Senza il melodramma non avremmo avuto romanzi e serie tv per come li conosciamo

Nei primi decenni dell’Ottocento il Boulevard du Temple, che da Place de la République porta verso la Bastiglia, si popola in maniera esponenziale di teatri, caffè, luoghi dove si poteva assistere agli spettacoli non ammessi nei teatri ufficiali, e che si caratterizzavano da grandi eccessi drammatici, virtù minacciate, crimini di ogni sorta, al punto che i parigini iniziarono a chiamare quel viale il Boulevard du Crime.

È in quel contesto che si sviluppa uno dei generi teatrali che può hanno formato e l’immaginario moderno, e che non cessa di esercitare un enorme influsso sulla produzione culturale odierna. Si tratta del melodramma, che nasce negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese, per supplire alla liquidazione del concetto di sacro e delle sue istituzioni principali: chiesa e monarchia; con la fine delle strutture gerarchiche dell’Ancien Règime finiscono anche le forme letterarie più legate a quell’ordinamento sociale e quel vuoto è stato colmato dal melodramma, che da genere teatrale si fa presto forma dell’immaginazione per influire in maniera determinante nello sviluppo del romanzo. O almeno questa è l’interpretazione che ne dà Peter Brooks ne L’immaginazione melodrammatica, uscito negli Stati Uniti nel 1976, tradotto in italiano per la prima volta nel 1985 e ora, dopo essere rimasto a lungo un libro introvabile, è tornato in libreria per Il Saggiatore.

L'immaginazione melodrammatica di Peter Brooks

E vale la pena dirlo subito: L’immaginazione melodrammatica è uno dei più bei libri di teoria letteraria del secolo scorso e uno dei primi a prendere seriamente delle forme d’espressione popolari (come il melodramma, appunto) per legarle in maniera decisiva allo sviluppo del romanzo moderno, e in particolare quel tipo di romanzo incarnato da Balzac e Henry James, cui sono dedicati i due capitoli finali del libro (“Il romanzo, che è nato come genere risolutamente popolare, può aver bisogno di rinnovarsi attraverso il contatto con le forme più grossolanamente e sfacciatamente popolari”).

Per Brooks si tratta, in fondo, di capire come le forme estetiche hanno risposto a quella grande cesura storica che è la fine del mondo di antico regime. È una questione su cui molti critici del Novecento si sono interrogati (basti pensare, per fare l’esempio forse più noto a Menzogna romantica e verità romanzesca di René Girard), e la risposta data da Brooks è, appunto, l’immaginazione melodrammatica, delineatasi, con il genere del melodramma agli inizi dell’Ottocento, e divenuta un elemento vitale per l’immaginario moderno. Perché “il melodramma diviene lo strumento privilegiato per la scoperta e la traduzione in termini operativi di un mondo etico fondamentale in un’epoca ormai lontana dal sacro”.

Il melodramma infatti, come mostra la minuziosa analisi dei primi capitoli, è un genere mosso dal desiderio di dire e di esprimere tutto: i personaggi si pongono all’intersezione fra forze etiche primordiali e assumono ruoli psichici primari, il mondo si regge secondo una costante opposizioni di forze manichee. Il canovaccio della virtù e dell’innocenza minacciata da un villan, su cui si basa la gran parte delle trame melodrammatiche, si colora di tonalità iperboliche per far emergere con chiarezza i conflitti cruciali fra i personaggi e rassicurarci sulla leggibilità dell’universo, sulla sua identità morale, sulla sua capacità di produrre un significato: il melodramma, scrive Brooks, “si è assunto il compito di riorganizzare un sistema etico occultato e represso”. Questo sistema etico represso viene portato alla luce soprattutto attraverso l’estroflessione dei sentimenti: “In un mondo ormai lontano dal Sacro, gli imperativi morali hanno subito una riduzione a livello sentimentale, e vengono comunemente identificati con alterazioni della coscienza o dei rapporti psichici, per cui l’espressione di emozioni diventa indistinguibile dalla rivelazione di principi morali”.

