C’era una volta… una storia

La forza di un romanzo nasce prima di tutto dalla volontà di raccontare. Il bisogno di narrare è una caratteristica profondamente umana, che riscopriamo ogni volta in maniera diversa.
Si è molto discusso negli anni Sessanta della fine del romanzo. Parevano superate le forme tradizionali del racconto con il suo inizio, “C’era una volta…”, le peripezie degli eroi e dei cattivi, e la fine più o meno lieta, “E vissero per sempre felici e contenti” oppure “Il resto è silenzio” se sono morti quasi tutti. Il narratore e i personaggi sembravano svanire o disintegrarsi nella moltiplicazione dei punti di vista, di una soggettività sempre più fragile. Pareva impossibile raggiungere l’obiettivo dei grandi romanzieri novecenteschi, ovvero ricondurre la complessità del reale all’interno di un’unica storia. La voce umana pareva affievolita, annichilita dall’orrore come quella di Dio, dopo la Shoah e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Poi il bisogno di raccontare e di raccontarsi ha preso di nuovo il sopravvento. Uomini e donne non possono smettere di innamorarsi, di viaggiare scoprire nuovi mondi fuori e dentro di sé, di combattere nuove battaglie, di lottare per la loro dignità e libertà… Narrare non significa solo mette in fila fatti e informazioni. Significa prima di tutto trasmettere uno sguardo sul mondo e una esperienza.
Oggi, ancora una volta, l’arte di raccontare pare in pericolo. Le nuove forme della comunicazione sono basate sulla sintesi. Non si tratta soltanto dei 140 caratteri di un tweet: i testi brevi sono in genere la regola della comunicazione in rete. Siamo invasi dalle immagini e dal loro potere. Sempre più spesso la parola è ridotta a didascalia, a supporto di icone di forte impatto emotivo: i gattini nella bottiglia, o il terrorista con la pistola.
In questo orizzonte le storie, che sembrano condannate alla marginalità, hanno un ruolo ancora più importante, forse ancora più cruciale dello smascheramento delle bufale, come i gattini nella bottiglia, o dell’interpretazione storica, sociale e politica di un’immagine sensazionale, come lo scenario di una strage.
Le storie sono indispensabili tra l’altro per:
# costruire la nostra identità personale: è attraverso le storie che raccontiamo, a cominciare dalla nostra autobiografia, e persino dal nostro curriculum vitae, che raccontiamo agli altri e prima di tutti a noi stessi, chi siamo; mentre raccontiamo le nostre esperienze, stiamo già cambiando;
# costruire una identità collettiva: le storie ce le scambiamo, quando le raccontiamo agli amici ma anche quanto pubblichiamo un libro; così nascono le identità collettive, che siano nazionali, religiose, culturali, generazionali, eccetera: sono il frutto di narrazioni condivise;

# rendere conto della molteplicità dei punti di vista: ogni storia è un intreccio di voci e di sguardi; ogni personaggio ha le sue, ogni personaggio si mette in relazione con quelli degli altri personaggi; raccontare una storia significa ogni volta mettersi nei panni di qualcun altro, di molti altri, significa mettersi dalla parte dell’Altro, compresi mostri e serial killer che incarnano il male; chi racconta una storia deve essere consapevole di questa ricchezza, con tutte le emozioni che ciascuna figura porta dentro di sé;
# rendere conto della complessità del reale: raccontare una storia significa in primo luogo creare l’universo in cui si svolge: i paesaggi ma anche i rapporti sociali tra i personaggi; significa selezionare o inventare gli elementi necessari a costruire un mondo magari diversissimo dal nostro, ma dotato di una sua coerenza interna;
# immergersi nel flusso del tempo: un racconto non è una collezioni di immagini, ma il rapporto che lega un’immagine all’altra; raccontare una storia significa essere consapevoli che le nostre esistenze cavalcano la freccia del tempo, che c’è un prima e c’è un dopo, significa credere, o illudersi di credere, che abbiamo un destino;

# immaginare mondi possibili, belli o brutti, l’apocalisse oppure l’utopia; le storie servono per farci capire che la realtà non è una condanna, che esistono mondi alternativi, antropologie diverse e molteplici; i romanzi ci fanno intuire che possiamo possiamo cambiare la realtà, quella personale e quella politica, e provare a plasmarla secondo i nostri desideri;
Per questo oggi, nella civiltà del frammento e dell’immagine, raccontare storie è una responsabilità ancora più terribile e meravigliosa.
 
