Fare soldi scrivendo libri: ieri, oggi, domani. Il guadagno degli autori sugli e-book

Nella puntata precedente abbiamo visto se e come si può diventare ricchi scrivendo libri. Ora cerchiamo di capire qual è il guadagno di uno scrittore sugli e-book.

Lo stesso meccanismo di remunerazione della copia cartacea è stato applicato agli e-book. L’autore riceve una percentuale sul prezzo di ogni copia venduta, con percentuali diverse considerata la riduzione dei costi: i diritti vanno dal 20% dei grandi editori al 70% delle piattaforme di self publishing (al netto delle spese).

In teoria, non è cambiato nulla ed è sempre possibile far (molti) soldi con i libri elettronici esattamente come accadeva con i libri di carta.

In pratica la situazione è un po’ più complicata. In genere i libri elettronici hanno un prezzo leggermente inferiore al corrispondente libro di carta: solo un piccolo sconto, perché gli editori “tradizionali” non vogliono fare eccessiva concorrenza al loro core business e alienarsi i librai (salvo le operazioni di sconti e supersconti temporanei consentiti dal commercio elettronico).

Tuttavia moltissimi libri elettronici, soprattutto quelli auto-pubblicati, vengono venduti a prezzi bassissimi, come il classico 0,99 €. Per accumulare significativi diritti d’autore sono necessari volumi di vendita enormi, un traguardo che quasi nessuno raggiunge.

Se quelli degli e-book sono dunque spesso micropagamenti, quelli che incassano autori ed editori di micronarrativa sono ancora più microscopici. nanoism.net, il sito curato da Ben White che pubblica testi lunghi al massimo 140 battute e li posta su twitter, ricompensa gli autori dei testi selezionati con nanopagamenti: attualmente 1,50 $ per una nanostoria, 5 $ per un nanoserial di 3-7 puntate.

Il passaggio al digitale comporta una mutazione ancora più profonda, che investe la natura stessa del prodotto culturale, all’interno di un più ampio processo di commodification.

I libri (ma anche le canzoni o i giornali) da bene di consumo (cioè un oggetto che si può vendere e comprare) diventano un servizio di cui si può usufruire, senza però possedere alcun oggetto materiale. È per questo motivo che l’Unione Europea differenzia l’IVA tra cartaceo e digitale: in Italia pesa il 4% per il bene di consumo e il 22% per il servizio.

Siamo nell’economia della condivisione. Non è più necessario possedere un’automobile o un utensile, basta avere la possibilità di usarlo. Lo stesso vale per i libri, che non si possono accumulare in case che si sono fatte sempre più piccole. Insomma, per un libro basta avere la possibilità di leggerlo. È la libertà apparentemente infinita della sharing economy di cui parla Evegnij Morozov, dove «quelli che non possiedono nulla hanno l’illusione di una vita comoda, affittando beni altrui».

La condivisione può interessare anche il cartaceo: la app Pickmybook (ideata dalla giovane torinese Arianna Cortese) consente di condividere libri usati ed è particolarmente apprezzata per procacciarsi libri di testo.

Per quanto riguarda gli e-book, le biblioteche pubbliche sono state le prime a sperimentare articolate forme di condivisione, vincendo le resistenze degli editori. Un volume cartaceo può essere preso in prestito da un solo utente alla volta, ma una volta scaricato il file una biblioteca in teoria può far leggere contemporaneamente un e-book a un numero infinito di lettori. Per gestire e regolare il processo (e limitare il numero di condivisioni) sono state create apposite convenzioni e piattaforme (in Italia MLOL).

Quello della commodification è un processo che prima dei libri ha interessato la musica (con servizi come Spotify, i-Tunes/Apple Music e Google Play Music) e il cinema e la televisione (Netflix). In rete sono attive da tempo piattaforme di condivisione di testi come Scribd e Oyster. Nel 2014 si è affacciata al settore anche Amazon.

«Tocca guardare il contesto più ampio. I libri non competono solo con i libri. I libri competono con Candy Candy, Twitter, Facebook, i film in streaming, i giornali che leggi gratis. È un mondo nuovo. Ed è molto importante non limitarsi a costruire un fossato intorno all’industria che cambia» (Corriere della Sera, 19 luglio 2014): così Russel Grandinetti, vicepresidente di Kindle for Amazon, ha spiegato la filosofia di Kindle Unlimited, un servizio che per 9,99 dollari al mese offre accesso illimitato a una biblioteca digitale di volumi elettronici e audiolibri.

