L’importanza delle parole e delle storie: “Nannina” di Stefania Spanò per il debutto della nuova collana Garzanti “Gli schermi”

di Stefania Spanò

Le storie hanno il potere di cambiare il mondo, se non quello grande, almeno il proprio piccolo mondo, che per alcuni è l’unico in cui contare qualcosa.

Nannina, la protagonista del mio romanzo, questo fa, racconta storie, perché questo è: una cuntastroppole. Stroppola è una parola a cui non tutti legano un significato. È in effetti una narrazione orale inventata di sana pianta dal narratore di turno, il quale dice “il falso, volendo che sia tenuto per vero”. Mistifica dunque per rendere il verosimile più credibile del vero. Una parente molto stretta del romanzo insomma.

Ma quello che più mi seduce della stroppola è il suo rinunciare, almeno formalmente, allo statuto di storia edificante per travestirsi da storiella di poco conto e affidare la sua morale implicita all’interpretazione degli ascoltatori, sicura che ognuno le darà il senso di cui ha bisogno.

Tutti conoscerete invece i cunti (le fiabe) e i fatti (le storie e le leggende) perché una folta schiera di studiosi e di letterati li ha portati al grande pubblico. Cunti, fatti e stroppole però non sono sinonimi, ci sono importanti differenze tra loro: i fatti erano narrati soprattutto da uomini, che raccontavano storie realmente accadute, al limite fra il leggendario e il mitico. I cunti erano invece le fiabe e i racconti meravigliosi, le cui trame erano appartenute ai repertori dei bravi narratori e poi, solo molto tempo dopo, anche a quelli delle narratrici, che intrattenevano uditori domestici e spesso infantili. Il pubblico che sedeva sulle panche sistemate in qualche spiazzo del Molo di Napoli, assisteva allo spettacolo narrativo di un contastorie o cuntista, un raccontatore professionista che recitava per pochi spiccioli lunghe storie di paladini o di briganti, storie spesso udite altrove perché gli uomini, a differenza delle donne, potevano viaggiare a proprio piacimento.

Alle donne che restavano a casa veniva affidato, senza possibilità di rinuncia, l’incarico di allevare ed educare i figli, ai quali spesso raccontavano stroppole per dirgli indirettamente come si dovevano regolare per campare.

Nannina, realmente esistita e realmente mia nonna, decise di professionalizzare la pratica casalinga delle femmine, modellando su di essa la sua identità e diventando un importante punto di riferimento per la sua gente ed in questo trovò il suo riscatto.

Lei conosceva uno per uno i suoi spettatori e ne celebrava i passaggi d’età (nascita, menarca e dunque ingresso nell’età adulta, morte.) e i passaggi di stato (matrimoni, inaugurazioni di botteghe, ecc…) Scegliere un racconto, che potesse adattarsi alla situazione personale che l’amico, il vicino o il conoscente attraversava in quel momento, voleva dire conoscerne i turbamenti e le difficoltà e accompagnare il processo di evoluzione del singolo, grazie al quale poi tutta la comunità cresceva.

Chiaramente il suo uditorio prediletto era quello femminile. Lei raccontava alle donne per esortarle a tener vivi i loro desideri, a non sacrificarli e a dar loro il potere di cambiare la realtà circostante. Lo faceva cuntando, poiché la parola crea i mondi in cui andremo ad abitare e la possibilità stessa di parlare ed essere ascoltati è già potere.

