Torneo IoScrittore: l’ebook di “Io non ti lascio solo” di Gianluca Antoni, una fiaba noir

Arriva l’edizione ebook di Io non ti lascio solo di Gianluca Antoni, tra i finalisti dell’ultima edizione di IoScrittore, il torneo letterario gratuito promosso dal gruppo editoriale Mauri Spagnol e dalle sue case editrici. Il libro di Antoni, nella foto grande, è una fiaba noir metaforica sulla crescita e sulla conquista dell’armonia e del benessere interiore dopo il superamento di un trauma.

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Il maresciallo De Benedittis, prossimo alla pensione, sa bene che certi casi sono come vecchie ferite mai guarite: prima o poi si riaprono. E quando gli vengono portati due vecchi diari ritrovati nella casa dove viveva Guelfo Tabacci – un montanaro scorbutico e solitario che, trent’anni prima, era stato al centro della terribile vicenda della scomparsa del figlio Tommaso, di soli due anni, mai più ritrovato – tutto il dolore di quella vecchia ferita si rifà vivo più che mai. I due diari appartengono a Filo e Rullo, due ragazzini, amici per la pelle, e raccontano le vicende di quell’estate di vent’anni prima alla ricerca dell’amato cane Birillo, e della loro incursione nella proprietà di Guelfo Tabacci, dove scopriranno una realtà sconcertante, che li costringerà ad affrontare prove assai più grandi di loro. Forse, quei diari contengono la soluzione, pensa il maresciallo. Forse racchiudono il senso di tutti quegli anni trascorsi nel silenzio e nell’attesa della verità sulla sorte di Tommaso. O forse quei diari raccontano un enigma ancora più profondo e inquietante. E il maresciallo De Benedittis sa di non aver altra scelta che aprirli…

Fonte: www.illibraio.it

Luigi Maieron, autore di Quasi niente, scritto a quattro mani con Mauro Corona, ci svela i segreti della sua scrittura

Luigi Maieron, cantautore, originario di un paesino della Carnia, ha ereditato dal nonno e dalla madre la passione per la musica. Ha vinto il premio Friùl (1997) e ben tre edizioni del Festival del canto friulano (1993, 1995, 2012). Nel 2002 con l’album Si vîf si è aggiudicato il secondo posto al premio Tenco. Nel 2004 pubblica il suo primo romanzo La neve di Anna cui è seguito il bestseller Quasi niente, scritto con Mauro Corona (Chiarelettere, 2017), e Te lo giuro sul cielo (Chiarelettere, 2018).

 

Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?

Il mio primo romanzo, La neve di Anna, è arrivato quasi per caso, non avevo mai preso in considerazione di scriverne uno, prima. Mi bastava scrivere canzoni, una passione che mi ha seguito fin dall’adolescenza. In realtà non mi decidevo neppure a pubblicare CD, avevo pubblicato Anime femine (Anima donna) nel 1996, e per una forma di timidezza continuavo il mio gioco compositivo più per compagnia; impegnavo così i miei pomeriggi carnici, li trascorrevo in compagnia di chitarra e penna che sostituivano secchiello e paletta. Poi, un amico, Nicola Cossar, fece ascoltare a Massimo Bubola, autore di canzoni di successo e collaboratore storico di Fabrizio De André, alcune mie canzoni. Bubola mi chiese di registrare un CD e volle produrlo. Il CD si intitola Si vîf (Si vive). L’editore della Biblioteca dell’Immagine, Giovanni Santarossa, venne a trovarmi e mi chiese: “Da dove nasce un CD come Si vîf? Me lo racconti in un libro?”

Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editor della casa editrice?