Alla piattaforma non hanno aderito molti grandi gruppi editoriali: «Non si possono appiattire i libri, metterli sul mercato tutti allo stesso prezzo, indipendentemente dalla qualità e dal valore», ha obiettato Stefano Mauri (la Repubblica, 5 novembre 2014).

Peraltro un sistema analogo è adottato da alcune testate giornalistiche online, che pagano (o premiano) i collaboratori sulla base dei numero dei clic, dei “mi piace” e delle condivisioni.

Fare soldi scrivendo libri: ieri, oggi, domani. Si può diventare ricchi scrivendo libri?

Si può diventare ricchi scrivendo libri? Come si calcola il diritto d’autore? Un viaggio tra passato, presente e futuro. La prima puntata ci spiega come si può guadagnare scrivendo libri e che cos’è il diritto d’autore e quanto guadagna un autore pubblicato in e-book.

COME GUADAGNARE SCRIVENDO LIBRI?
Fino all’inizio del Cinquecento, prima della diffusione della stampa, la risposta sarebbe stata semplice: «Caro ragazzo, prima devi costruirti una fama di letterato. Poi trova un sovrano o un principe che ami le arti. Va bene anche una principessa… Devi iniziare a adularlo quanto basta affinché diventi il tuo patrono. A quel punto gli dedichi il tuo capolavoro nelle dovute forme. Conta sulla sua riconoscenza».

Con l’avvento della stampa, il mecenatismo dei potenti a beneficio del poeta cortigiano ha trovato un’alternativa. Il libro ha incontrato, prima ancora che dei lettori, un ampio pubblico disposto a pagare per avere la possibilità di leggere un testo.

È emersa la figura dell’autore, come strumento e artefice del marketing della propria opera. Il primo autore in senso moderno è stato forse Pietro Aretino, nella Venezia di Aldo Manuzio, una figura con un’aura di scandalo (i Sonetti lussuriosi), amico dei potenti (con cui corrispondeva), abile propagandista di se stesso: il primo intellettuale all’italiana.

 

IL DIRITTO D’AUTORE: COMPENSI A PERCENTUALE SULLE COPIE VENDUTE
Quando hanno capito che si potevano far soldi con i libri, gli autori hanno preteso la loro parte, con qualche difficoltà vista l’avidità degli stampatori, sia quelli a cui avevano venduto la loro opera sia quelli che la piratavano.

A partire dall’inizio del Settecento si sono così definite e diffuse la dottrina e la prassi del diritto d’autore (in parallelo con quella dei brevetti).

Il principio è semplice: il titolare morale e materiale dell’opera è l’autore, che ne resta proprietario, ma può cedere a un editore il diritto di sfruttamento.

È il meccanismo tuttora in vigore nell’editoria cartacea: l’autore riceve una percentuale sul prezzo di ogni copia venduta (tra il 4-5% per le edizioni economiche e il 12-15% per le edizioni trade di scrittori di grande successo).

La possibilità di guadagnarsi da vivere grazie ai proventi delle proprie opere cambia radicalmente lo statuto dell’autore: si emancipa dagli interessi, dal gusto e dagli umori un mecenate, e dipende dalle scelte del pubblico.

È un processo democratico: chi compra un libro (o un quotidiano, un cd, o un dvd) “vota” per quel libro (e il suo autore), per quel giornale, cd o dvd. È un fenomeno che ha un’immediata conseguenza politica: ha portato alla nascita dell’opinione pubblica e dunque della politica moderna.

Grazie ai diritti d’autore molti scrittori hanno fatto una fortuna. Ancora di più quando ai diritti per i romanzi si sono aggiunti quelli per i film: J.K. Rowling, la creatrice di Harry Potter, è una delle donne più ricche del mondo, il fatturato di autori-brand come James Patterson, Dan Brown o John Grisham vale quello di una grande azienda.