Questa struttura Brooks la ritrova e la analizza, in particolare, nelle opere di Balzac e James, mostrando come una certa estetica romanzesca si sia appropriata dei moduli melodrammatici per esprimere le stesse preoccupazioni: il genere senza dubbio più importante della modernità, il romanzo, si stringe senza dubbio a uno dei più popolari e denigrati. Così, la poetica di Balzac cerca di “tradurre in realtà la sostanza morale della vita”, proprio come fa il melodramma, costruendo una complessa impalcatura di gesti, situazioni, forme, che dal piano della realtà diventano significativi di un ordine nascosto, più profondo, dietro la realtà stessa. Allo stesso modo l’estetica di James si basa, per Brooks, su un manicheismo morale che sostanzia la sua visione del mondo sociale in cui i personaggi sono quotidianamente chiamati a operare scelte drammatiche fra alternative morali esasperanti, e ogni gesto, “per quanto frivolo e irrilevante possa sembrare, si carica del conflitto fra luce e tenebre, salvezza e dannazione”.

L’analisi di Brooks è, in definitiva, animata dalla consapevolezza che le forme dell’arte sono dei mezzi privilegiati per l’interpretazione dell’esperienza umana, e il melodramma, in questo senso, offre l’occasione di verificare come storicamente abbiamo cercato di trarre un senso dalla vita.

Non a caso l’immaginazione melodrammatica, dall’immenso successo delle opere di Pixérecourt a oggi, rimane una delle costanti del nostro immaginario che dal romanzo realista ottocentesco si è riversato nel cinema hollywoodiano, nei polizieschi, nei western, nelle serie TV ospedaliere: e lo stesso successo di questi generi, avvertiva già Brooks alla fine degli anni Settanta, deriva proprio dal fatto che offrono una rappresentazione dei conflitti melodrammatici con la massima chiarezza e economia.

Queste forme narrative spettacolari, conclude Brooks, “sono a un tempo inquietanti e esaltanti, in quanto rivelano la presenza nel mondo di forze che avvertiamo all’interno di noi stessi. Da un lato vogliamo credere, dall’altro vorremmo non sapere, che viviamo sull’orlo del baratro”.

Fonte: www.illibraio.it

Le frasi romantiche più belle della letteratura

Nelle giornate spente, in cui niente sembra avere un senso e la vita appare come un susseguirsi di attimi slegati fra loro, se c’è una cosa che può ridare valore al nostro stare al mondo è pensare all’amore di chi ci circonda.

Niente come la sensazione di amare e di essere amati, infatti, sa restituire un certo spessore alla nostra quotidianità, conferendo un significato più ampio e profondo a ciò che facciamo, e permettendoci di ritrovare una scintilla di luce perfino nei momenti più bui.

Da Wisława Szymborska a Italo Calvino, passando per Emily Brontë e per Jacques Prévert, ecco quindi una selezione di frasi romantiche tratte dalla letteratura di tutti i tempi, per riflettere sui tanti modi possibili di concepire l’amore e sull’impatto che quest’ultimo può avere nella nostra esistenza…

Cominciamo con una citazione tratta dalla tragedia a lieto fine Alcesti (Signorelli, a cura di Silvia Barbantani) del drammaturgo greco Euripide (485-406 a.C.), risalente al 438 a.C. circa. Qui, ai versi 278-280, la protagonista evidenzia l’importanza dell’amore come vera e propria ragione di vita, che ci unisce ai nostri cari in maniera indissolubile e di cui non potremmo più fare a meno:

Infatti, se tu morissi, io non esisterei più;
dipende da te che io viva o meno;
il legame con te mi è sacro.

