?

Il mio primo romanzo, Dalle rovine, è stato pubblicato da Tunué alla fine del 2015, nella collana di narrativa italiana diretta da Vanni Santoni. Sono stato fortunato a finire nel loro catalogo: la collana aveva attirato su di sé una certa attenzione di cui il mio libro, con inquietante e impensabile tempismo, ha beneficiato.

Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editore e con l’editor della casa editrice?

Agli editori che hanno investito sul mio lavoro non posso che essere riconoscente per numerose ragioni, alcune delle quali decisamente prosaiche. Gli editor con cui ho lavorato sono sempre stati fonte di sguardo, dubbio e consapevolezza.

Quando scrivi pensi a un lettore ideale?

No. Quando scrivo penso a scrivere. Penso ai miei maestri e alla vergogna che proverei se potessero leggere quello che scrivo. Immagino che la letteratura progredisca, o tenti di progredire, per questo: non perché si desidera essere letti, ma perché i maestri muoiono.

Che importanza hanno le riscritture?

Le riscritture ci salvano dal fantasma dell’irrimediabile, ma soprattutto dalla vanità della perfezione.

Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?

Leggere, farsi un’idea di quello che gli succede intorno e seguire il proprio percorso; divertirsi, scrivere almeno una frase al giorno, non cercare l’approvazione di chi sembra depositario di un potere, perché quel potere è una messinscena; coltivare uno sguardo; ascoltare musica, fare come il Kapen di Witkiewicz, ovvero non tollerare freni di nessun genere.

Fai parte di TerraNullius, un collettivo di autori. Ci spieghi in cosa consiste il progetto e quanto questa esperienza influisce sulla tua scrittura?

TerraNullius è un organismo che da tredici anni vive da qualche parte tra Roma, Torino, Rio de Janeiro, Buenos Aires, San Pietroburgo, Atene e Saigon. Nel corso della sua esistenza si è manifestato in forma di rivista – il cui archivio è spulciabile su www.terranullius.it -, in forma di libri pubblicati, di libri pirata, di festival letterari, di incursioni pubbliche e di notti private. L’unica cosa che è importante sapere sul collettivo, di cui faccio parte dal 2012, è che probabilmente si tratta di un laboratorio di visioni, prospettive e individualità. Non abbiamo un manifesto né un programma. Piuttosto lavoriamo alla stesura schizofrenica di un’unica opera collettiva, un libro che non potrà mai essere stampato o pubblicato da nessun editore, perché contiene anche le nostre vite. Al momento TerraNullius è abitata da Luca Moretti, Massimiliano Di Mino, Pier Paolo Di Mino, Veronica Leffe, Lorenzo Iervolino, Marco Lupo, Benedetta Sonqua Torchia, Gianluca Cataldo, Maria R. Tedesco, Mattia Leo e dal sottoscritto. A loro e a tutte le persone che sono passate per TerraNullius nel corso degli anni devo innanzitutto il dono dell’amicizia.

 

I giudizi della stampa su Il grido:

“Luciano Funetta, dopo il bellissimo e straniante Dalle rovine, torna con la sua scrittura e il suo immaginario, che trascinano – strattonandola – la distopia in un iperrealismo scuro, nutrito dai nostri incubi e dalle nostre paure, in cui la certezza del concreto si sfarina nel possibile e la visione nel plausibile.” Marco Di Marco, Mucchio

“Per attraversare Il grido, il nuovo romanzo di Luciano Funetta, bisogna allentare i freni inibitori, lasciarsi tentare dall’irrazionale, dalle voci che arrivano dall’oltremondo e risalgono dal passato.” Raffaella De Santis, Robinson – la Repubblica

“Accoccolatevi su una sedia comoda e ritagliatevi qualche ora di pace. Perché questo libro, un po’ fantasy e un po’ pulp, va cotto e mangiato, letto e finito, richiede una pura – e non disturbata – immersione nella fantasia più sfrenata che spesso, in letteratura, significa anticipazione dei tempi.” Donatella Tretjak, Il Piccolo

“In questo nuovo romanzo, Funetta mette in gioco una maestria che forse si può apprendere solo dopo molti anni di esercizio.” Valentina della Seta, Il venerdì di Repubblica

Dobbiamo sempre credere all’amore?

