Anche le galline volano… su qualche comodino

Cari partecipanti, vecchi e nuovi è il caso di dirlo, perché la notizia che vogliamo condividere con voi alla vigilia dell’estate riguarda un’opera che ha partecipato all’edizione del torneo 2011, dal titolo Nemmeno le galline, appena opzionata per la pubblicazione. Sale così a 13 il numero delle opere del torneo IoScrittore selezionate per l’edizione cartacea. Alcune sono già in libreria, altre sono in arrivo a partire dal prossimo settembre.
Chissà, forse qualcuno di voi ha avuto quest’opera in lettura. Arrivato 111mo in semifinale, il romanzo volò sul comodino di uno degli editor di GeMS che lo lesse subito con grande interesse

Passò un po’ di tempo, capita che le scelte editoriali non siano rapide e decisive. C’era bisogno di condividere con l’autore proposte di miglioramento e di riscrittura. Non sempre la prima stesura funziona, lo diciamo fin dall’inizio del torneo a tutti voi scrittori. Anche per questo non ci stanchiamo di ripetere che i giudizi che date alle opere rappresentano un’opportunità per gli autori che vi trovate a valutare. A nulla servono stroncature immotivate o laconici entusiasmi. C’è qualcosa che ognuno di voi può dire sulle opere che state leggendo regalando all’autore la possibilità di tornare sulla sua storia migliorandola. Questo deve essere l’unico spirito che vi accompagna durante la lettura.

Durante queste tre edizioni abbiamo ricevuto più di 3500 opere, e sappiate che il nostro archivio è ben custodito. Può capitare che qualche opera se ne esca allo scoperto anche a giochi fatti. Ecco a voi la prova!
Buona estate di lettura a tutti!

Cantico di borgata

Dario ed Enrico sono due giovani romani, l’uno sogna di diventare famoso grazie alla musica, l’altro lo segue mentre sbarca il lunario come meccanico, ogni tanto arrotondano cantando nell’osteria der Sor Guerino. Due tipici trentenni che si lasciano trasportare dalla vita, incapaci di reagire e di realizzarsi, imprigionati da quella borgata che li ha visti crescere. Sarà l’incontro con il bieco Capodajo, torbido manager, più calzante è il romano “ricottaro”, e la sua avvenente segretaria Gabriella, a dare una svolta al corso delle loro monotone vite. Solo attraverso una tragedia catartica, i due amici sapranno ritrovare se stessi e si faranno strada nel mondo riscoprendo l’importanza delle cose semplici e dell’amore.

La narrazione procede attraverso i pensieri dei singoli personaggi, che di capitolo in capitolo prendono la scena e raccontano il dispiegarsi degli eventi. La dimensione è esclusivamente introspettiva e l’assenza di dialoghi lascia intendere una solitudine di fondo, insuperabile. Tutto è visto con un certo distacco, non c’è più differenza tra narratore e personaggi, tanto che questi ultimi ne rivestono a turno il ruolo. A ciascuno è poi garantito il suo spazio di celebrità, così c’è almeno un capitolo per ognuno, Vergoni ci lascia assaggiare almeno un pizzico della psiche di ogni attore ed è solo la quantità di capitoli a dare il peso del suo contributo alla narrazione, non il modo in cui è affrontato e raccontato il personaggio.

A farla da padrone non è tanto la città di Roma nella sua spazialità, nei suoi luoghi; quanto il suo ethos, quell’attitudine irriverente e ironica che è nel senso comune spesso attribuita ai romani. Ethos che è rappresentato da Enrico e da Dario, due facce della stessa medaglia, buono e taciturno, ingenuo e laboriosol’uno; iperattivo e sarcastico, sfaticato e inconcludente, ma altrettanto buono e credulone l’altro. Quasi a dire che i romani sono degli scansafatiche, ma non sono cattivi. Una sorta di Rugantino bifronte, privo della mano “sverta cor cortello”.

