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Senza il melodramma non avremmo avuto romanzi e serie tv per come li conosciamo

20 Febbraio 2024 |
di
Giuseppe Carrara
Nato negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese, il melodramma, da genere teatrale, si fa presto forma dell’immaginazione, per influire in maniera determinante nello sviluppo del romanzo (e non solo). È tornato in libreria "L’immaginazione melodrammatica", fondamentale saggio del 1976 di Peter Brooks. In definitiva, l'analisi del grande critico letterario statunitense è animata dalla consapevolezza che le forme dell’arte sono dei mezzi privilegiati per l’interpretazione dell’esperienza umana, e il melodramma, in questo senso, offre l’occasione di verificare come storicamente abbiamo cercato di trarre un senso dalla vita...

Nei primi decenni dell’Ottocento il Boulevard du Temple, che da Place de la République porta verso la Bastiglia, si popola in maniera esponenziale di teatri, caffè, luoghi dove si poteva assistere agli spettacoli non ammessi nei teatri ufficiali, e che si caratterizzavano da grandi eccessi drammatici, virtù minacciate, crimini di ogni sorta, al punto che i parigini iniziarono a chiamare quel viale il Boulevard du Crime.

È in quel contesto che si sviluppa uno dei generi teatrali che può hanno formato e l’immaginario moderno, e che non cessa di esercitare un enorme influsso sulla produzione culturale odierna. Si tratta del melodramma, che nasce negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese, per supplire alla liquidazione del concetto di sacro e delle sue istituzioni principali: chiesa e monarchia; con la fine delle strutture gerarchiche dell’Ancien Règime finiscono anche le forme letterarie più legate a quell’ordinamento sociale e quel vuoto è stato colmato dal melodramma, che da genere teatrale si fa presto forma dell’immaginazione per influire in maniera determinante nello sviluppo del romanzo. O almeno questa è l’interpretazione che ne dà Peter Brooks ne L’immaginazione melodrammatica, uscito negli Stati Uniti nel 1976, tradotto in italiano per la prima volta nel 1985 e ora, dopo essere rimasto a lungo un libro introvabile, è tornato in libreria per Il Saggiatore.

L'immaginazione melodrammatica di Peter Brooks

E vale la pena dirlo subito: L’immaginazione melodrammatica è uno dei più bei libri di teoria letteraria del secolo scorso e uno dei primi a prendere seriamente delle forme d’espressione popolari (come il melodramma, appunto) per legarle in maniera decisiva allo sviluppo del romanzo moderno, e in particolare quel tipo di romanzo incarnato da Balzac e Henry James, cui sono dedicati i due capitoli finali del libro (“Il romanzo, che è nato come genere risolutamente popolare, può aver bisogno di rinnovarsi attraverso il contatto con le forme più grossolanamente e sfacciatamente popolari”).

Per Brooks si tratta, in fondo, di capire come le forme estetiche hanno risposto a quella grande cesura storica che è la fine del mondo di antico regime. È una questione su cui molti critici del Novecento si sono interrogati (basti pensare, per fare l’esempio forse più noto a Menzogna romantica e verità romanzesca di René Girard), e la risposta data da Brooks è, appunto, l’immaginazione melodrammatica, delineatasi, con il genere del melodramma agli inizi dell’Ottocento, e divenuta un elemento vitale per l’immaginario moderno. Perché “il melodramma diviene lo strumento privilegiato per la scoperta e la traduzione in termini operativi di un mondo etico fondamentale in un’epoca ormai lontana dal sacro”.

Il melodramma infatti, come mostra la minuziosa analisi dei primi capitoli, è un genere mosso dal desiderio di dire e di esprimere tutto: i personaggi si pongono all’intersezione fra forze etiche primordiali e assumono ruoli psichici primari, il mondo si regge secondo una costante opposizioni di forze manichee. Il canovaccio della virtù e dell’innocenza minacciata da un villan, su cui si basa la gran parte delle trame melodrammatiche, si colora di tonalità iperboliche per far emergere con chiarezza i conflitti cruciali fra i personaggi e rassicurarci sulla leggibilità dell’universo, sulla sua identità morale, sulla sua capacità di produrre un significato: il melodramma, scrive Brooks, “si è assunto il compito di riorganizzare un sistema etico occultato e represso”. Questo sistema etico represso viene portato alla luce soprattutto attraverso l’estroflessione dei sentimenti: “In un mondo ormai lontano dal Sacro, gli imperativi morali hanno subito una riduzione a livello sentimentale, e vengono comunemente identificati con alterazioni della coscienza o dei rapporti psichici, per cui l’espressione di emozioni diventa indistinguibile dalla rivelazione di principi morali”.

Questa struttura Brooks la ritrova e la analizza, in particolare, nelle opere di Balzac e James, mostrando come una certa estetica romanzesca si sia appropriata dei moduli melodrammatici per esprimere le stesse preoccupazioni: il genere senza dubbio più importante della modernità, il romanzo, si stringe senza dubbio a uno dei più popolari e denigrati. Così, la poetica di Balzac cerca di “tradurre in realtà la sostanza morale della vita”, proprio come fa il melodramma, costruendo una complessa impalcatura di gesti, situazioni, forme, che dal piano della realtà diventano significativi di un ordine nascosto, più profondo, dietro la realtà stessa. Allo stesso modo l’estetica di James si basa, per Brooks, su un manicheismo morale che sostanzia la sua visione del mondo sociale in cui i personaggi sono quotidianamente chiamati a operare scelte drammatiche fra alternative morali esasperanti, e ogni gesto, “per quanto frivolo e irrilevante possa sembrare, si carica del conflitto fra luce e tenebre, salvezza e dannazione”.

L’analisi di Brooks è, in definitiva, animata dalla consapevolezza che le forme dell’arte sono dei mezzi privilegiati per l’interpretazione dell’esperienza umana, e il melodramma, in questo senso, offre l’occasione di verificare come storicamente abbiamo cercato di trarre un senso dalla vita.

Non a caso l’immaginazione melodrammatica, dall’immenso successo delle opere di Pixérecourt a oggi, rimane una delle costanti del nostro immaginario che dal romanzo realista ottocentesco si è riversato nel cinema hollywoodiano, nei polizieschi, nei western, nelle serie TV ospedaliere: e lo stesso successo di questi generi, avvertiva già Brooks alla fine degli anni Settanta, deriva proprio dal fatto che offrono una rappresentazione dei conflitti melodrammatici con la massima chiarezza e economia.

Queste forme narrative spettacolari, conclude Brooks, “sono a un tempo inquietanti e esaltanti, in quanto rivelano la presenza nel mondo di forze che avvertiamo all’interno di noi stessi. Da un lato vogliamo credere, dall’altro vorremmo non sapere, che viviamo sull’orlo del baratro”.

Fonte: www.illibraio.it

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