Stefania Spanò foto di Pepe Russo Stefania Spanò nella foto di Pepe Russo

Rendendolo un mestiere, Nannina si prese il lusso di attingere anche al repertorio maschile, con la sfrontatezza che le diedero un pessimo carattere, anni di gavetta e un discreto successo di pubblico. Fu così che dalla sua bocca uscirono sia i cunti che le stroppole, ma mai cambiò lo status di cuntastroppole in quello di cuntista, con cui erano soliti appellarsi i maschi. Essa stessa infatti, era solita dire, facendosene un vanto, che aveva scelto per sé quest’etichetta «per non farsi mettere gli occhi addosso dai maschi», sottolineando sì il ruolo ancillare del femminile che, soprattutto se valente, doveva ben guardarsi dalle invidie di una società di stampo patriarcale, ma anche tenendo fede alla concezione secondo la quale il potere vero è quello che si esercita nella realtà dei fatti. “Nenne’ a nonna, comandare gli uomini è facile, basta fargli credere che comandano loro.” Insomma, che quel potere dovesse passare per la dissimulazione, a lei poco importava. A me invece importava tantissimo.

Da ragazzina io quella frase non la capivo, anzi mi faceva rabbia; consideravo uno spreco di energie, oltre che un sopruso, manipolare un uomo per esercitare un diritto di scelta. Ho cominciato a familiarizzare con quella frase solo dopo aver letto L’arte della gioia dell’immensa Sapienza, molto dopo averlo letto però; sulle prime, il romanzo mi ferì e sconvolse così tanto che lo odiai. Non riuscivo ad accettare che il riscatto femminile passasse ancora una volta, sempre e solo per la simulazione e l’inganno.

L’immagine di Modesta mi riportava a tutte le donne che avevo amato da bambina, come Filumena Marturano, che aveva dovuto ingannare un uomo per tutta la vita, pur di dare un cognome ai figli. Quelle donne non erano il ritratto della remissività, tutt’altro, ma mi ricordavano costantemente che, qualsiasi cosa io avessi voluto ottenere, sarei dovuta passare per la sopportazione e la cazzimma subdola. Non capivo che, anche grazie a quella sottile arte della manipolazione, noi donne eravamo riuscite perlomeno a capire cosa volevamo fare.

Per fortuna le cose non stanno più così, ma io ho dovuto mettermi a fare il suo mestiere di cuntastroppole per misurare la differenza che correva tra me e Nannina, come donna e come artista. Ho varcato soglie di cortili e girato piazze, provando a cucirmi addosso quel mestiere che non esiste più e che, così com’era, proprio non può più esistere, perché quel senso di comunità, in cui l’io e il noi si confondono, è sparito assieme alla generazione di mia nonna. È nella fatica di questo passaggio del testimone che nasce il mio romanzo, nella difficoltà di riadattare la stroppola a condizioni politiche e sociali mutate e nella sofferenza di prendere atto che, sotto tanti aspetti, io e Nannina, purtroppo e per fortuna, non siamo poi così diverse.

Nannina Stefania Spanò

L’AUTRICE E IL LIBRO – Stefania Spanò è una cantastorie, interprete Lis e insegnante di sostegno in una scuola secondaria di primo grado. Conduce da anni laboratori di teatro, scrittura creativa, comunicazione empatica e poesia visiva nelle periferie turbolente dell’hinterland napoletano, nel resto di Italia e all’estero. Nannina (Garzanti) è il suo romanzo d’esordio.

Veniamo ora alla trama. Il romanzo è ambientato a Secondigliano: Stephanie ha dieci anni e ogni volta che torna a casa si lamenta con la madre perché i suoi cugini giocano all’aperto e lei no. Il motivo è semplice: loro possono perché sono maschi, lei invece è una femmina. Dopo la scuola, si mette a leggere sul balcone, il solo spazio esterno in cui le è concesso di stare. Stephanie studia e studia perché sa che le parole sono la sua unica difesa contro il mondo. Gliel’ha detto la nonna nei pomeriggi passati a casa sua, due piani sotto nello stesso caseggiato: “Per le femmine tutte le cose sono più difficili. Devi imparare a difenderti. Tu devi sempre tenere il coraggio di parlare, Stephanie”. E se lo dice lei deve essere così. Del resto sua nonna è Nannina de Gennaro, detta Nannina la Cuntastroppole, la cantastorie.