L’errore da evitare

Non saper rispondere alla domanda: da che punto di vista il lettore “osserverà” la storia che sto raccontando?
È vero che ogni romanzo è polifonico, nel suo intreccio di voci e punti di vista. Ma è importante che il lettore capisca in ogni momento chi sta parlando, qual è il punto di vista da cui vede il mondo. Chi scrive un romanzo può trovare varie soluzione: il narratore onnisciente dei grandi romanzi ottocenteschi, il punto di vista soggettivo dell’Io narrante, la molteplicità delle voci, come hanno insegnato James Joyce e William Faulkner. Può anche giocare a sorprendere il lettore. Ma deve sempre essere consapevole del punto di vista che sta adottando: è la base del patto di fiducia che stabilisce con il lettore
 
Il consiglio di IoScrittore

Prova a riassumere la storia che stai raccontando. Puoi farlo prima, se ragioni in termini progettuali e hai bisogno di un piano di lavoro, con la scansione dei capitoli, la successione dei colpi di scena, la scelta delle ambientazioni. Oppure lo puoi fare dopo aver completato il romanzo, se preferisci utilizzare la scrittura come strumento di scoperta e di conoscenza.
Che tu lo faccia prima o dopo, però, prova a fare un riassunto. Anzi, più di un riassunto:
# un microriassunto, non più di un tweet o due, come nei tamburini cinematografici. “Due ragazzi si amano, le famiglie non voglio, finirà male”. Forse l’avete già sentita, ma una storia così funziona sempre, a saperla raccontare in modo nuovo. E se è una storia che nessuno ha mai raccontato, molto meglio… anche se è quasi impossibile inventare storie davvero nuove. Un riassunto così breve servirà a chi dovrà proporre il vostro romanzo ai librai e ai lettori: ci sono così tanti libri (e storie) in giro, bisogna essere sintetici ed efficaci;
# un riassunto di una pagina (sinossi). E’ quello che serve a un agente o a un editor per capire se vale la pena di iniziare a leggere il vostro manoscritto. Vengono delineati i personaggi, gli scenari, le situazioni. Si capisce meglio lo sviluppo della storia: “Finisce male… Ma come?”.
# uno schema dettagliato, capitolo per capitolo. Serve a voi, per capire se la storia è credibile e coerente, per seguirne lo sviluppo, per tenere sotto controllo una materia ricca e complessa, per capire l’evoluzione dei protagonisti. Serve per verificare che tutti i tasselli vadano al loro posto… Serve per dare un ritmo al racconto, attraverso la scansione dei capitoli.

Come scegliere il titolo giusto per un libro

Quali sono gli elementi che consentono a un lettore di identificare le caratteristiche principali di un romanzo? Certamente il nome dell’autore, ma soltanto se è già noto, perché ha scritto altri libro o per altri motivi. Nel caso di un autore esordiente, l’elemento più importante è di sicuro il titolo.

Il titolo è come la stretta di mano con cui ci presentiamo a uno sconosciuto: è l’impressione determinante, intima, che fonda una relazione.

Se stai pensando di partecipare a IoScrittore (attenzione, hai tempo fino all’8 febbraio), una delle domande che ti ossessionano è di sicuro “Qual è il titolo di questo libro?” Detto per inciso, anche questo è il titolo di un libro: un divertente saggio di logica di Raymond Smullyan.


Il titolo è determinante perché:

# incuriosisce il lettore. Può diventare un irresistibile veicolo di passaparola, magari grazie a una trasmissione televisiva: L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. Può far scattare risonanze profonde: La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Può essere semplicemente geniale: Tutto quello che avreste voluto chiedere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere) di Woody Allen: naturalmente le regole che valgono per i titoli dei romanzi valgono anche per i film…

# definisce il genere e dunque orienta e seleziona il pubblico. Cronache marziane di Ray Bradbury è un romanzo di fantascienza. La spia che venne dal freddo di John Le Carré, La biblioteca dei morti di Glenn Cooper o La linea nera di Jean Christophe Grangé suggeriscono il thriller. Sono storie d’amore Uno splendido disastro di Jamie McGuire, Le parole che non ti ho detto o I passi dell’amore di Nicholas Sparks, D’amore e d’ombra di Isabel Allende o Il gatto che aggiustava i cuori di Rachel Wells. Classici come I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift o Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne sono grandi avventure, così come Naufragio di Clive Cussler e Graham Brown o Il respiro del deserto di Marco Buticchi.

# influenza e orienta la lettura. Come leggeremmo l’Ulisse di James Joyce o Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust se avessero un altro titolo? Per Joyce, si trattava di collegare un romanzo ambientato a Dublino ai primi del Novecento all’archetipo omerico: senza il titolo, il lettore avrebbe avuto maggiori difficoltà a cogliere il rimando. Per Proust, si trattava di sintetizzare il senso più profondo della sua scrittura, tra autobiografia e filosofia.

L’errore da evitare
Un titolo non deve dire tutto, anche se è molto lungo. Anche il titolo deve evocare, affascinare, incuriosire. Tocca al lettore, come sempre, completare il lavoro con la sua immaginazione: se avete gettato l’esca giusta, sarà felice di seguirvi.

Il consiglio di IoScrittore
C’è chi inizia a scrivere e ha già in testo il titolo del suo romanzo: ma è solo una suggestione, una traccia da seguire, che forse non sarà il titolo definitivo. Un metodo per trovare il titolo migliore è fare un elenco con un decina di possibilità e via via scartare le soluzioni meno convincenti, fino a trovare il titolo giusto.
Editor e direttori editoriali di importanti case editrici hanno esplorato l’argomento nel primo capitolo dell’ebook gratuito scaricabile da IBS, Amazon, Kobo e tutti i negozi online: “Scrivere un libro (e farselo pubblicare veramente)
Che funzioni deve avere? Come trovarlo? Quali “regole” seguire e chi ha l’ultima parola nel dare il titolo a un romanzo?