Una frase romantica, questa, che ricorda da vicino una dichiarazione d’amore più recente, tratta stavolta dalla letteratura inglese dell’Ottocento. Ci riferiamo a un celebre passo del IX capitolo di Cime tempestose (Garzanti, traduzione di Rosina Binetti) di Emily Brontë (1818-1848), in cui Catherine definisce il suo amore per Heathcliff come un sentimento altrettanto totalizzante:

Le mie grandi pene in questo mondo sono state le pene di Heathcliff, e io le ho conosciute e le ho sentite tutte una a una dal principio; la sola ragione di vivere per me è lui. Se tutto il resto perisse, e lui rimanesse, io continuerei a esistere; e, se tutto il resto rimanesse e lui fosse annientato, l’universo si cambierebbe per me in un’immensa cosa estranea.

una frase romantica di emily bronte

Al di là dell’eterno rapporto fra èros e thànatos, l’amore in letteratura è stato spesso rappresentato anche come la capacità di abbandonarsi all’altro, percependo una comunione di corpo e di spirito che va oltre le nostre capacità razionali. Ne scrive la poetessa Premio Nobel Wisława Szymborska (1923-2012) nel seguente componimento, tratto da La gioia di scrivere (Adelphi, traduzione di L. Rescio):

Cademmo nell’abbraccio,
ci separammo dal mondo,
non sapevamo se eravamo due corpi
o due anime
o un corpo e un’anima .

Non dimentichiamo, però, che aprirsi all’amore vuol dire soprattutto entrare in contatto con sé stessi, con la propria interiorità, con le proprie pulsioni. E a dimostrarlo è una frase teneramente romantica tratta da Il barone rampante (Mondadori) di Italo Calvino (1923-1985), in cui l’amore si trasforma in un mezzo privilegiato per ampliare la conoscenza di noi stessi mentre viviamo nuove esperienze:

Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre mai s’era potuta riconoscere così.

una frase romantica di italo calvino

In ultimo, ma non per importanza, l’amore resta naturalmente anche conoscenza dell’altro. Un desiderio di condivisione e di vicinanza che passa da tutti e cinque i sensi, come anche dalla presenza fisica ed emotiva dell’oggetto del nostro desiderio. A suggerircelo è l’autore francese Jacques Prévert (1900-1977) nella lirica Tre fiammiferi, contenuta in Poesie d’amore e libertà (Guanda, traduzione di Francesco Bruno, Rino Cortiana e Maurizio Cucchi):

Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia

Fonte: www.illibraio.it

Education: il Gruppo Feltrinelli al 100% in Scuola Holden

“Nata oltre dieci anni fa con l’obiettivo di promuovere la formazione negli ambiti della scrittura e dello storytelling“, oggi l’amicizia tra Feltrinelli e Scuola Holden si consolida con la crescita al 100% della partecipazione del Gruppo in Scuola Holden“. Lo si legge in una nota.

Con l’operazione “si rafforza e si completa il Polo Education del Gruppo Feltrinelli, che ora si compone di due realtà pienamente integrate nelle strategie del Gruppo: da un lato Scuola Holden di Torino, la prima scuola di scrittura e storytelling in Europa fondata da Alessandro Baricco nel 1994, che proprio quest’anno compie 30 anni; dall’altro Feltrinelli Education, piattaforma di formazione professionale e culturale con una vocazione sempre più vicina alle esigenze formative delle aziende.

L’Education – sottolinea il comunicato –  è terzo asset del Gruppo Feltrinelli, guidato dall’amministratrice delegata Alessandra Carra, al fianco del Polo Contenuti – con la produzione editoriale in tutti i suoi linguaggi, dal libro al podcast, dall’audiolibro al docufilm – e del Polo Canali, che si occupa della diffusione di libri e prodotti culturali nelle librerie fisiche e digitali del Gruppo.

In questo quadro, “il rafforzamento del Polo Education completa la proposta Feltrinelli e offre una visione originale della formazione, dal primo corso di laurea in Scrittura in Italia agli oltre 500 corsi in presenza e online sulle tecniche della narrazione, fino ai prodotti e progetti formativi B2B sviluppati da Feltrinelli Education e Holden Studios per portare lo storytelling e la cultura umanistica nel mondo delle imprese e delle istituzioni”.

La costituzione del nuovo Polo Feltrinelli Holden è stata affidata al Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione di Feltrinelli, Giuseppe Morici, mentre Baricco mantiene il ruolo di Preside di Scuola Holden e membro del Consiglio di Amministrazione a vita.