La neve di Anna è un libro a cui sono molto legato, e con questo pensavo di aver chiuso con l’esperienza della scrittura. Negli ultimi anni, forse anche per difficili vicende di vita, ho ripreso a scrivere. L’incontro con Maurizio Donati, editor di Chiarelettere, è stato decisivo. Sua l’idea di Quasi niente, un libro a quattro mani con Mauro Corona, sgorgato come un ruscello di montagna, in modo fresco e naturale. A Quasi niente è poi seguito Te lo giuro sul cielo, un libro a cui tengo molto, per i contenuti e per l’insieme di leggerezza e profondità che conserva tra le sue pagine. Te lo giuro sul cielo apre la porta a tanti personaggi, li fa accomodare, ascolta il loro punto di vista. Racconta il valore della semplicità, e soprattutto i rapporti tra figlio e madre. Volevo parlarne, portare una testimonianza. Il particolare rapporto che ho avuto con mia madre penso trovi riscontro in tante persone cresciute in modo singolare, è il punto centrale della nostra crescita, ci lascia segni indelebili e solo il tempo ci spiega il significato vero del nostro strano rapporto. L’editor mi ha molto aiutato a tenere la barra dritta, a non avventurarmi in troppe considerazioni, a dare un ordine consequenziale alla scrittura e soprattutto a tenere solo il necessario. Per troppa passione si rischia di dire troppo. La scrittura è diventata più adulta, senza perdere di vista il tratto sbarazzino sempre necessario in storie di questo tipo.

Quando scrivi pensi a un lettore ideale?

Sì, persone che si fanno domande e che cercano risposte. Persone che non si accontentano di facili promesse o di facili ottimismi. Penso che chi ti legge ti dedica del tempo, viene a casa tua, viene a trovarti. Considero l’attenzione di un lettore un privilegio ed io non debbo fargli perdere tempo, anzi vorrei che dicesse: “Sono contento di essere stato a casa di questo strano personaggio, di averlo conosciuto”. Sentire che qualcuno prova gratitudine per quello che hai scritto è il massimo delle soddisfazioni, niente ti ripaga più di un: “Grazie per avermi fatto compagnia, grazie per avermi raccontato la storia di Tite, o Cecilia, grazie per avermeli fatti conoscere”.

Che importanza hanno le riscritture?

Crescere è una passeggiata in salita, si fa fatica mentre si cammina ma poi dall’alto si vede un panorama più ampio. Dovrebbe essere questa l’importanza della riscrittura, guardare le cose da un panorama più largo, dopo aver fatto tutta la fatica che serve per arrivare in cima. La fatica rende il passo più consapevole. Asperità, buche, sudore trovano il conforto di uno squarcio di cielo, del tremolio delle foglie, del canto degli uccelli e dei giochi d’ombre della luce. La fatica rende piacevole ogni aspetto dell’esistenza, perché ci regala la consapevolezza della meraviglia della vita, sempre, anche nella sofferenza.

Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?

Leggi molto, ascoltati, cerca un tuo linguaggio che deve essere spontaneo, ma ascolta sempre il punto di vista del mondo, mai pensare di sopraffarlo, ma mai essere troppo timido da non parlare. E poi umiltà nel tuo discorso, e consapevolezza che non siamo mai troppo importanti, se non per cercare un linguaggio imparentato con l’utilità. Cercare di essere utili anche nella scrittura, a misura di quell’umanità che aspira a fare qualcosa non solo per sé stessa ma anche per gli altri.

 

I giudizi su Te lo giuro sul cielo:

“Splendido libro… Onore al merito, caro compare.” Mauro Corona

“Bastano poche pagine per entrare nel piccolo mondo antico rievocato da Luigi – la voce narrante – tra i nonni severi, i compaesani dai mille soprannomi, la miseria e quella scintilla di allegria che tutto fa superare.” Monica Virgili, IO Donna

Da un artista dal talento poliedrico, Francesco Maria Colombo, i consigli su come scrivere un romanzo

Questa volta i consigli per gli aspiranti scrittori li abbiamo chiesti a un artista dal talento poliedrico: Francesco Maria Colombo, musicista, direttore d’orchestra, critico musicale, fotografo, autore e conduttore del programma televisivo Papillons, in onda su Classica HD nel circuito Sky, scrittore. Il suo primo romanzo, Il tuo sguardo nero (Ponte alle Grazie, 2018), ripercorre la travolgente storia d’amore clandestina tra Pierre Louÿs e Marie de Heredia.

 

Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?