Leggi anche:
Fare soldi scrivendo libri: ieri, oggi, domani. Il guadagno degli autori sugli e-book
Fare soldi scrivendo libri: ieri, oggi, domani. Qual è il valore di un libro?
Fare soldi scrivendo libri: ieri, oggi, domani. Come funziona l’anticipo agli autori?

Il paradosso dell’esordiente: perché è più facile pubblicare il romanzo d’esordio del secondo libro?

Hai scritto un capolavoro. Nessuno te lo pubblica. Editori e agenti nemmeno ti rispondono.
Ti consoli, perché sei in buona compagnia. La storia della letteratura è piena di capolavori rifiutati da editori e agenti: da Moby Dick (“Ma chissenefrega dell’ennesima storia di naufragio?”) a Harry Potter, (“Ma dai! Un ragazzetto che va in un college inglese a studiare magia? Ti pare sensato? Siamo nel XX secolo, non è credibile”), passando per i romanzi di Samuel Beckett. Se questo è un uomo, forse il libro più importante del Novecento italiano, venne rifiutato da Einaudi (per capire i motivi del rifiuto, è utile leggere l’enciclopedico saggio che Marco Belpoliti ha dedicato all’opera di Primo Levi).
È una prima grande consolazione: ti trovi nell’eletta compagnia dei rifiutati, i geni misconosciuti della letteratura e dei best seller di tutti i tempi. Seconda consolazione: puoi convincerti che la pubblicazione di un libro sia determinata solo da una rete di raccomandazioni, amicizie, complicità, veti, antipatie, invidie. Insomma, sei l’ennesima vittima dalla mafia critico-editoriale.
Per fortuna non è così. Per cominciare, molti libri “pluririfiutati” sono poi stati pubblicati e sono diventati classici. In secondo luogo, tra i libri che non sono stati pubblicati ci sono milioni di testi orribili, inutili, illeggibili.
È assai improbabile che un capolavoro resti sconosciuto. In Italia operano oltre 6000 case editrici. Questo vuol dire oltre 4000 editori che si avvalgono della collaborazione di migliaia di editor, redattori, lettori, consulenti, agenti, scout…
Se hai scritto qualcosa di minimamente interessante, prima o poi la curiosità di uno di questi esperti si accenderà. Sono tutte persone alla disperata ricerca del giovane talento, del libro che venderà milioni di copie, dell’autore destinato al Nobel. È questa l’ambizione di ogni editore, di ogni editor, di ogni critico, di ogni. Hanno fame di esordienti da lanciare.
Gli altri editori non hanno capito il tuo libro, e dunque non lo possono pubblicare in maniera efficace. Per fare del tuo manoscritto un successo, è necessario in primo luogo l’entusiasmo dell’editore, convinto di aver trovato il libro “giusto”.
Insomma, se sei convinto che il tuo libro sia un capolavoro, non disperare! Insisti, è impossibile che nessuno se ne accorga. Prima o poi… Devi essere paziente e testardo (a far fruttare i consigli, e anche i rifiuti).
La conferma di questa ipotesi arriva dal “paradosso dell’esordiente”. Per un autore è più facile pubblicare il primo romanzo che pubblicare il secondo. La ragione è molto semplice.
Nella prima scena siete solo in due, e in mezzo c’è l’ultima bozza, quella che sta per andare in stampa: siete entrambi convinti che quello sia un ottimo libro. Un paio di mesi dopo, il libro è nelle librerie da qualche settimana. A giudicare quel libro non siete stati soltanto voi: lo hanno letto anche librai, critici, lettori… Possono sbagliarsi tutti: spesso ci appassioniamo in massa per la spazzatura e ignoriamo il genio. È capitato, capita, capiterà.
Però, nel breve periodo, che cosa succede a chi ha esordito con “un libro di insuccesso”? Su cento esordi, solo una piccola percentuale buca il muro dell’indifferenza. Un’altra fetta di libri ripaga faticosamente l’editore delle spese. Il resto degli esordi, la maggioranza degli esordi, si rivela invece un flop. Per gli autori di questi libri trovare un editore per il secondo romanzo non sarà facile…
Dunque, come nei duelli finali dei western, è importante che il primo colpo centri il bersaglio. Nei prossimi post, cercheremo di aggiustare la mira!