Le strade di Feltrinelli e della prima scuola di scrittura e storytelling in Europa si sono incrociate per la prima volta nel febbraio 2012, quando Feltrinelli è entrata a far parte di Scuola Holden con una partecipazione del 25,1%, cresciuta poi al 51,5% nel 2019, quando la scuola è diventata Università.

 

Fonte: www.illibraio.it

Hai meno di trent’anni e un libro nel cassetto? Non perdere quest’occasione!

Anche per l’edizione 2024 del Torneo letterario IoScrittore che entra nel vivo in queste settimane è confermato il Premio speciale under 30, rivolto a tutti i partecipanti che abbiano meno di trent’anni (o che li compiano nell’anno solare 2024).

IoScrittore è il torneo letterario organizzato dalle case editrici del Gruppo editoriale Mauri Spagnol, un progetto di scouting editoriale che riesce a mettere in contatto aspiranti autori e professionisti dell’editoria e che è giunto quest’anno alla quindicesima edizione, diventando nel corso del tempo un punto di riferimento per tutti gli esordienti in cerca di un’occasione per mettere alla prova il loro talento.

I partecipanti, iscritti sotto pseudonimo, sono impegnati sia nella veste di scrittori sia in quella di lettori, valutando le opere degli altri partecipanti e ricevendo a loro volta critiche costruttive.

Una formula unica, che ha portato tanti autori a migliorarsi, avvicinandoli al mondo dell’editoria italiana. L’occasione è quindi interessante per tutti coloro che hanno un manoscritto inedito o non più presente in cataloghi di case editrici o di self publishing e vogliono mettere alla prova il loro talento.

Ma veniamo al premio speciale rivolto a chi ha meno di trent’anni e partecipa a IoScrittore.
L’autore under 30 del romanzo che si posizionerà più in alto in classifica riceverà:

  • 1000 (mille) euro di libri delle case editrici del Gruppo editoriale Mauri Spagnol a propria scelta tra le edizioni in commercio
  • la possibilità di confrontarsi con un editor professionista, per capire come migliorare il testo e metterne in luce i punti forti.

Che cosa aspettate allora? Date un’occhiata al regolamento e ricordate: le iscrizioni terminano il 4 aprile e basta l’incipit (i primi capitoli della vostra opera) per partecipare!

In bocca al lupo e buona scrittura a tutti.

Ecco a voi Valentina, mamma di tre gemelle, investigatrice per caso. È uscito il romanzo del torneo IoScrittore 2022.

Chi ha seguito l’evento a Bookcity del novembre 2022 forse se la ricorderà, Francesca Mautino, in collegamento video da Torino. Era tra i dieci finalisti del torneo di quell’anno, e ancora non sapeva che la sua storia sarebbe stata pubblicata da Longanesi. È passato poco più di un anno e ora il suo romanzo, Qualcuno che conoscevo, è sugli scaffali delle librerie, pronto a conquistare i lettori. Protagonista e voce narrante del romanzo è Valentina Bronti, una carriera messa tra parentesi per vari motivi, tra cui la dolcissima ma faticosa presenza di tre figlie gemelle. E a questo si aggiunge una relazione fallimentare con Marco, il padre delle bimbe, che si è ritirato a dormire nello sgabuzzino… Tutto questo non la trattiene dal tuffarsi, con un entusiasmo e una sagacia sorprendenti, soprattutto per lei, in un vecchio cold case, che riguarda la scomparsa di una ragazza, dieci anni prima, quasi inghiottita dal buio di una Torino che da sempre ha fatto del mistero il suo secondo volto. Non vi diciamo di più, per non rovinarvi la lettura, e vi lasciamo con tre domande che abbiamo voluto fare a Francesca sulla sua partecipazione al torneo e sull’esperienza del lavoro con un editor.

Come e perché hai deciso di partecipare a IoScrittore?