Per alcuni è solo una vecchia pazza; per altri è colei che, grazie ai suoi cunti, i racconti recitati nei cortili, ha dato un’identità e una dignità alle madri di famiglia sfiancate dalla miseria e dalla protervia degli uomini. Con le sue storie, Nannina ha donato un volto a chi non l’aveva, ha riscattato i più deboli, ha fatto ridere e piangere. Ma adesso spetta a Stephanie riprendere la sua voce, cercare nei cunti un riscatto, il proprio riscatto, quello di una ragazza che ha un sogno: studiare e scoprire la libertà.

LA NUOVA COLLANA GLI SCHERMI – Come ci spiega Elisabetta Migliavada, direttrice editoriale di Garzanti, Nannina segna il debutto della nuova collana della casa editrice: “Gli schermi nasce da una consapevolezza ben precisa: in un mondo in cui la luce artificiale ci abbaglia, dai cellulari alla televisione, il libro è l’unico schermo la cui luce non cessa mai di splendere. Ad alimentarne la luminosità sono le voci degli scrittori, dotate di un potere di cui solo la letteratura è capace: restituirci noi stessi, le nostre paure, le nostre passioni, i nostri sogni, come uno specchio perfetto in cui rivedersi. Una buona lettura dipende anche dal lettore ed è così che anche i libri diventano schermi sui quali il lettore proietta i suoi sogni e la sua anima. A ispirarci nella scelta del nome della collana e nella sua essenza, è stato Fabio Mauri, Presidente di Garzanti nell’ultima parte della sua vita, che nel 1957 ha realizzato una serie di opere molto celebre, chiamata appunto Gli schermi. In questa nuova collana Garzanti si impegna a pubblicare storie, voci, mondi, personaggi in grado di mostrare la realtà in un’ottica diversa e inedita”.

Fonte: www.illibraio.it

Una ragazzina coraggiosa, un impermeabile dalle caratteristiche straordinarie, un nemico misterioso disposto a tutto pur di impossessarsene

Merilù Lanziani è l’autrice di “Le ceneri di Alisea“, romanzo edito da IoScrittore.

Il libro in una frase

Prendi un mondo imprevedibile, flagellato da misteriose tempeste magiche e popolato da persone capaci di Vedere ciò che sfugge a noi umani, aggiungici un ragazzo e una ragazza che non potrebbero essere più diversi tra loro e completa il tutto con una dose generosa di eventi inspiegabili, che ti faranno trattenere il fiato, ridere e sospirare: mescola energicamente e avrai ottenuto Le ceneri di Alisea.

Amici di scaffale

Tre saghe: Harry Potter di J. K. Rowling, Queste oscure materie di Philip Pullman e L’Attraversaspecchi di Christelle Dabos.

Segni particolari

  • Il romanzo nasconde alcune felici intuizioni di business se volete mettervi a commerciare caramelle e impermeabili magici.
  • In base al colore dei vostri occhi e dei vostri capelli vi saranno attribuite capacità fuori dal comune, quindi al termine della lettura vi sentirete molto più cool di prima.
  • La trama potrebbe farvi venire voglia di divorare il libro nel giro di poche ore e di maledire l’autrice (specialmente nel finale).

Dove e quando

Se state programmando la vostra prossima vacanza, vi consiglio di fare tappa ad Alisea. Copritevi bene, però: è una città dove il tempo atmosferico cambia da una via all’altra e potreste ritrovarvi nel bel mezzo di una tormenta di neve o sepolti da una duna di sabbia. Cercate anche di contenere l’emozione, perché gli alisiani sono in grado di Vedere quello che provate (così come di capire, con un solo sguardo, che aspetto avrete una volta invecchiati e tra quanti giorni vi verrà il raffreddore…). 