Vi consiglio di scaricarlo qui.

E alla fine… il cartaceo

Il vincitore della pubblicazione in cartaceo del Torneo letterario IoScrittore edizione 2016 è Slave. Da qualche parte nel buio, una storia dal ritmo serrato, che vede due ragazze barbaramente uccise, una terza scomparsa. Le accomuna una doppia vita nascosta dietro a una facciata irreprensibile. Il commissario di Polizia Teresa Battaglia deve risolvere il puzzle mortale e combattere contro una malattia che minaccia di sgretolare la sua memoria.
Il romanzo è stato selezionato per la pubblicazione dalla casa editrice Longanesi. Queste le motivazioni della scelta nelle parole del direttore editoriale: «Questo thriller ci ha colpito per la competenza tecnica relativa agli aspetti procedurali delle indagini criminali, per la vividezza e l’umanità della protagonista e per il ritmo e i colpi di scena della trama. Il romanzo rivela una voce molto promettente nel panorama del thriller italiano, genere in cui Longanesi è protagonista da anni con autori come Donato Carrisi e Mirko Zilahy».
Al vincitore le congratulazioni della redazione del Torneo e un grande in bocca al lupo per la nuova avventura.

I consigli di Pontiggia agli aspiranti scrittori

Legata alla scuola di scrittura Belleville, è nata l’omonina casa editrice, con l’obiettivo di proporre saggi legati al tema della scrittura creativa. Il programma editoriale è a cura di Ambrogio Borsani e Roberta Cesana, direttrice della Scuola.

Proprio Belleville Editore ha recentemente pubblicato Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere di Giuseppe Pontiggia. Il libro presenta, per la prima volta a stampa, il cd audio e la trascrizione del ciclo di venticinque conversazioni che Pontiggia tenne, su invito di Aldo Grasso, per il programma Dentro la sera di Rai-Radio Due, tra maggio e giugno 1994.

Conversazioni sullo scrivere» di Giuseppe Pontiggia

Nei suoi toni pieni di misura e di passione, Pontiggia adotta un taglio “che non sia normativo e che eviti di imporre modelli”. In questo modo, cerca di indirizzare all’”avventura” dello scrivere, con un metodo d’insegnamento che non si illude di risolvere i problemi, ma li individua nella complessità dei loro significati e valori, sottoponendoli all’attenzione: “Io non incoraggio mai a scrivere, cerco di avvicinare ai problemi di chi scrive e a prenderne distacco”.

Fonte: www.illibraio.it

Aggiornamento vincitori IoScrittore 2016

A seguito di controlli da parte della redazione sulle opere vincitrici del torneo 2016, il romanzo Benedetta e Niccolò è stato squalificato, dal momento che non ha rispettato la regola dell’anonimato, prevista dal regolamento del Torneo.
Il nuovo romanzo vincitore del torneo è dunque I fantasmi del parco.
Al romanzo vincitore le congratulazioni della redazione di IoScrittore.

La bellezza e l’incanto nei racconti del FAI

La bellezza e l’incanto dell’Italia, dei suoi monumenti e dei suoi paesaggi sorprendono sempre, capaci come sono di creare suggestioni uniche che possono anche tramutarsi in letteratura.

E lo sanno senz’altro bene il FAI (Fondo Ambiente Italiano) e IoScrittore, il torneo letterario promosso dal Gruppo Editoriale Mauri Spagnol che ha da poco dato avvio alla nuova edizione per il 2017. Insieme infatti hanno dato vita a La bellezza e l’incanto. L’Italia del FAI. Edizione 2016, che raccoglie i dieci racconti vincitori del concorso letterario “L’Italia del FAI”, aperto agli aderenti FAI under 35 e autori di testi ispirati ai beni tutelati e valorizzati dal Fondo Ambiente Italiano. Il concorso, il primo di questo tipo organizzato dal FAI, è stato promosso dalla Presidenza FAI Lombardia in collaborazione con il Centro per il Libro e la Lettura, Artplace, Diplomati della Scuola Holden, IoScrittore e il Libraio.it.

La bellezza e l’incanto. L’Italia del FAI. Edizione 2016edita da IoScrittore, è già disponibile gratuitamente in formato online nei principali store online e al costo di 15 € nella versione cartacea.

«I racconti de La bellezza e l’incanto sono l’esempio di come un luogo possa essere presentato al pubblico in modo diverso dalla tradizionale spiegazione della storia, dell’arte e dello stile architettonico che lo caratterizzano – afferma Andrea Rurale, Presidente FAI Lombardia – Leggerli significa immergersi, con il cuore e con la mente, nella bellezza del nostro Paese».

 

LEGGI ANCHE – IoScrittore 2016, i vincitori del torneo letterario del Gruppo GeMS

 

«Il Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS) ha supportato con entusiasmo l’iniziativa del FAI pubblicando questo volume – dichiara Alessandro Magno, Direttore Area Digitale GeMS – Da anni, infatti, attraverso IoScrittore, GeMS dà la possibilità agli aspiranti autori di partecipare gratuitamente a un torneo letterario in rete e di confrontarsi con una comunità di attenti lettori e autori. In tal modo, non pochi partecipanti hanno raggiunto il grande pubblico e il successo. Inoltre, IoScrittore, nel corso degli anni, ha assegnato importanti premi tematici: è stato quindi naturale collaborare con il FAI per selezionare racconti capaci di unire la scrittura e la bellezza dei nostri luoghi».