Avevo letto del torneo sui social, bazzicando qualche pagina dedicata alla scrittura e ho subito pensato che proponesse un meccanismo interessante e anche sfidante. Avevo appena terminato la stesura del romanzo ma non sapevo come muovermi e Io Scrittore mi è sembrata una bella possibilità per essere letta e poter ricevere dei giudizi, e degli spunti magari, e utilizzarli poi per poter migliorare il mio lavoro. Mi piaceva anche molto l’idea di poter leggere i romanzi di altri aspiranti narratori e devo dire che si è rivelato in seguito l’aspetto più piacevole della partecipazione.

Lo consiglieresti a un aspirante scrittore?

Sì, lo consiglierei perché credo che sia importante non lasciare niente di intentato e perché si ha la possibilità di ricevere dei riscontri che possono aiutare a migliorarsi. Leggere i lavori altrui inoltre può essere davvero molto formativo. 

 Che cosa ci puoi dire della tua esperienza di lavoro con un editor?

L’esperienza è stata molto positiva. L’editor mi ha dato degli spunti per migliorare il romanzo e per rendere più solidi alcuni punti della trama. Mi ha davvero affiancata, senza mai sostituirsi a me e lasciandomi sempre l’ultima parola. Il romanzo ha avuto la sua forma definitiva grazie a questo lavoro di collaborazione e inoltre, considerato che per me era la prima esperienza di questo tipo, ho imparato davvero molto sulla scrittura e sui meccanismi della narrazione. 

“Operazione bestseller”: cosa fa di un libro un libro di successo?

“Il libro è scritto, editato, fresco di stampa, pronto a esser comprato e letto. Ma la strada che dalla tipografia arriva ai nostri comodini è lunga e talvolta impervia, fatta di momenti obbligati e scorciatoie, salti quantici e giravolte improvvise”.

Tra distribuzione libraria e attività promozionali che creano curiosità – e inducono all’acquisto – Operazione bestseller, nuova uscita (in libreria per Ponte alle Grazie) di Valentina Notarberardino, racconta quali sono le iniziative attraverso cui gli editori mirano a raccontare al mondo che un libro esiste, e a vendere il maggior numero di copie possibile, fino ad arrivare, se fortunati, in classifica.

L’autrice classe ’81, dopo Fuori di testo, realizza questa analisi grazie alle parole dei protagonisti del settore – editori ed editor, direttori commerciali, direttori dei premi letterari, librai, responsabili di festival e fiere, giornalisti culturali, conduttori televisivi, autori di podcast e, ovviamente, scrittrici e scrittori, tutti intervistati in esclusiva.

Con la curiosità di chi è abituata a indagare i dietro le quinte dell’editoria, Valentina Notarberardino guida lettrici e lettori attraverso i passaggi e le strategie utili a innescare il domino del bestseller, provando a rispondere all’eterna domanda: cosa fa di un libro un libro di successo?

La risposta nelle numerose testimonianze inedite, tra cui quelle di Alessandra Casella, Alessandro Della Casa, Antonio Franchini, Antonio Pascale, Barbara e Francesca Pieralice, Bruno Luverà, Caterina Marietti, Enrico Carraro, Enza Campino, Filippo Guglielmone, Francesca Pieralice, Gaia Manzini, Gian Marco Griffi, Gianluigi Simonetti, Giorgio Zanchini, Giuseppe Laterza, GFK, Mario Desiati, Matteo B. Bianchi, Michele Foschini, Monica Manzotti, Nicola Lagioia, Paolo Di Stefano, Romano Montroni, Simonetta Pillon e Stefano Petrocchi.

operazione bestseller Valentina Notarberardino

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto:

I libri nelle trasmissioni generaliste

Quando si parla di libri in tv è opportuno distinguere tra le trasmissioni specifiche di cui abbiamo dato conto finora, e i programmi generalisti in cui si parla anche di libri, quali ad esempio Domenica In di Mara Venier, Che tempo che fa di Fabio Fazio o il Maurizio Costanzo Show, e che hanno avuto e hanno ascolti molto alti. Offrono quindi una grande occasione di promozione perché possono arrivare a un pubblico molto più ampio rispetto ai programmi di settore.