C’è solo un piccolo inconveniente: ultimamente, chi passeggia nella piazza principale di Alisea svanisce senza lasciare traccia e, mentre vi scrivo, una febbre misteriosa sta decimando gli abitanti della città. Sì, ripensandoci, forse non è proprio il periodo migliore per fare una capatina da queste parti… 

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Come e perché ho deciso di partecipare a IoScrittore

È da molto tempo che volevo partecipare a IoScrittore: ne avevo sentito parlare da un mio apprezzato professore all’università, ma sono trascorsi tanti anni prima che avessi tra le mani un romanzo adatto al torneo.

Quando mi sono iscritta ero davvero curiosa di scoprire in che modo scrivessero gli altri esordienti come me e che cosa avrebbero detto a proposito della mia storia, ma soprattutto speravo che qualche editor della Salani si appassionasse alle avventure di Calpurnia, la protagonista del romanzo, e decidesse di scommettere su di lei. Sono felice per ciò che ho imparato da questa esperienza (tre lezioni, tra tutte: 1) leggere le opere altrui aiuta a ridimensionarsi; 2) in quest’era di sovrapproduzione è meglio impugnare la penna solo quando si ha qualcosa di davvero importante da dire; 3) è più difficile giudicare l’opera di qualcuno che non accettare i giudizi sulla propria). 

“Le ceneri di Alisea”, il fantasy young adult di Merilù Lanziani: dal torneo IoScrittore alla pubblicazione

E se ti dicessi che esiste una città che ha per nome un vento, Alisea, in cui il tempo atmosferico cambia da una via all’altra in base all’ora e al giorno della settimana? Una città in cui gli abitanti nascono con occhi prodigiosi, che li rendono parte di uno Stormo ben preciso? Come i Nestor, capaci con un solo sguardo di sapere se pioverà o farà bello, oppure i Capovaccai, che riescono a vedere i bambini invecchiare nel giro di un secondo, o i Falcetti, in grado di scorgere le emozioni altrui svolazzare come insetti. Ma non è solo questo a rendere singolare Alisea, no…

Ci sono anche le sue beffarde torri campanarie – la Papessa, l’Appeso, gli Amanti e il Bagatto – che stanno a guardia del Quadrato Magico, un luogo sinistro in cui nessuno sano di mente metterebbe mai piede. E vogliamo parlare del galleggiante Mercato delle Granaglie, in cui si fanno affari scambiando Promesse e Giuramenti? Senza dimenticare Orior, la misteriosa febbre che miete vittime, e neppure l’Ora Burrascosa, quando si scatenano tempeste che distruggono ogni cosa…

Le ceneri di Alisea di Merilù Lanziani

È proprio nella terribile e ammaliante Alisea che Calpurnia, una ragazzina di tredici anni, entra in possesso di un indumento davvero singolare: un impermeabile con dodici tasche, ciascuna dotata di una proprietà straordinaria, come moltiplicare gli oggetti, farli scomparire e persino viaggiare avanti e indietro nel tempo. Una giacca portentosa, che vale ben più di qualsiasi altra si sia mai vista in città, e su cui molti vorrebbero mettere le mani, anche a costo di uccidere.

Tra questi c’è Astor, un giovane Nestor che ha tutte le ragioni per disprezzare Calpurnia, visto che i due appartengono a Stormi diametralmente opposti. Eppure, è proprio insieme a lui che la nostra eroina affronterà pericoli e avventure, fino a sfiorare il mistero che sta alla base del suo mondo e del male che lo affligge…

Si tratta, in sintesi, della trama di Le ceneri di Alisea, romanzo in uscita in ebook firmato da Merilù Lanziani, finalista al torneo letterario IoScrittore.

Lanziani ha studiato editoria e poi ha lavorato come editor per alcune case editrici; ha scritto molte storie, ma quelle di cui va più orgogliosa sono state donate al reparto di pediatria di un ospedale; tra le altre cose, ha anche fondato un blog, Spulcialibri.it.