 

Qui di seguito vi presentiamo uno dei dieci racconti finalisti, dedicato all’Antica edicola dei giornali, un piccolo gioiello liberty nel cuore di Mantova.

La Gazzetta, per favore

di Filippo Taddia

 

Si presentava così: “Vittorio Gandolfi, commerciante. Al vostro servizio” e ti porgeva la mano sudata.

Il suo mestiere consisteva nel partire dal paese che faceva buio, entrare in città verso l’alba e fino a metà mattina stipare il suo scalcagnato biroccio di tessuti, cordami, croste di artisti sconosciuti, immagini sacre e qualunque paccottiglia inutile i negozianti di Mantova tenessero in fondo al magazzino. Roba di nessun valore, truffe vere e proprie, ve lo dico io. Eppure giù a Castel d’Ario, a Bigarello, a Villimpenta e via così per tutta quella noiosa bassa senza orizzonte si spendevano volentieri una lira o due pur di mettersi in casa qualunque cosa provenisse dalla misteriosa ed esotica città. Fosse anche un quadro di un santo inesistente o un mobile d’epoca appena costruito, per citare due delle vendite più famose.

Ogni giorno, prima di rientrare, il Vittorio si fermava da noi in edicola e l’Ulisse, mio padre, gli imbustava quattro copie dellaGazzetta da recapitare al Bar Grossi, a Castel d’Ario.

Di quanto lievitasse il prezzo da qui a là non c’è dato di saperlo.

In questo modo a Castel d’Ario arrivavano i giornali. Beh, non proprio ogni mattina. Se faceva nebbia, per dire, e parlo di quelle nebbie fitte che adesso sono passate di moda, il Vittorio non partiva neanche. In caso di neve guai a svegliarlo. Se si era d’estate… Dovete sapere che qui da noi l’estate picchia in testa sul serio come un cappello troppo piccolo che spingi, spingi ma di farlo entrare non ce n’è proprio. Il padre di Vittorio, Steno, in paese lo chiamavanoOch,Oca. Dal suo vecchio il Vittorio non aveva ereditato solo il soprannome: aveva preso anche il becco. Erano gente che pativa la sete, i Gandolfi. Bevitori di razza, capaci con il caldo di seccare quattro mezze di Lambrusco entro l’ora in cui noialtri si metteva su il caffè. E magari accorgersi di essere ancora al mondo al tramonto, risvegliandosi sulle sozze panche di qualche osteria.

Insomma, i giornali in paese arrivavano sempre, quando arrivavano.

Tutti gli altri giorni da Castel d’Ario partiva il Nivola.

 

La Gazzetta di Mantova, 30 luglio 1900

L’ASSASSINIO DI RE UMBERTO A MONZA

L’Italia alla prova

L’edicola aveva aperto nel 1882. A noi Sicola non era mai mancato il pane sulla tavola ma mio padre non era tipo da accontentarsi. Sognava qualcosa di più. Di diverso. Così il suo cranio calvo sempre in fermento aveva partorito l’idea dell’edicola. Se l’era fatta costruire da un artigiano mantovano su disegno suo, dell’Ulisse. Diceva di essersi ispirato a una costruzione che aveva visto in un parco a Milano, una di quelle gabbie aperte sui lati dentro le quali, la domenica, si esibivano le orchestrine di passaggio. Il fabbro di suo aveva snellito la struttura aggiungendo finestre decorate in vetro finissimo e un pinnacolo di metallo in cima, sopra al coperchio, per darle un’idea di cielo, così aveva detto. Sulla scelta del luogo dove aprire, poi, l’Ulisse era stato inflessibile. “La gente bisogna prenderla dov’è” ripeteva sempre e dai e dai era riuscito a piazzare la sua casetta di ferro proprio davanti alla basilica di Sant’Andrea, tra il portico dei Sogliari e quello dei Mercanti: il cuore pulsante di Mantova. Sì, era un genio mio padre. E ci sapeva fare. Agli uomini di un certo livello, diceva, non gli puoi sbattere i giornali sul banco neanche fossero sardelle da impanare.  Li devi piegare bene e in fretta. Se lo godano loro, non tu, il piacere ancora tiepido di sfogliarli per primi. Le signore, invece, vanno sempre inzuccherate con un complimento. Solo uno ma giusto; lusinghiero, mai sconveniente. “Proprio così,Giacum” diceva l’Ulisse. Che si convincessero di essere così speciali ma così speciali da volerti premiare con un piccolo acquisto in più, fosse anche una sola, misera cartolina. L’Ulisse aveva nelle mani una precisione da vecchia sartina e nella bocca la capacità di inanellare le parole di un prete appena uscito dal seminario. Gli affari andavano a gonfie vele e per me bambino era un’emozione osservarlo, chiusi insieme nel nostro covo di ferro battuto a sentire la città respirarci intorno. È in edicola che ho conosciuto il Nivola. Quando del Vittorio Gandolfi si perdevano le tracce a Castel d’Ario scattava l’allarme e il Nivola partiva. Venti chilometri. Con la nebbia, con il sole, con la neve, sempre in sella alla bici dello zio Giuseppe, il campione.