Ho fatto e faccio diverse cose nella vita, il direttore d’orchestra, il fotografo, senza dimenticare il preparatore di cocktail eccellenti. Però la prima cosa che ho fatto è il giornalista, lavorando al Corriere della Sera. Questo ha permesso di rendere nota la mia scrittura a parecchie persone, tra le quali quello che sarebbe poi stato, dopo decenni, il mio editore. In un certo senso sono partito avvantaggiato, ma è stato proprio parlando con l’editore che è venuta l’idea di uscire dalla dimensione saggistica e di affrontare il genere narrativo.

Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editore della casa editrice?

Mi ha fatto risparmiare una somma considerevole che se ne sarebbe andata in psicoanalisi. È stato per un anno la mia coperta di Linus.

Quando scrivi pensi a un lettore ideale?

Scrivo per un lettore che stimo, e per questo non gli do la pappa pronta. Il mio romanzo ha diversi livelli strutturali che permettono una diversa cognizione del contenuto. Lo si può leggere come una storia d’amore, come un’autobiografia, ma anche come un labirinto in cui l’autore guida il lettore solo fino a un certo punto: una parte importante del libro è, in un certo senso, scritta dal lettore attraverso la sua immaginazione e la sua capacità di individuare i nessi nascosti, le piste false e le piste vere. Il romanzo come labirinto (se devo fare l’esempio più illustre che mi venga in mente penso a Fuoco pallido di Nabokov) è quanto più mi affascina in letteratura, come lettore.

Che importanza hanno le riscritture?

Nel mio caso hanno un’importanza minima, perché ho usato un metodo di scrittura molto preciso: ho messo a punto, lungo tutto un anno, la preparazione storica sulle fonti (non c’è un solo fatto nel romanzo che non sia documentato) e soprattutto sulla struttura, che è per me la cosa più importante. Quando ho avuto l’ossatura davanti a me, limpida, con le relazioni tra una cosa e l’altra chiarite a me stesso, scrivere è stato semplice. Ho scritto 331 pagine in 23 giorni, scegliendo una specie di esilio in una città che mi piace e dove non conosco nessuno (Amburgo). Nove ore al giorno di scrittura, ma senza fatica perché sapevo dove andare. Alla prima stesura sono seguiti aggiustamenti minuscoli, qualche sostituzione di parole, il controllo delle allitterazioni attraverso la lettura ad alta voce (metodo flaubertiano efficacissimo), in qualche caso l’affinamento delle traduzioni dal francese cui ho dovuto provvedere. Ma direi che tra la prima stesura e la definitiva non ci sono più di 40-50 parole che ho cambiato.

Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?

Mi riesce molto difficile: primo perché non sono uno scrittore esperto ma uno che ha pubblicato il suo primo romanzo dopo i cinquant’anni; secondo perché il metodo che ho usato io può non funzionare per altri. Una cosa posso suggerire (ma più da lettore che non da scrittore): di non aver paura di scrivere a modo proprio, senza tener conto degli standard imposti quasi sempre dagli editor e dalle case editrici, cosa che a me non è assolutamente accaduta, ma di cui ci si rende conto facilmente sfogliando tanta narrativa contemporanea. Cercare l’individuazione dello stile anziché il piacionismo rassicurante. Infine non aver paura di una scrittura “alta”, quando la si sente dentro: leggo molti romanzi in cui la scrittura insegue i solecismi popolari e il linguaggio della televisione, forse per paura di arroccarsi in una torre d’avorio, al riparo dello stile. Ma lo stile non è un dato accessorio: lo stile è la narrativa, e non vedo ragione di modificarlo per venire incontro a un gusto “medio”. Ultima cosa: quando si comincia a scrivere, prima di aver trovato un editore, consiglio di leggere a più persone quel che si è scritto. La scrittura è efficace quando incontra l’interesse dell’altro, in assenza di questa risposta credo che si stia fallendo il bersaglio.

Musicista, fotografo, scrittore. Qual è il filo rosso, se c’è, che tiene insieme queste tre arti nella tua impronta creativa?

Non c’è. La base delle diverse attività è una sola, riguarda il mio rapporto con la vita e la mia percezione estetica. Ma non esiste un collegamento tra il gesto di scrivere e quello di dirigere un’orchestra o di fotografare. È come se mi dimenticassi di tutto il resto della mia vita. Poi, a cose fatte, riemergo dall’apnea.