Fonte: www.illibraio.it

“Di Cenere e Ombra”: al via la saga fantasy di Valentina Pinzuti sui misteriosi maghi ashling

Arriva in libreria il romanzo d’esordio di Valentina Pinzuti, Di cenere e ombra, primo volume della saga fantasy de I Discendenti, in uscita per TEA (libro protagonista all’edizione 2020 del torneo letterario gratuito IoScrittore, dove è stato tra i vincitori).

L’autrice, nata nel 1986 in provincia di Siena, ha studiato ad Amsterdam e vive a Bruxelles, dove lavora per riviste, associazioni e agenzie di comunicazione. Da sempre affascinata dai personaggi incompresi, in questa saga dà finalmente forma al suo interesse grazie a Mys, un’abile ladra con un misterioso segno sul polso…

La saga è ambientata nei bassifondi di Eidinn, corrotta capitale dell’impero di Calydon, dove non è per niente facile tirare avanti tra cacciatori e criminali. In questo contesto si muove la ventenne Mys, abile ladra di discendenza ashling, persone dalle abilità soprannaturali che sono da secoli cacciate e uccise per la loro magia, per poi essere vendute al mercato nero ai migliori offerenti. Quando un nuovo, letale, risvolto della propria abilità attira su di lei le attenzioni del capo criminale Brazer e di una misteriosa tratta di ashling, avrà per lei inizio una fuga per la vita…

Di Cenere e di Ombra Valentina Pinzuti

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

« Bevi qualcosa con me? »

Mys non voleva fare proprio niente con lui. Di norma, se lo sarebbe scrollato di dosso senza pensarci due volte, con fermezza se non avesse insistito, oppure presentandogli la punta del coltello se non si fosse mostrato accondiscendente. Ma, con la coda dell’occhio, poteva ancora avvertire lo sguardo di Deron su di sé, in attesa del primo pretesto per metterle le mani addosso e trovare le prove di qualche misfatto. Se assecondare quell’idiota in attesa di un momento migliore per svignarsela era quel che ci voleva, allora lo avrebbe fatto. Forzò un sorriso, e rimase.

L’uomo, un mercante che rispondeva al nome di Bern Banks, non solo era ubriaco, ma anche di una noia mortale. Da vicino, Mys poteva vedere quanto gli piacesse ostentare il suo status con diversi dettagli, dal foulard di seta in vivaci colori attorno al collo fino all’anello d’argento con perla gigante infilato all’indice destro. L’unica nota fuori tono erano i capelli, chiari e radi. Se ne stavano ritti sulla testa con le angolazioni più strane, come in un atto di dispetto verso il resto del suo stile attentamente costruito.

Non la smetteva di vantarsi, delle sue ricchezze e del suo prestigio, come se davvero potessero renderlo più attraente ai suoi occhi. Più il bicchiere si svuotava, più la sua lingua si scioglieva.

Mys stava annuendo distratta già da un po’, continuando a tenere d’occhio Deron ancora appostato poco distante, quando qualcosa che Bern Banks aveva appena detto le fece d’un tratto gelare il sangue.

« … ashling », stava dicendo, sporgendosi con fare cospirativo verso di lei, accavallando le parole.

« Ecco in cosa commercio. Quelle cose davvero ti rendono ricco. »

Ridacchiò tra sé, mentre con le dita corte continuava a non prendere bene le misure per afferrare il boccale e portarselo alla bocca.

Mys era rigida come una pietra, il cuore rapido contro le costole, la recita della ragazza compiacente già finita da un pezzo. Se ne sarebbe accorto anche lui, se solo l’avesse guardata in faccia, se solo non fosse stato così assorbito da se stesso e le sue sparate. Adesso stava cercando qualcosa a tentoni in un’altra tasca interna del cappotto. Mys ebbe a malapena il tempo di preoccuparsi che potesse scoprire l’assenza del portafogli che il timore divenne malessere, quando l’uomo tirò fuori una piccola fiala, piena di polvere grezza e irregolare, del colore delle pesche secche.