Pina Bertoli è autrice di Infondate ragioni per credere all’amore, romanzo edito da IoScrittore.

Il libro in una frase
Una vita non basta per dimenticare un amore a cui ci si è illusi di poter rinunciare.

Amici di scaffale
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini e Anne Tyler, Una spola di filo blu, perché amo il dipanarsi delle storie familiari.
John Williams, Stoner, perché le vite ordinarie nascondono emozioni straordinarie.
Mordecai Richler, La versione di Barney, perché gli eroi imperfetti sono più intriganti.

Segni particolari
Un protagonista imperfetto, una famiglia ingombrante, due donne da amare.

Tag
#passioneeillusione #ancoratu

Dove e quando
In Toscana, dagli anni Cinquanta al 2000.

Come e perché ho deciso di partecipare a IoScrittore
Ho scoperto il torneo su internet e mi ha subito convinto perché prevede dei passaggi ben precisi, il coinvolgimento con il doppio ruolo di scrittore e lettore/recensore e perché è promosso da un grande gruppo editoriale, in modo serio e trasparente.
Stavo scrivendo il mio romanzo e ho pensato che il torneo mi avrebbe dato la grande possibilità di sottoporlo al giudizio di altri lettori e aspiranti scrittori.

 

“Infondate ragioni per credere all’amore”: l’ebook di Pina Bertoli, tra i finalisti di IoScrittore

Pina Bertoli è tra i finalisti del torneo letterario gratuito IoScrittore (promosso dal Gruppo editoriale Mauri Spagnol) con Infondate ragioni per credere all’amore, romanzo in uscita in ebook che, attraversando gli anni e la Storia, racconta di un amore in grado di abbattere le barriere sociali…

Le vite di Francesco e Maria non sembravano destinate a incontrarsi. Lui è un giovane inquieto, schiacciato da una famiglia ricca e autoritaria nella quale sente di non avere posto, e lei un’operaia orfana di madre e con fratelli e sorelle da aiutare. Francesco non sa cosa vuole, ma sente il peso delle aspettative sempre deluse dei suoi genitori, vive ogni giorno la frustrazione del ribelle senza causa. Maria guarda con fiducia al presente e all’avvenire, sognando di raggiungere una serenità semplice e duratura. Quando il caso li fa incontrare, sboccia tra loro la passione, un amore capace di abbattere i confini sociali che dovrebbero tenerli separati. Ma tutto questo non basta. Perché l’amore non sempre è capace di cancellare i fantasmi del passato, le frustrazioni e le rinunce per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, e dentro Francesco ancora si agitano le ferite di una giovinezza che sente sprecata, mentre Maria cercherà di restargli accanto nei rovesci della sorte, con la sua incrollabile determinazione e la sua forza calma e dolce.

L’autrice di Infondate ragioni per credere all’amore è nata a Lucca negli anni Sessanta e si è laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l’Università di Pavia, con una tesi sui Sonetos del amor oscuro di Federico García Lorca. Ha alle spalle una carriera aziendale ventennale come manager e consulente in aziende di servizi. È autrice del blog letterario ilmestieredileggere.

Fonte: www.illibraio.it

Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018, risponde alle domande di IoScrittore

Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018, risponde alle domande di IoScrittore offrendo preziosi consigli a chi sogna di pubblicare un romanzo. Nata a Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, da oltre trent’anni vive in Italia. Dopo Lezioni di tenebra, Cibo e Le rondini di Montecassino, con La ragazza con la Leica (Guanda, 2017), il suo quarto romanzo, si è aggiudicata anche il Premio Bagutta ed è finalista al Premio Campiello 2018. Cofondatrice del blog letterario “Nazione Indiana”, ha collaborato con “Nuovi Argomenti”, “Alfabeta2” e “Lo Straniero”.

“Helena scrive a voce asciutta il suo italiano caparbio e preciso che sa schioccare e bisbigliare.” Erri De Luca

 

Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?

Collaboravo da qualche anno con Mondadori, quando mi è capitato di scrivere Lezioni di tenebra. Si era creato un buon rapporto con gli editor di narrativa che furono tra i primi a leggere il dattiloscritto. Tenevo molto al parere di Antonio Franchini, all’epoca responsabile della narrativa italiana, ma colui che decise di pubblicarlo è stato Andrea Cane che era a capo di tutta la narrativa Mondadori.

Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editor della casa editrice?

Non sono mai stata un’autrice di troppe pretese. In cambio però chiedevo di lavorare in pace, con i miei tempi piuttosto elefantiaci, con una nozione di data di consegna parecchio elastica. Apprezzo molto che sia Mondadori che Guanda mi abbiano concesso fiducia e pazienza. Non ho mai trovato editor che non fossero attenti e rispettosi verso i miei testi, ma una menzione speciale va senz’altro a Laura Bosio. È stato un privilegio lavorare con una editor del cui occhio e orecchio fidarsi totalmente.

Quando scrivi pensi a un lettore ideale?

Il “lettore ideale” è un insieme di persone per me importanti con cui, scrivendo, entro in dialogo. È un processo in buona parte inconsapevole, ma so che scrivo sempre per qualcuno.

Che importanza hanno le riscritture?

Non faccio mai una prima stesura e poi rielaboro. Sono lentissima, torno sempre sulle pagine scritte nei giorni prima per lavorare sul ritmo e sulla tenuta sostanziale del racconto: dettagli, dialoghi, personaggi. Poi, una volta arrivata in fondo, si comincia a sfrondare, ma anche a sviluppare meglio ciò che non risulta ancora ben definito. Quanti passaggi di revisione da cima a fondo ci vogliono dipende, però, dal “vento” più o meno favorevole che ha accompagnato il processo di scrittura.

Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?

Leggere molto. Leggere scrittori e scrittrici italiane e non solo autori contemporanei, possibilmente. Cercare di capire quali sono i pensieri, i sentimenti, le esperienze che lo spingono a scrivere, senza che questo sia da intendersi come un invito a partire da scritture autobiografiche.

 

I giudizi della stampa su La ragazza con la Leica:

“Gerda Taro era una di quelle creature incantate, capaci di eccellere in qualsiasi cosa, con una speciale vocazione per la vita. La gente si innamorava di lei, e lei amava con libertà.” Elena Stancanelli, D – la Repubblica

“Gerda, di fronte agli orrori non fuggiva ma scattava, scattava tre volte… Una storia di coraggio e determinazione che lascia senza fiato e con un senso di vuoto, come se anche noi l’avessimo conosciuta.” Francesca de Sanctis, Il venerdì di Repubblica

“Una scrittura sapiente e una partecipazione emotiva che si trasmette al lettore, un equilibrio raro.” Eliana Di Caro, Il Sole 24 Ore

“Una prosa tesa, frammentaria, affascinante e un’architettura narrativa che sfiora il capolavoro.” Wlodek Goldkorn, L’Espresso

“Perché ci si sente in dovere di scrivere?” Patti Smith si racconta in “Devotion”

“Posso analizzare come, ma non perché ho scritto quello che ho scritto, o perché sia stata così subdolamente deviata dal percorso iniziale”, scrive Patti Smith nel libro Devotion. Perché scrivo, tradotto da Tiziana Lo Porto e pubblicato da Bompiani, casa editrice che aveva già portato nelle librerie italiane l’ultimo memoir della poetessa punk, M Train.

patti smith

Devotion è un librino tripartito che ruota attorno all’ispirazione, “la variabile imprevista, la musa che assale all’ora ignota”. La prima sezione, intitolata Come funziona la mente, ricostruisce il momento in cui Patti Smith, durante un viaggio in treno in Francia, scrive un racconto in cui riunisce le suggestioni raccolte nei giorni e nelle settimane precedenti. Il film In the Crosswind di Martti Helde sugli estoni deportati in Siberia nel 1941, Incidente notturno del Premio Nobel Patrick Modiano, il viaggio a Parigi, il ricordo di Simone Weil sono solo alcuni degli elementi che l’autrice assorbe nei giorni che precedono la scrittura del racconto. E che la ispirano quando, sul treno, continua “a scrivere freneticamente, come risuscitata da un mare di ricordi”.

Una tendenza, quella della poetessa, scrittrice e cantautrice di mettere a nudo i propri riferimenti culturali e le fonti di ispirazione che i lettori avevano già scoperto – e apprezzato – nei suoi due precedenti memoir, Just Kids (Feltrinelli), in cui racconta i suoi primi anni a New York e l’amicizia con Robert Mapplethorpe e i beatnik, e M Train in cui invece ripercorre, come in un flusso di coscienza, viaggi, memorie e suggestioni raccolte negli anni, tra cui l’amore per le serie tv poliziesche e la fascinazione per Haruki Murakami.