Leggi anche Come pubblicare un libro

Come curarsi con la scrittura: la testimonianza

La scrittura come cura di sé

Scrivere a motivo della propria fragilità è un’esperienza in grado di restituire grandi gioie.
Ho cominciato a scrivere gradualmente, a piccoli passi, osservando aspetti della mia vita fragile, limitata dalla malattia. Ho attraversato mesi in cui – in lista d’attesa per un trapianto di fegato – ho camminato sulla sottile linea di confine tra la vita e la morte. Una passeggiata tutt’altro che facile, per nulla divertente. Verrebbe da pensare che, passato il pericolo, sia naturale voler dimenticare. Invece no. Invece occorre ricordare e ricostruire per dare un senso a ciò che è accaduto. Per capire come, dopo il trauma, si sia ricomposta la propria umanità.

Se in quel periodo non avessi annotato qua e là pensieri sparsi, se non avessi deciso di comunicare con il resto del mondo attraverso la scrittura di un blog, se non avessi scritto lettere importanti alle persone più care, oggi non riuscirei a ricordare molto di quelle migliaia di pensieri, di emozioni e di scelte difficili che hanno fatto di quel periodo il vero spartiacque della mia vita.
Prima del trapianto. Dopo il trapianto. Nel mezzo, il mio sentiero che incrocia quello di un altro essere umano, caduto nella morte. Tra due vite, appunto: la mia e quella del donatore, la mia vita del prima e quella del dopo.

Un percorso complicato, difficile e accidentato. Tutti i propri sensi allerta nell’impegno della resistenza, tutti i pensieri concentrati, la vita contratta e finalizzata alla salvezza. Poi, dopo aver ricevuto il dono, c’è bisogno di sciogliere, di ammorbidire, di respirare. Di ritrovare le parole per raccontare la vita e per scoprirla di nuovo luminosa, proprio attraverso la scrittura.

È bello scrivere per ricordare. Cominci a tentoni e un poco in imbarazzo. Poi ti accorgi che le parole si scrivono, che arrivano piene di energia e di calore.
Attraverso il narrare ho potuto capire meglio ciò che mi è accaduto, ho potuto vedere cosa ho fatto io rispetto a ciò che mi è accaduto. Ho potuto vedere la nuova donna che si è formata proprio attraverso quello sforzo di superamento. Ho visto cosa succede e come ti trasformi quando getti il cuore oltre l’ostacolo e ti attrezzi per seguire la sua scia.

Raccontare tutto questo con franchezza, lungo le pagine di un libro, è stato come riattraversare i giorni, assegnando loro una maggiore verità e pregnanza. Mi sono presa cura di me, della mia storia. Ho guardato le mie fragilità. Ho narrato. Ora il cerchio si è chiuso, la vita ricomposta.

La scrittura ti cura e poi ti conduce verso nuova vita. Verso nuove narrazioni.

IL LIBRO E L’AUTRICE – Tra due vite. L’attesa, il trapianto, il ritorno (Giunti) racconta la vicenda reale di Laura. La trama? Nella vita di molti capita un evento che segna il confine tra un prima e un dopo, uno spartiacque. Una prova che siamo costretti ad affrontare, per la quale dobbiamo trovare il coraggio, fronteggiare la paura, nutrire la speranza. Per l’autrice questo spartiacque è il trapianto di fegato. Prima c’è il tempo sospeso dell’attesa, in cui la vita familiare scorre tra l’apparente normalità quotidiana e le assenze imposte da ricoveri sempre più frequenti. Poi la solitudine che segue l’operazione: risolti i problemi clinici, per i trapiantati non ci sono percorsi d’aiuto psicologico. Laura farà appello a tutte le sue risorse creative: un blog, la Libera Università dell’Autobiografa di Anghiari, un video, il canto… tutti modi per raccontarsi, condividere, guarire anche l’anima. Infine, il ritorno. Non alla normalità del prima bensì a un’esistenza nuova che si deve confrontare con quella precedente, ma anche con la vita di chi non c’è più.
Laura Mazzeri vive a Milano con il marito e due figli. Laureata in Filosofa, ha insegnato per molto tempo nella scuola primaria. Collabora da alcuni anni con la Libera Università dell’Autobiografa di Anghiari e si occupa di medicina narrativa.

Fonte: www.illibraio.it