« Questo qui », proseguì Bern Banks, « poteva far perdere i sensi a chiunque con il minimo tocco. C’è stato bisogno di scuoiarlo ben bene per replicare il giochetto. Qualcuno pagherà fior di quattrini, per questa cosetta qui. »

Il ghiaccio nel suo sangue si fece bollente di furia repressa. Quella cosetta era una persona.

Mys piantò le unghie nel tavolo nel tentativo di controllarsi, e fu lì che accadde. Come ogni volta, arrivò senza alcun preavviso, con uno scoppio gelido di chiarezza e una fitta in mezzo al petto, come se potesse sentirlo dentro anche lei, l’attimo esatto in cui le fila sottili di una vita venivano strappate in due. In quel momento, lo seppe e basta, quale sarebbe stata la fine di Bern Banks. Un uomo dagli occhi verde giada, un odore acre nell’aria, Bern Banks a faccia in giù su una superficie di legno, e un anello d’argento con una perla gigante ancora attaccato a un corto, floscio, dito senza vita. Mys aveva sempre pensato che, in quanto ashling lei stessa, la sua abilità, o in qualsiasi modo uno volesse definirla, facesse piuttosto schifo. Prevedere la morte delle persone, sai che roba. Non erano neanche visioni definite, ricche di particolari o di significato. Più una consapevolezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, di quel che sarebbe accaduto – fatta di frammenti, immagini e suoni, tracce e sensazioni. Nel migliore dei casi era una capacità piuttosto inutile, niente che potesse usare per ricavarne qualcosa; nel peggiore, era il costante terrore che un giorno quella consapevolezza non avrebbe riguardato sconosciuti o conoscenze passeggere, ma qualcuno a cui lei stessa teneva – i fratelli Brahnag – e quello era un giorno che Mys temeva più di uomini come il Lupo o di dita mozzate.

Al tempo stesso però, non era neanche qualcosa che si manifestava in superficie, e quindi più facile da nascondere al mondo. A volte, si domandava persino cosa mai avrebbero potuto farne di lei se fosse stata scoperta, non essendoci niente di pratico da tirarne fuori, niente come una luce imperitura o polvere di pelle con proprietà sonnifere. Ma era sicura che qualcuno si sarebbe inventato qualcosa.

Banks rimise a posto la boccetta, le guance accese dall’eccitazione e dall’alcol, lanciandole un’occhiata per vedere, nella sua idiozia ubriaca, se aveva infine fatto colpo.

Le dita di Mys si stiracchiarono. Quella tasca era così vicina.

Mise da parte la repulsione verso l’uomo e si sporse verso di lui. Un sorriso stomachevole ebbe l’effetto sperato di incoraggiare Banks ad avvicinarsi a portata di mano. Mys però si immobilizzò quando, nel fare così, Banks si scansò abbastanza da rivelare il Lupo, comparso alla balaustra più alta sul lato opposto della stanza.

Aveva lo sguardo inchiodato su di lei, tagliente e imperscrutabile. Di un azzurro così vivido che, se non fosse stato per la lunga cicatrice che gli segnava un lato della faccia, chiunque avrebbe potuto pensare che non solo uno, ma entrambi i suoi occhi fossero fatti di vetro. Brazer contrasse le labbra, come se potesse vedere benissimo ciò che stava facendo, e le dita di Mys, già dentro la tasca di Banks, ebbero un tremito involontario.

Fu quello il suo errore, lo seppe con perfetta chiarezza anche mentre tutto accadeva nello stesso momento. Il momento in cui Banks cambiò espressione, il momento che impiegò per rendersi conto di quel che stava succedendo. Il momento in cui lo sguardo di Brazer sembrò slittare appena di lato, e il momento in cui Mys ne approfittò per afferrare la fiala e portarla via. Ma, distrazione o meno, il momento dopo Brazer aveva fatto cenno a Deron di andarle dietro, appena prima che Banks si mettesse a gridare: « Mi sta derubando! »

Il momento dopo, Mys stava già correndo.