Sempre Giorgio Zanchini ci aiuta a riflettere sull’efficacia commerciale di questo tipo di programmi in termini di vendite, sicuramente forte qualche anno fa, anche più dei format dedicati, un po’ meno oggi nell’era della frammentazione dei pubblici.

Un esempio di libro passato per gli studi di Domenica In e baciato dal successo grazie a un’intervista con «zia Mara» Venier ce lo fornisce Filippo Guglielmone. «Un caso che mi ha molto colpito, e che conferma che non c’è una regola sempre valida per il bestseller, è quello di Come un respiro di Ozpetek, uscito nel 2020 con una tiratura importante ma non gigantesca, e arrivato a oltre 200.000 copie». L’innesco è stata un’intervista. «Ozpetek ha deciso di aprirsi e questo è arrivato alle persone. Il valore moltiplicativo delle apparizioni tv ormai è sempre più basso se l’autore non riesce a trasferire delle emozioni. In quel caso lui lo aveva fatto in maniera molto forte, e il fatto che fosse domenica pomeriggio, con un’audience importante, ha garantito un incremento straordinario delle vendite».

Un passaggio a Domenica In, anche solo per lo share di cui gode la trasmissione, è considerato una garanzia da molti uffici stampa, anche se naturalmente questa equazione non vale con tutti i libri e per tutti gli autori. Funziona soprattutto con chi ha una capacità di bucare lo schermo, altrimenti il tutto si risolve con un’ospitata.

Fino a dieci anni fa con un’intervista da Fabio Fazio l’editore poteva quasi matematicamente calcolare il tipo di ristampa da fare in funzione del tipo di autore: oggi non è più così scontato. «Probabilmente quel tipo di talk è un po’ più stanco rispetto ad altri format. Abbiamo osservato una dinamica calante rispetto alle vendite. All’inizio degli anni Dieci l’attività dell’ufficio stampa era concentrata su due schemi: celebrity books + ospitata da Fazio, che voleva dire dalle 30 alle 100.000 copie in più a seconda del tipo di scrittore. Dieci anni fa ci potevi scommettere, oggi non succede più. Oggi non c’è un media su cui puoi fare previsioni accurate in anticipo, la dieta mediatica è molto più frammentata e creare l’echo-chamber è molto più complicato». Ancora una volta, canali come TikTok hanno scalzato la forza comunicativa della televisione. «Molte delle dinamiche importanti in termini di vendite le stiamo riscontrando sui canali social, su un pubblico più giovane».

erin doom fabio fazio

Anche Antonio Pascale, che oltre a essere scrittore è autore di programmi televisivi, tra cui Belve, sostiene che non esistano allo stato attuale dei formati interessanti sui libri intesi come strumenti per muoversi nel mondo, a parte quello di Fazio. «Gli unici che esistono sono abbastanza noiosi. Solo Che tempo che fa in determinate condizioni riusciva a far vendere i libri. Qualche anno fa Pippo Baudo mi diceva che negli anni Ottanta e Novanta Domenica In faceva vendere molto. Chiaramente non i romanzi di Moravia, ma libri più generalisti adatti al pubblico della trasmissione».

Ma allora qual è stata la formula magica che ha portato Che tempo che fa a diventare uno dei programmi più corteggiati dagli editori? La storia degli esordi è curiosa. Nato nel 2003 con la conduzione di Fabio Fazio come format di informazione a tema prettamente meteorologico, come suggerisce anche il titolo, dall’anno successivo cambiò impostazione, trasformandosi in un talk show dedicato all’attualità, all’intrattenimento e alla cultura. Partito dalla collocazione in prima serata su Rai 3 è andato in onda in diversi orari per alcune stagioni anche su Rai 1 e Rai 2, per poi stabilizzarsi come trasmissione di punta della terza rete fino a maggio 2023, prima del passaggio sul canale Nove di Discovery. Con 1200 puntate complessive, è il programma più visto di Rai 3 con una media di 2,4 milioni di telespettatori a serata. Grazie agli ascolti di Che tempo che fa, Nove è stata in alcune occasioni la seconda rete d’Italia.