Frenava all’ultimo e diceva: “Il Vittorio non è partito.”

Oppure: “Il Vittorio non è tornato.”

“Quattro copie della Gazzetta, per favore.”

Poi chiedeva: “Cos’è successo oggi?” perché ancora non sapeva leggere.

Allora mio padre gli imbustava i giornali, si guardava intorno circospetto e gli sussurrava nell’orecchio la notizia del giorno, come un segreto da non rivelare.

Bisbigliava: “Domani si spegnerà il sole, preparati” e strizzava l’occhio.

Oppure: “Oggi è affondata Venezia, non si parla d’altro” e strizzava l’occhio.

O ancora: “Da oggi in tutto il Regno d’Italia è vietato regalare caramelle ai bambini” e gliene metteva subito una in mano.

Busìa!”gridava divertito il Nivola e inforcata la bici correva a mangiarsi la pianura.

Quel trenta luglio il Gandolfi era steso alla Fragoletta, tramortito da trentanove gradi di temperatura e dodici abbondanti di Lambrusco.

“Il Vittorio non è tornato” disse il Nivola.

“Cos’è successo oggi?”

“Hanno ammazzato il Re” rispose mio padre.

Busìa!” tuonò il Nivola e via verso Castel d’Ario.

Ma mio padre, quella mattina, l’occhio non l’aveva mica strizzato.

 

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La bellezza e l’incanto nei racconti del FAI

La Gazzetta di Mantova 7 settembre 1906

A MANTOVA IL CAMPIONATO ITALIANO DI MOTOCICLETTE

Al via i più noti e famosi motociclisti d’Italia

 

Vittorio Gandolfi l’hanno trovato una mattina del quattro sul fondo del lago Inferiore. A quanto pare dell’oca possedeva solo il becco. Le zampe no. Il suo biroccio fu rinvenuto capovolto a metà ponte. A pelo d’acqua galleggiava l’ultimo carico, una partita di false reliquie di San Giuseppe, patrono dei lavoratori onesti, e poi non si dica che il buon Dio manca di senso dell’umorismo.

Dopo la morte dell’Oca la mia frequentazione con il Nivola divenne quotidiana e intensa come solo a quell’età può essere un’amicizia. Io ero più vecchio di un paio d’anni e mi stavo facendo uomo in fretta. Lui, classe novantadue, tirava sì e no al metro e sessanta e a togliergli quella testa bislunga che si ritrovava ti sarebbe avanzato un metro scarso. Era un mingherlino, secco, ti potevi aspettare di vederlo frantumarsi in mille cocci da un secondo all’altro ma era un’impressione del tutto sbagliata. Perché il Nivola, nelle braccia e nelle gambe, aveva il fuoco. Erano piccole, corte ma traboccanti dell’energia indomita della pianura di cui era figlio.

“Cos’è successo oggi, signor Sicola?” continuava a chiedere ogni giorno, anche se ormai sapeva leggere.

“È successo che fanno due lire.”

“Non è mica la stessa cosa che è successa ieri?” esclamava allora il Nivola.

E poi aggiungeva: “Io e Giacomo andremmo un po’ in giro se ci accordate il permesso.”

“Andate andate” concedeva sconsolato mio padre “e se per caso trovate un po’ di voglia di lavorare in giro compratene. Dite pure che Ulisse Sicola passerà a pagare.”

Il mondo di mio padre iniziava e finiva nell’edicola e non riusciva proprio a capire cosa ci fosse di così sensazionale là fuori da spingerci ad andarcene con tanta urgenza. Io e il Nivola, però, abitavamo un luogo stupefacente e inquieto, i quindici anni, un luogo dove forse l’Ulisse era stato qualche volta ma di certo se n’era dimenticato. Mantova, per noi, era una terra inesplorata. E ricca di avventure. Nel cinque il Mercato de’Bozzoli di Piazza Castello aveva ospitato la prima esposizione nazionale di automobili e motociclette, la festa degli artigiani mantovani e dei loro prototipi geniali e puzzolenti. Lì, per la prima volta, vagando rapiti tra nuvole di gas di scarico, il Nivola mi aveva confidato che un tal Ferruccio Chinali, uno del suo paese, gli aveva fatto provare di nascosto una Dei modificata con motore Peugeot.

“Sei caduto sicuro” gli dissi io, sfidandolo.

“Certo che sono caduto” rispose lui mostrandomi orgoglioso la gamba grattugiata.

Nel sei, poi, fu proprio Mantova a ospitare il primo campionato nazionale di motociclismo.

Me lo ricordo come un giorno di sole quel sette settembre. Io e il Nivola, aggrappati alle grate di un finestrone per vederci meglio, ammiravamo i campioni delle moto sfidarsi lungo la Pista del Te. C’erano tutti i migliori. Ricordo il fragore della folla, il rumore insopportabile degli scoppi dei motori, la polvere che saliva. Ricordo gli occhi rapiti del Nivola in adorazione del Beccari, un meccanico che si era costruito il suo bolide da solo e con quello aveva vinto la gara.