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it

Vi piace il fantasy? Adorerete questo romanzo.

Dal 4 aprile è in libreria uno dei romanzi vincitori del Torneo letterario IoScrittore.

Si tratta di Di cenere e ombra, di Valentina Pinzuti, un fantasy che ha tutto per conquistare chi ama il genere, ma anche chi ci si avvicina per la prima volta e vuole lasciarsi travolgere da una storia che ti trasporta in un mondo diviso, corrotto e lacerato da un antico segreto e da due giovani protagonisti, Mys e Liam che sono forza e tenerezza, passato e futuro, odio e amore. Un romanzo davvero da non perdere. In occasione dell’uscita, abbiamo fatto qualche domande all’autrice, sulla sua esperienza al torneo e sul suo esordio. Ecco che cosa ci ha raccontato.

Come e perché hai deciso di partecipare a IoScrittore?

Mi piaceva l’idea di ricevere il parere di persone che non avevano nessun interesse a indorare la pillola. I pareri della propria cerchia sono ottimi per dare motivazione, soprattutto in fase di stesura, ma quando il romanzo è completo hai bisogno di opinione critiche. Sotto questo aspetto IoScrittore è un meccanismo brutale, ma molto efficace per capire cosa funziona e cosa no della propria scrittura. Oltretutto, partecipando con un fantasy, sapevo che qualcuno lo avrebbe letto con il naso arricciato in partenza, visti i preconcetti sul genere. Ma i giudizi finali sono stati una bella sorpresa. 



Lo consiglieresti a un aspirante scrittore?

Il mio consiglio sarebbe di non lasciar mai nessuna strada intentata, a prescindere, e questo comprende certamente anche IoScrittore. La paura del rifiuto e del giudizio altrui è la peggior nemica di qualunque attività creativa e il torneo è un buon modo per affrontarla, mettersi in gioco e crescere grazie al confronto. Non solo tramite i giudizi ricevuti, ma anche valutando le opere altrui, perché se fatto con onestà è un’occasione per affinare lo spirito critico, una qualità molto utile per la scrittura; senza contare che aiuta a farsi un’idea di cosa arriva ogni giorno nelle redazioni delle case editrici. Poi, visto il gran numero di partecipanti, è ovvio che sia anche questione di fortuna, di capitare in mano alle persone giuste al momento giusto, ma questo è vero un po’ per tutto nella vita.

 

Quali libri ti hanno ispirato durante la scrittura?

La mia passione per il fantastico nasce in realtà dalla narrativa gotica – tra le mie letture c’è quasi sempre un classico gotico in lettura (o rilettura) sul comodino – quindi senz’altro, almeno nelle atmosfere, ci sono quelle influenze lì. Più nello specifico, sono stata ispirata da tutto un filone di narrativa dark fantasy più moderna, dove i personaggi sono il cuore della storia e sono portati dalla società a decisioni morali ambigue. Leigh Bardugo, N.K. Jemisin, V.E. Schwab, Scott Lynch e Mark Lawrence sono i primi nomi che mi vengono in mente.



Che cosa ci puoi dire della tua esperienza di lavoro con un editor?

Che è stato bello vedere come un buon lavoro di cura sia capace di far davvero brillare un testo. Un bravo editor non è chi ha una inesistente bacchetta magica, ma chi sa dirti quali aspetti valorizzare e quali limare per rendere giustizia alla storia e allo stile. Uno degli aspetti di cui abbiamo parlato molto è stato il tono, per esempio, soprattutto per il secondo romanzo della saga, e il confronto è stato fondamentale per andare a toccare le note giuste.