Vergoni traccia un “Pasticciaccio brutto ai tempi di Maria De Filippi”, un ritratto delle aspirazioni frustrate di chi nasce in borgata e vuole fuggire, passare a frequentare i “pariolini”, i quartieri bene di Roma Nord, emergere, diventare famoso e non capisce che la felicità si trova invece proprio in quella borgata che gli ha dato i natali, in quelle cose semplici che rendono la vita meravigliosa, nella bontà di un gesto delicato come una carezza. La prosa è ricca di metafore, similitudini, barocchismi di ogni genere, ha un tono che si confà al talk show televisivo e ben si adatta a descrivere i pensieri di questi “borgatari”. Vergoni, già autore teatrale, trasforma in romanzo una sua commedia musicale “Sotto il cielo di Roma – Trasteverini”, traccia una storia che si snoda da un muro dell’Anagnina e affronta con ironia e leggerezza il malessere contemporaneo, che parla di buoni sentimenti, verrebbe da dire cattolica visto il “cantico” del titolo, ma priva di quel perbenismo che spesso affligge il sentimento religioso.

Su i-Libri puoi leggere l’intervista di Riccardo Melito all’autore Gianfranco Vergoni. 

Lo sguardo di Giacometta

La storia di Giacometta, ambientata agli inizi del novecento, viene raccontata dall’autrice con una tecnica interessante, su diversi piani narrativi.
Perché Giacometta si trova sul letto di morte, vittima dell’influenza spagnola che ha fatto più vittime della prima grande guerra. E, come vuole il detto, un uomo (o una donna, nel nostro caso) “sul letto di morte rivede l’intera sua vita”. Il romanzo alterna le descrizioni oggettive dell’agonia della donna in ospedale, la rappresentazione delirante di un processo in un tribunale ove sfilano i personaggi della sua vita, i fatti nei quali la sua vita si è svolta.
A partire da un’infanzia di orfana, durante la quale ha conosciuto soltanto l’affetto di un cane, per passare poi al servizio di un prete, don Cellone, nella cui canonica la ragazza impara a scrivere. E via via, in un crescendo di esperienze lavorative … Dopo una fase trascorsa in una casa ove il marito fedifrago è impegnato nell’arte di avvelenare la moglie, la giovane conosce nella dimora di un avvocato le teorie socialiste grazie al signorino Antonio, che collabora con un giornale. E qui Giacometta comincia a temprare una personalità critica e a sviluppare i primi interessi culturali, che potrà coltivare agevolmente quando viene ingaggiata nella “Casa Fabiani di Sant’Erasmo” come aiuto dello chef, il signor Giovanni, che diverrà suo mentore e verrà da lei sostituito presso i conti padroni di casa Fabiani.
Lo stile di Liliana Panzarani Piersanti è elegante, ricco, mai scontato. Completamente adeguato all’eleganza con la quale la domestica protagonista, grazie alle proprie capacità, si trasforma da brutto anatroccolo in cigno, elevando la propria personalità con l’ausilio della cultura.

La vita di Giacometta scorre parallela alla storia: attraverso i primi movimenti egualitari di inizio secolo, il suffragio universale, il pacifismo e il non interventismo quando scoppia la prima guerra mondiale.

L’ascesa spirituale della donna avviene attraverso la lettura dei classici, l’Utopia di Tommaso Moro, la scoperta della musica vera grazie a “Le nozze di figaro” di Mozart: “L’ascolta e dimentica di seguire la trama dell’opera; si scorda perfino di suo marito, che avrebbe voluto impedirle di provare una gioia così pura, così poco egoistica. Questa musica evoca la felicità perduta di cui ogni essere umano prova la nostalgia e conforta al tempo stesso …
Ma sono soprattutto la grazia intrinseca e la dignità umana gli elementi che in Giacometta propiziano il suo successo esistenziale, nonostante le premesse sfavorevoli e un matrimonio sfortunato.
Inevitabile, per me, il raffronto con un’opera che ho particolarmente amato: “L’eleganza del riccio” di MurielBbarbery, un altro romanzo che, come “Lo sguardo di Giacometta”, ha affascinato … Bruno Elpis.

Su i-Libri puoi leggere l’intervista di Bruno Elpis all’autrice Liliana Panzarani Piersanti.