Adorava la velocità. Il Nivola. Le moto erano la sua passione, allora. Poi sarebbero arrivate le auto.

“Anch’io correrò un giorno, signor Sicola” disse mentre io riaprivo l’anta di ferro e mi accovacciavo nel nostro confortevole nido di metallo.

“Corri ben a casa va, che laGazzettadiventa vecchia” la fece spiccia mio padre.

Ma il Nivola era uno che le promesse le manteneva. Sempre. Nonostante la guerra.

 

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La Voce di Mantova 18 giugno 1924

MANTOVA: MANIFESTAZIONE A FAVORE DEL GOVERNO

Mussolini: l’omicidio Matteotti vile pretesto dell’opposizione per attaccarci

 

“La Gazzetta di Mantova, signor edicolante” scherzava il Nivola.

“Non ce l’ho gentile cliente” rispondevo io.

“Cercate meglio.”

“Non la trovo.”

“Voi non trovereste neanche Gesù nell’orto” diceva allora lui e la storia andava avanti un po’. La verità è che la Gazzetta potevo cercarla anche un giorno intero ma non l’avrei mai trovata. Chiusa fino a data da destinarsi per ordine del prefetto fascista e sostituita dalla Voce,organo sotto stretto controllo del Partito. Erano anni difficili da decifrare. Da una parte il peggio sembrava passato. La guerra era finalmente alle spalle. La febbre Spagnola, che a Mantova aveva fatto più morti di Caporetto, era stata debellata. Persino la miseria, da qualche tempo cittadina onoraria della città, sembrava sul punto di allentare la sua morsa. Dall’altra parte, però, pesava sui nostri cuori un macigno d’incertezza. Mantova, eterna ragazza, si stava facendo donna: per forza. Così come l’Italia, così come me e il Nivola che ormai eravamo diventati uomini. Lui era stato autiere sul Carso, fino al diciassette, congedato per un focolaio di tubercolosi. Tornato al paese aveva rapito una certa Carolina, se l’era sposata a Milano con rito civile e l’aveva messa incinta. Ce n’era abbastanza di che sparlare per anni a Castel d’Ario. Così il Nivola, la moglie e il piccolo Giorgio si erano trasferiti in città. Al Nivola Gesù non era mai andato tanto a genio. Troppo buono, diceva. Troppo lento, diceva. Il Nivola, che ambiva a correre più veloce del tempo, la faccenda dei tre giorni non gliel’aveva mai perdonata.

“Se ero onnipotente io tre minuti ci stavo nel sepolcro” sparava spavaldo, tendendo gli eccezionali muscoli che aveva nelle braccia.

Quel Mussolini, invece, all’inizio sembrava piacergli. Uomo d’azione, come lui. Feroce. Determinato.

“E poi mi stanno proprio simpatici i pelati” diceva, picchiettandomi ogni volta con dolcezza sul cranio calvo. Sì, anch’io ero diventato uomo. E da me si vedeva dalla testa. E dal fatto che dopo il pensionamento dell’Ulisse i clienti non fossero per niente calati. Anzi.

Non avevo la sua parlantina, magari, ma le lunghe lezioni sul campo a qualcosa erano servite. Si lavorava bene con i giornali, le cartoline e qualche piccolo oggetto di antiquariato. Si lavorava talmente bene che eravamo addirittura d’intralcio, nel traffico caotico di quella piazza. Le spose ci sbattevano quasi contro, la domenica, entrando in chiesa. Da tempo il comune ci aveva chiesto di spostarci ma l’Ulisse si era sempre opposto con fierezza. Io, dopo lunghe insistenze, avevo ceduto. Ci avrebbero riposizionati nel venticinque, più o meno un anno dopo quel delitto Matteotti di cui ancora non sapevamo pesare l’importanza. Spostarono l’edicola di peso, ferro, vetro, lamiera, tutto in colpo. La nostra nuova casa divenne Piazza Canossa, davanti al palazzo di Matilde. Laggiù ricominciò la nostra storia. Erano gli stessi anni in cui il Nivola diventava leggenda.

La Gazzetta di Mantova, 3 giugno 1946

È REPUBBLICA

A Mantova la Monarchia si ferma al 31.17%

 