Sono molti gli scrittori italiani e internazionali transitati sul divano di Fazio: David Grossman, Ken Follett, Piero Angela, Barack Obama, Roberto Saviano subito dopo l’uscita di Gomorra e poi quasi per tutti i suoi libri, Fabio Volo e molti altri. Negli anni il conduttore è stato affiancato da altri pensatori e intellettuali per i consigli di libri e autori, come Giovanna Zucconi, Massimo Gramellini, Michele Serra. A beneficiare dell’effetto moltiplicatore delle vendite anche scrittori non presenti in studio e libri non del tutto contemporanei, come quelli che consigliava Roberto Saviano, dalla poetessa polacca Wisława Szymborska a Vasilij Grossman solo per citarne alcuni. Il 4 febbraio 2012, a pochi giorni dalla morte del Premio Nobel per la letteratura 1996, Saviano legge una poesia di Szymborska dal libro La gioia di scrivere (Adelphi): quasi in contemporanea su Amazon se ne vendono circa ottocento copie. Adelphi farà di seguito due ristampe da 15.000 copie l’una.

Del boom di vendite esploso con il passaggio di Lara Cardella al Maurizio Costanzo Show con il suo libro Volevo i pantaloni abbiamo già detto. Il salotto serale di Maurizio Costanzo, andato in onda dal Teatro Parioli di Roma, con alcuni anni di interruzione, dal 1982 al 2022 sulle reti Mediaset è stato un punto di riferimento per molti telespettatori e lettori. La prima edizione del libro di Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, che abbiamo già citato, uscì per Theoria nel 1991. Nel
libro Einaudi elogiava il Maurizio Costanzo Show come unica trasmissione televisiva in cui si parlava di libri. L’editore torinese, a cui sarebbe piaciuto tenere una rubrica sui libri in tv pur dichiarandosi non esperto, auspicava uno spazio dove ospitare un dialogo approfondito tra uno scrittore e un critico, una discussione sulle recensioni uscite, con il coinvolgimento di due-tre lettori. Una cosa seria, non come Costanzo che considera il più bravo di tutti

ma che fa sempre cose un po’ sue personali, di umore, di atmosfera o di tema generale. Non è che sia un dibattito sul libro. Uno spegne e dice: simpatico quello scrittore lì, quell’altro però è una barba. Non c’è mai vera tensione positiva o negativa sul libro, né è questo che interessa Costanzo. La tv ha poi una forza tale che il libro, anche se già sepolto, risorgerebbe subito in vetrina. Un miracolo che difficilmente anche la penna più fina riesce a fare.

L’atmosfera del salotto più amato dagli italiani ha diffuso il suo «tocco magico» sui titoli di Susanna Tamaro, Giobbe Covatta, Luciano De Crescenzo, Alberto Bevilacqua ospite quasi fisso, Aldo Busi, Maurizio Maggiani, Alda Merini e molti altri. Successo, fama e vendite erano tre ingredienti sempre associati a quel programma televisivo in cui Costanzo funzionava da garanzia di qualità, proponendo una sorta di suo canone personale.

Nel 1985 la casa editrice Adelphi su volontà dell’editore Roberto Calasso pubblica L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, tra i maggiori bestseller degli ultimi quarant’anni. Con una prudente tiratura iniziale di 10.000 copie, le vendite decolleranno, per ammissione dello stesso Calasso, grazie a Roberto D’Agostino, che si era innamorato finanche del titolo di quel romanzo e lo utilizzava quasi come fosse un tormentone nella trasmissione televisiva Quelli della notte condotta da Renzo Arbore (da aprile a giugno 1985). In un anno si vendettero 225.000 copie. Il libro è tornato in classifica dopo la morte di Kundera, ma c’è chi sostiene che il successo originario di quel romanzo abbia salvato Adelphi da un momento di crisi in cui versava.

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it