Dalla scrittura frenetica sul treno nasce Devozione, il racconto vero e proprio, riportato nella seconda parte del libro. C’è “una piccola Simone Weil”, Eugenia, che vive nel bosco e ama pattinare. Alexander la guarda volteggiare sullo stagno ghiacciato di nascosto e se ne innamora. I due vivono una storia surreale, tra Parigi e la Russia, che nasce dalla devozione dell’uno verso l’altra.

Chi segue Patti Smith, però, sa che solitamente la sua routine è ben diversa: come ha raccontato in un post sul suo account Instagram per scrivere l’autrice ha bisogno di sedere alla sua scrivania attorno alla quale ha sparso l’aroma del tè oolong. In M Train, invece, ha raccontato lo shock di veder chiudere il Caffè’ Ino, luogo in cui era solita “accamparsi” per scrivere, sorseggiando una tazza di caffè nero.

La narrazione della quotidianità da “antidiva” è parte sia dei suoi memoir, in cui racconta di pasti frugali a base di minestrone, spaghetti e toast, sia del neonato account Instagram, dove quasi ogni giorno posta foto che raccontano una vita fatta di piccole incombenze, come il bucato e il gatto da sfamare, ma anche di momenti dedicati alla scrittura e al ricordo dei suoi modelli. Non è raro, infatti, che Patti Smith – che ha da poco ammesso proprio sul social network di faticare a scattarsi dei selfie – celebri grandi della letteratura e delle arti ormai scomparsi. E le didascalie, che non contengono mai nemmeno un hashtag, sono delle vere e proprie poesie, con tanto di a capo.

Perché ci si sente in dovere di scrivere?“, domanda Patti Smith al lettore alla fine del libro. Un dubbio che sembra assalire l’autrice per tutta la stesura dello stesso. Siamo nella sezione Un sogno non è un sogno: Patti ha visitato la casa di uno dei suoi miti, Camus. Passeggiando per la campagna francese, con un mozzicone di matita in tasca, medita sul suo desiderio: “Scrivere qualcosa di bello, che sia migliore di me, e che giustifichi le mie tribolazioni e indiscrezioni”. Ed errando per le campagne, trova una risposta alla domanda che apre la terza sezione del libro: “Perché non possiamo soltanto vivere”.

Fonte: www.illibraio.it

Come riconoscere un libro che sfonderà

Il romanzo di uno scrittore esordiente può catturarti in mille modi, per una copertina accattivante, per una storia ben costruita o per una recensione ben fatta. Negli anni trascorsi a leggere, sia per professione sia per passione, abbiamo acquisito una certa abilità nel riconoscere il libro dell’esordiente che sfonderà, abbiamo affinato le nostre capacità.

Le persone varcano la soglia della libreria per motivi diversi, ma esiste un filo conduttore che le unisce ed è la voglia di trovare un libro in cui potersi rispecchiare, ritrovare, un libro che le faccia emozionare, con il quale si crea una speciale alchimia, che le sappia catturare fin da subito leggendo il risvolto di copertina. A volte questo matrimonio è immediato, a volte molto meno, a volte non riesce per nulla.

In un periodo in cui tutti vogliono essere scrittori e pochi vogliono essere lettori, in cui non tutti hanno una storia che valga la pena di essere raccontata, ci capitano tra le mani libri speciali, scritti da persone speciali, libri che già sai che saranno un successo e non per quanto abbiamo già detto, ma semplicemente perché la storia raccontata è autentica.

L’anno scorso abbiamo presentato il libro d’esordio di un giovane autore locale e gli ingredienti per avere un successo assicurato c’erano tutti: infatti l’esordio letterario è stato travolgente, come travolgente è stata la presentazione del libro.