Non era più solo mio, il Nivola. Era di tutta Mantova ormai. Vedeste quanta gente si appostava intorno all’edicola solo per guardarlo arrivare. Stringergli la mano. Strappargli un sorriso, una parola. Lo ammiravano come si ammira un soldato a cavallo. Gli uomini si toglievano il cappello, le donne impazzivano: “Com’è forte! Com’è bello!” sospiravano trasognate e caro Nivola, vecchio mio, bene te ne volevo allora e te ne ho sempre voluto ma un granché bello non lo sei mai stato. Eri un campione, però, e del campione avevi lo stile, l’eleganza. La fama. “L’animale più lento per l’uomo più veloce” scrisse D’Annunzio regalandoti una tartaruga d’oro e a Mantova non si era parlato d’altro per mesi. Sorridevi a tutti, avevi una buona parola per ognuno, eri un vincente. Ma io, solo io che ti conoscevo così bene, sapevo tutto del dolore che ti portavi dentro. Giorgio e Alberto, figli amati, morti stupidamente entrambi, a diciotto anni. I tuoi polmoni, provati dalla tubercolosi e dai gas di scarico, t’impedivano di respirare al meglio. E poi c’erano stati la guerra, la morte, i bombardamenti del quarantaquattro che avevano sfiorato la tua casa, l’odio che a via a via ti era montato contro quei fascisti arroganti. E l’odio più grande ancora: quello per le auto. Le odiavi, Nivola. Le odiavi così tanto da non poterne fare a meno. Continuavi a metterti la tuta, a respirare quella puzza, a indossare i guanti. Cercavi nella velocità una serenità che non esisteva, né a Monza, né a Donnington, né alla Targa Florio, né in qualunque luogo avesse contribuito a costruire il tuo mito. Meno male che ti era rimasta l’edicola di Piazza Canossa. Noi eravamo ancora lì, la tua oasi in città. Dove si poteva parlare dei giorni di Sant’Andrea, della bici di cui non toccavi quasi i pedali. I giorni in cui eri solo e semplicemente il mio caro amico Nivola. LaGazzetta era tornata, con lei tutti gli altri giornali e con loro la gente che aveva le ossa rotte ma una gran voglia di ripartire.

“Saremo una Repubblica quindi” mi dicesti il tre giugno.

“Sì” sorrisi io.

“Dammi quattro copie della Gazzetta.”

“Quattro?”

“Ben imbustate mi raccomando. Ho degli amici da salutare a Castel d’Ario.”

E inforcata la bici, tossendo, ti eri allontanato felice, come un bambino incontro al mondo.

 

La Gazzetta di Mantova 12 agosto 1953

SI È SPENTO TAZIO NUVOLARI

Addio al Mantovano volante

Sei fuggito via, Nivola, amico mio. In fretta, come sempre. Hai scelto un agosto qualunque, bollente e sonnacchioso, uno dei tanti che abbiamo vissuto insieme. Avessi visto quanta gente c’era in Piazza Canossa quella mattina. Chi ti ricordava bambino. Chi mi abbracciava stretto come si abbraccia una vedova inconsolabile. Chi appoggiava un fiore bianco sul ferro rovente che come ogni giorno anche quel dodici agosto mi custodiva. Ognuno aveva una storia da raccontare. Di quella volta che nel trenta hai superato Varzi all’alba, sull’ultimo tratto della Mille Miglia, dopo averlo tallonato tutta notte a fari spenti, per non farti vedere. E quell’altra, in Germania: te lo ricordi? Quando hai messo nel sacco i tedeschi, nel trentacinque, proprio in casa loro. I gerarchi mica l’hanno presa bene. Non avevano neanche una bandiera italiana da issare. E tu, bello come il sole, hai detto: “Ce l’ho io la bandiera” e l’hai tirata fuori dall’abitacolo ancora piegata. Eri matto da legare, Nivola, amico mio. Olio, potenza e leggenda in un metro e sessanta di nervi. Siamo stati chiusi per lutto, il giorno del tuo funerale. Tutta Mantova si è fermata per salutarti. Poi, la vita è ricominciata. I negozi hanno riaperto, le macchine del caffè sono state accese di nuovo, nel menù della Fragoletta i tuoi adorati bigoli alle sardelle sono diventati ‘Bigoli Nuvolari’. Tutto è ripartito. Io no. Sì, Nivola, io quel giorno avevo deciso di chiudere per sempre. La mia storia, la storia dell’Ulisse, finiva allora, con te. Quel ferro, quel vetro, le assi di legno su cui avevo appoggiato i piedi per mezzo secolo erano rimaste senza benzina, come il tuo infiacchito motore. Persino la carta non faceva più odore dall’ultima volta che eri venuto a dirmi come sempre: “Busìa!” prima di scappare via. Verso nuove piste, immaginavo. E avevo ragione.

 

 

La Gazzetta di Mantova, 21 luglio 1969

ARMSTRONG E ALDRIN SULLA LUNA

Il primo passo alle 4.57

Non riuscivo a cominciarla questa storia. Sapeste quante volte ho preparato la penna e ho ammucchiato i fogli, ben ordinati, davanti a me. Niente: non usciva una riga. Ho provato nel salotto di casa, di fronte alla foto di mio padre, davanti alle vecchie cartoline illustrate che vendevamo allora. I ricordi di una vita. Poi sono andato in riva al lago, proprio nel punto dove l’Oca aveva starnazzato l’ultima volta. Niente: la mia mano sembrava paralizzata. È stata una mattina di luglio, passeggiando per Piazza Canossa, che mi è venuta un’idea. Mi sono avvicinato all’edicola, ho salutato Gabriele, il ragazzo cui l’ho venduta qualche anno fa, e ho chiesto: “Disturbo se vengo dentro con te?” “Vecchio rincitrullito” avrà pensato, e, forse per pietà, mi ha aperto la porta. Una volta dentro, come per magia, la memoria ha iniziato a correre. E con lei la penna. Tu non ne hai mai voluto sentir parlare di Dio, vecchio Nivola, ma è stato Lui in persona a guidare la mano di chi ha scritto i Vangeli. Ecco, quest’edicola ha fatto la stessa cosa con me. Come ho fatto a non capirlo prima? Ci sono luoghi che osservano la storia, la rubano, la fanno loro. Diventano quelle storie, un giorno o l’altro. Ci sono luoghi che respirano, Nivola, questa è la verità. Questo posto, il nostro posto, ha polmoni di vetro, inspira aria dalle sue finestre decorate e la rilascia purificata come un albero piantato sull’asfalto. Il suo cuore non è solo ferro, non è solo materia inerte: è carne, in un certo senso. Attira le emozioni della città, i suoi turbamenti, le sue intime commozioni e le incamera nella lucida pelle di metallo di cui è avvolta. Poteva essere scritta solo qui la nostra storia perché non siamo noi i protagonisti. È lei, Nivola. L’edicola di Piazza Canossa. Lei che non invecchia, non soffre, non muore. Lei, che non ha mai chiuso, alla fine, perché ho pensato che tu avresti voluto così. L’ho venduta, quello sì, ma ho chiesto che fosse preservata, com’era, com’è, come sarà. C’è un ragazzo dentro, mi piacerebbe presentartelo. Uno che i giornali li sa piegare sul serio, non li sbatte sul banco come si vede fare di questi tempi. Uno che va di fretta ma sa frenare quando è il momento giusto, come sarebbe piaciuto a te.

Anche se la voce del ferro mi ronzava nelle orecchie dal primo giorno che sono tornato, ho voluto aspettare oggi per scrivere l’ultima riga. Perché ho delle notizie fresche da riferirti, amico mio.

Senti questa: l’uomo è volato sulla Luna. Busìa? No, verità Nivola. Due americani, i loro nomi sono Armstrong e Aldrin. Penso che siano venuti a cercarti, sai? Poveri illusi! Credevano forse che uno come te si fermasse alla Luna? No, tu sei molto più su e stai correndo, non so come, non so dove, ma stai correndo.

L’altra notizia, Nivola, è che anch’io sto partendo per venirti a cercare. Sono vecchio, ho tanta voglia di vederti e penso che la mia storia sia stata scritta ormai. L’edicola rimarrà qui, ad assorbire altri racconti. Altre emozioni. Io, invece, arriverò un giorno o l’altro. Fatti trovare mi raccomando.

Come dici? Certo, Nivola, non preoccuparti.

Stavolta la Gazzetta te la porto io.

In un libro i racconti vincitori del concorso “L’Italia del FAI”

La bellezza e l’incanto è un”antologia che raccoglie i 10 racconti vincitori del concorso letterario “L’Italia del FAI” (di cui abbiamo già parlato qui). Un concorso che ha visto la partecipazione di diversi giovani autori, i quali hanno presentato brevi scritti aventi come protagonisti i beni tutelati e valorizzati dal Fondo Ambiente Italiano.

Il libro, edito da IoScrittore, il torneo letterario gratuito promosso dal Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, è disponibile in formato cartaceo a 15€ sui principali store e nei bookshop dei beni del FAI; mentre la versione in e-book è scaricabile in maniera eccezionalmente gratuita al lancio (Kobo, IBS, Google, Amazon ed Apple).

“Il Gruppo editoriale Mauri Spagnol ha supportato con entusiasmo l’iniziativa del FAI pubblicando questo volume” dichiara Alessandro Magno, Direttore Area Digitale GeMS (editore de ilLibraio.it, ndr), 

“Da anni, infatti, attraverso IoScrittore, GeMS dà la possibilità agli aspiranti autori di partecipare gratuitamente a un torneo letterario in rete e di confrontarsi con una comunità di attenti lettori e autori. In tal modo, non pochi partecipanti hanno raggiunto il grande pubblico e il successo. 

Inoltre, IoScrittore, nel corso degli anni, ha assegnato importanti premi tematici: è stato quindi naturale collaborare con il FAI per selezionare racconti capaci di unire la scrittura e la bellezza dei nostri luoghi”.

“I racconti de La bellezza e l’incanto sono l’esempio di come un luogo possa essere presentato al pubblico in modo diverso dalla tradizionale spiegazione della storia, dell’arte e dello stile architettonico che lo caratterizzano” afferma Andrea Rurale, Presidente FAI Lombardia, “leggerli significa immergersi, con il cuore e con la mente, nella bellezza del nostro Paese”.

Storie e racconti ispirati ai beni e ai luoghi che dal 1975 il FAI protegge, valorizza e tutela. 

I tre migliori racconti si sono aggiudicati, inoltre, dei premi in denaro messi a disposizione da una generosa donazione che il FAI ha ricevuto per valorizzare e promuovere la creatività dei giovani, e per stimolare la loro partecipazione alle loro attività. 

Giovedì 1 dicembre alle ore 18:30 si terrà a Villa Necchi Campiglio la presentazione dell’antologia, nonché la premiazione dei vincitori del concorso – bandito dalla Presidenza FAI Lombardia in collaborazione con il torneo letterario Io Scrittore e con il Centro per il Libro e la Lettura, Artplace, Diplomati della Scuola Holden e il sito ilLibraio.it.