Cosa aveva da raccontare? La sua vita, la rinascita dopo una malattia che poteva togliergli la vita, i suoi viaggi, le persone che ha incontrato nel mondo, il suo percorso come essere umano per diventare una persona migliore.
Nel nostro vissuto da librai, tra i tanti autori emergenti che abbiamo conosciuto e che hanno raccontato storie bizzarre o fantastiche, romanzi storici o gialli, premiamo come ricordo più vivo e acceso la storia vera di una vita straordinaria narrata dall’autore stesso che non si è risparmiato negli incontri con i lettori, conquistandoli con la sua umanità e la sua semplicità.

Da un maestro indiscusso del giallo storico, Giulio Leoni, i preziosi consigli su come pubblicare un libro

Giulio Leoni, nato a Roma, autore di gialli storici e di narrativa del mistero, è tra gli scrittori italiani di genere più conosciuti all’estero, grazie anche alla fortunata serie di avventure investigative che hanno come protagonista Dante Alighieri. Per diversi anni è stato insegnante delle scuole superiori e ha tenuto corsi di Teoria e Tecnica della Scrittura Creativa presso l’Università la Sapienza di Roma. Per la casa editrice Nord sono usciti Il manoscritto delle anime perdute, L’occhio di Dio, La sindrome del diavolo, Il testamento del Papa e Il Principe. Il romanzo di Cesare Borgia (2018).

 

Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?

Per molto tempo mi sono occupato di poesia e critica letteraria, prima di passare alla narrativa. Il mio primo romanzo, La sequenza mirabile, non trovò subito un editore, e mentre ero ancora alla sua ricerca ne inviai un secondo, Dante Alighieri e i delitti della Medusa, al premio Tedeschi del 2000. Risultato vincitore, fu pubblicato nella collana Il Giallo Mondadori.

Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editor della casa editrice?

Incontrare un buon editor è una fortuna per lo scrittore. Naturalmente occorre che si realizzi un’alchimia molto particolare: l’editor deve apprezzare lo stile e i temi di chi scrive, in modo da non premere per snaturarlo, ma allo stesso tempo deve essere vigile sugli errori e sugli sbandamenti che inevitabilmente avvengono durante il processo creativo. L’importante è che ci sia insomma stima reciproca, e il risultato è garantito. Personalmente sono stato sempre fortunato nel rapporto, non ho mai avuto “conflitti” particolari con l’editor, e quando raramente è avvenuto devo confessare che quasi sempre aveva ragione lui.

Quando scrivi pensi a un lettore ideale?

Certamente. Io immagino il mio lettore come un’estensione della cerchia di amici con cui mi trovo a discutere normalmente nella vita quotidiana. E che quindi in una qualche forma mi somigli.
Immagino che possa appassionarsi agli stessi enigmi, che abbia le mie stesse curiosità e che quindi possa gradire quelle storie che scrivo per lui perché sono quelle stesse che a me piacerebbe leggere o ascoltare.
Penso in definitiva che si scrivano proprio quei libri che ci piacerebbe leggere, e che il nostro lettore debba assomigliarci, essere lo stesso di Baudelaire, Hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère!

Che importanza hanno le riscritture?

Fino alla fine ogni romanzo è oggetto di mille ripensamenti, cambiamenti; le storie e i personaggi hanno una loro logica interna, che spesso costringe a cambiare il piano iniziale per obbedirvi.
In questo Pirandello aveva dannatamente ragione, quando affermò che i personaggi vivono di una vita propria. A me è capitato più volte di cambiare in corso d’opera elementi importanti, perfino in un paio di gialli il nome dell’assassino, quando scoprivo che la logica della vicenda strideva con questa o quella mia idea iniziale. Riscritture vere e proprie invece non ne ho mai fatte, salvo qualche opera di ripulitura linguistica in occasione di riedizioni a distanza di anni, ma solo di piccoli particolari. In genere evito di essere troppo attuale, nello stile e nel linguaggio, e questo forse mi salva dall’invecchiamento precoce.

Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?

Uno solo, semplice e banale, e sempre lo stesso: leggere molto, leggere tutto. Non esiste scuola di scrittura che valga quello che si impara studiando quello che hanno fatto gli altri. E seguire sempre il consiglio di Leopardi, leggere prima i classici e poi gli altri. Soprattutto la grande narrativa dell’Otto-Novecento. Facendo così a poco a poco nascono le passioni e le preferenze, e si scopre il genere verso cui ci si vuole orientare. A questo punto occorre un po’ di specializzazione: se si decide ad esempio per il genere giallo, occorre preventivamente la lettura di almeno due-trecento racconti di questo genere. Questo per due motivi: accumulare un vasto magazzino di situazioni, personaggi e trame da tenere presenti, e allo stesso tempo conoscere quello che è stato già fatto per evitare ingenuamente di ripeterlo. Le nuove idee nascono sempre dallo studio e dalla riflessione su quello che già esiste.
È in fondo la famosa “bottega” rinascimentale, quella che poi sfornava i Leonardo e i Botticelli.

Le trame dei tuoi romanzi si sviluppano su uno sfondo storico ricostruito sempre con grande precisione. Come organizzi tutto questo lavoro nella tua officina di scrittura? Quanto tempo dedichi allo studio e come riesci a fare incontrare personaggi reali e finzione narrativa?

Mi faccio guidare da un’altra mia passione, quella per il cinema, e organizzo lo sfondo storico dei miei racconti come uno scenografo organizza il set della ripresa. Sto attento a ogni particolare di quello che compare “in scena”, facendo al riguardo ogni ricerca possibile. Se vi compare un abito, un edificio, una macchina cerco di evitare ogni ucronia, mentre non presto troppa attenzione a quello che avviene fuori scena. Nei miei racconti non c’è mai alcuna nota, alcun raccordo storico, alcuna spiegazione: quello che importa è quello che avviene sulla pagina, e deve essere sufficiente per seguire lo sviluppo della storia. Se un racconto ha bisogno di spiegazioni significa solo che la narrazione ha qualche difetto, ed è quello che cerco di evitare con tutte le mie forze.
Al lettore deve essere consentito il piacere della scoperta, leggendo deve stare solo un passo indietro al narratore e avere continuamente l’illusione di averlo raggiunto salvo poi trovarsi davanti una nuova sorpresa. E la soluzione deve arrivare quando mancano solo poche righe alla fine, evitando accuratamente quegli “spiegoni” di interi capitoli che chiudono tante narrazioni. L’investigatore che a due terzi del racconto riunisce tutti i personaggi da qualche parte e comincia una dettagliata spiegazione di come è andata la faccenda era un topos del giallo classico, ma personalmente lo trovo oggi improponibile.
Quanto al lavoro di ricerca, qui sfrutto furbescamente la mia ex professione di insegnante di storia, che mi facilita ovviamente, aiutato ulteriormente dal fatto che i periodi della storia che meglio conosco (il medio evo-rinascimento e l’età tra le due guerre mondiali) sono gli stessi in cui preferisco ambientare le mie storie. Per cui tutto il lavoro si riduce alla verifica di alcuni particolari senza necessità in genere di ulteriori grandi ricerche. Il grosso del lavoro va tutto all’opera di trasformazione di una risma di carta bianca in romanzo, e questa è tutta un’altra storia. Questa è la vera sfida per ogni scrittore, arrivare alla fine: se si potessero mettere in fila tutti i romanzi cominciati e non finiti si arriverebbe comodamente sulla Luna.

 

I giudizi della stampa su Il Principe. Il romanzo di Cesare Borgia:

“Giulio Leoni è abilissimo a ri-raccontare a ritroso le vicende di un figlio illegittimo, condottiero spregiudicato e politico ambizioso come Borgia che svelerà la sua vera identità a un testimone speciale: Leonardo da Vinci.” Luca Crovi, il Giornale

“Cesare Borgia, il Valentino, il condottiero che ha riempito le pagine di geni come Francesco Guicciardini e Niccolò Machiavelli che a lui si ispirò per Il Principe; ha stregato saggisti, romanzieri, studiosi di ogni epoca. Anche oggi, a oltre cinque secoli di distanza, l’autore di gialli storici Giulio Leoni, ci restituisce la sua figura ammantandola di suspense.” laLettura – Corriere della Sera

Scrivere un romanzo: i consigli di Hanne Ørstavik, la più grande scrittrice norvegese contemporanea

Hanne Ørstavik arriva dal profondo Nord, è nata a Tana un paesino della Norvegia di tremila abitanti e a 16 anni si è trasferita a Oslo. Scrittrice e intellettuale tra le più interessanti nel panorama europeo, ha pubblicato quattordici romanzi, tradotti in ventisei lingue, vincendo numerosi premi. Questa volta i consigli per aiutare chi ha un romanzo nel cassetto, li abbiamo chiesti a lei. Il primo romanzo di Hanne Ørstavik pubblicato in Italia, A Bordeaux c’è una grande piazza aperta (Ponte alle Grazie), è stato definito da Repubblica: “Un Aspettando Godot dell’amore per interrogarsi sul sentimento più scivoloso che ci sia.” Sempre da Ponte alle Grazie è uscito anche il suo secondo romanzo, Amore.

“Hanne Ørstavik si riconferma la grande ‘pittrice’ della letteratura norvegese.” M.R. Granlund

 

Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?

Sono norvegese, e in Norvegia si manda il manoscritto direttamente all’editore. Io l’ho mandato alla mia casa editrice preferita, Oktober Forlag, e dopo una lunga attesa di fronte alla cassetta delle lettere (era nel 1993, prima dell’email), mi hanno scritto che erano interessati e volevano incontrarmi. Era capodanno. Nell’autunno il romanzo è uscito.

Che cosa ti ha dato il rapporto con la tua editrice?

È un rapporto importantissimo e profondo. È la mia prima lettrice fuori da me stessa. Ho bisogno di molto supporto, che lei mi aiuti a credere in quello che scrivo. Non ho bisogno che intervenga, e non lo fa. È una lettrice che ascolta il mio testo e se mi fa domande sul testo, so che lo fa perché ci sono cose che posso ancora fare.

Quando scrivi pensi a un lettore ideale?

Penso solo a me, io sono il mio lettore ideale. Scrivo il testo di cui ho bisogno io. Ma sono molto grata che esista la mia editrice, mi rende sicura che lei sia lì, nel mondo, accanto a me con il testo, perché so che è tanto leale al mio progetto.

Che importanza hanno le riscritture?

Non riscrivo mai. Scrivo di più, dove ci sono punti vuoti o buchi che vedo dopo. Ma non riscrivo. Aggiungo.

Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?

Fai a modo tuo. Non esiste un modo giusto, esiste solo il tuo. Cerca quello che ti aiuta, quello che ti fa credere in te e nel tuo testo. Sii molto selettivo nello scegliere le persone a cui far leggere il tuo testo. Segui la tua intuizione, lo stomaco. Non pensare. Scrivi quello che hai da scrivere.

Quanto la tua creatività artistica e la tua scrittura sono influenzate dalle altre arti?

Non ascolto quasi mai la musica, sono “molto visuale”, sono molto interessata alle forme e alle strutture, nei film, in architettura o nell’arte visiva, disegni, quadri, video, sculture, tutto. A volte, come in A Bordeaux c’è una grande piazza aperta, la mia protagonista è una artista. Questo mi dà la possibilità di riflettere sull’arte, una riflessione che riguarda sia la scrittura che le altre arti. E poi, trovo che la forma di un romanzo, che per me è fatta anche dalle linee, dalla geometria del testo, fa parte del senso del testo, dà al testo un livello di senso in più. Anzi, quando scrivo vedo il testo come una struttura architetturale, è fatto di parole, ma diventa uno spazio, fisico, voglio aprire questo spazio, per poterci entrare, corporalmente, farci entrare anche i lettori, poter essere lì.

 

I giudizi della stampa:

“Hanne è bravissima a raccontare la disperazione della solitudine, della difficoltà di essere amati e amare, di incontrare l’altro veramente: temi di cui a volte la letteratura contemporanea ha paura e lei invece indaga senza pudore. È straordinario come riesca a trasformarli in arte.” Daria Bignardi, Vanity Fair

“Arriva per la prima volta in Italia un romanzo di Hanne Ørstavik, la pluripremiata e intensissima scrittrice norvegese, 48 anni, bellezza insidiosa alla Giovanna d’Arco e stile crudo e raffinato. Nel quale risaltano le passioni per l’esistenzialismo francese, Carl Gustav Jung, Virginia Woolf.” Elisabetta Muritti, D – la Repubblica

“Un vero capolavoro, che mostra il controllo assoluto dell’autrice sulla scrittura. Hanne Ørstavik racconta i desideri carnali, il sentirsi traditi, in una prosa senza veli e sicura, alla quale è impossibile resistere. A tratti si è lì, nel corpo del narratore.” Expressen