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L’importanza delle parole e delle storie: "Nannina" di Stefania Spanò per il debutto della nuova collana Garzanti "Gli schermi"

19 Aprile 2023 |
di
Redazione Il Libraio
Stefania Spanò, cantastorie, è all'esordio con "Nannina", romanzo che ha per protagonista una "cuntastroppole". L'autrice ci racconta la genesi del libro, che segna il debutto di una nuova collana della Garzanti ("Gli schermi"), e ci parla di sua nonna, la donna protagonista della storia

di Stefania Spanò

Le storie hanno il potere di cambiare il mondo, se non quello grande, almeno il proprio piccolo mondo, che per alcuni è l’unico in cui contare qualcosa.

Nannina, la protagonista del mio romanzo, questo fa, racconta storie, perché questo è: una cuntastroppole. Stroppola è una parola a cui non tutti legano un significato. È in effetti una narrazione orale inventata di sana pianta dal narratore di turno, il quale dice “il falso, volendo che sia tenuto per vero”. Mistifica dunque per rendere il verosimile più credibile del vero. Una parente molto stretta del romanzo insomma.

Ma quello che più mi seduce della stroppola è il suo rinunciare, almeno formalmente, allo statuto di storia edificante per travestirsi da storiella di poco conto e affidare la sua morale implicita all’interpretazione degli ascoltatori, sicura che ognuno le darà il senso di cui ha bisogno.

Tutti conoscerete invece i cunti (le fiabe) e i fatti (le storie e le leggende) perché una folta schiera di studiosi e di letterati li ha portati al grande pubblico. Cunti, fatti e stroppole però non sono sinonimi, ci sono importanti differenze tra loro: i fatti erano narrati soprattutto da uomini, che raccontavano storie realmente accadute, al limite fra il leggendario e il mitico. I cunti erano invece le fiabe e i racconti meravigliosi, le cui trame erano appartenute ai repertori dei bravi narratori e poi, solo molto tempo dopo, anche a quelli delle narratrici, che intrattenevano uditori domestici e spesso infantili. Il pubblico che sedeva sulle panche sistemate in qualche spiazzo del Molo di Napoli, assisteva allo spettacolo narrativo di un contastorie o cuntista, un raccontatore professionista che recitava per pochi spiccioli lunghe storie di paladini o di briganti, storie spesso udite altrove perché gli uomini, a differenza delle donne, potevano viaggiare a proprio piacimento.

Alle donne che restavano a casa veniva affidato, senza possibilità di rinuncia, l’incarico di allevare ed educare i figli, ai quali spesso raccontavano stroppole per dirgli indirettamente come si dovevano regolare per campare.

Nannina, realmente esistita e realmente mia nonna, decise di professionalizzare la pratica casalinga delle femmine, modellando su di essa la sua identità e diventando un importante punto di riferimento per la sua gente ed in questo trovò il suo riscatto.

Lei conosceva uno per uno i suoi spettatori e ne celebrava i passaggi d’età (nascita, menarca e dunque ingresso nell’età adulta, morte.) e i passaggi di stato (matrimoni, inaugurazioni di botteghe, ecc…) Scegliere un racconto, che potesse adattarsi alla situazione personale che l’amico, il vicino o il conoscente attraversava in quel momento, voleva dire conoscerne i turbamenti e le difficoltà e accompagnare il processo di evoluzione del singolo, grazie al quale poi tutta la comunità cresceva.

Chiaramente il suo uditorio prediletto era quello femminile. Lei raccontava alle donne per esortarle a tener vivi i loro desideri, a non sacrificarli e a dar loro il potere di cambiare la realtà circostante. Lo faceva cuntando, poiché la parola crea i mondi in cui andremo ad abitare e la possibilità stessa di parlare ed essere ascoltati è già potere.

Stefania Spanò foto di Pepe Russo Stefania Spanò nella foto di Pepe Russo

Rendendolo un mestiere, Nannina si prese il lusso di attingere anche al repertorio maschile, con la sfrontatezza che le diedero un pessimo carattere, anni di gavetta e un discreto successo di pubblico. Fu così che dalla sua bocca uscirono sia i cunti che le stroppole, ma mai cambiò lo status di cuntastroppole in quello di cuntista, con cui erano soliti appellarsi i maschi. Essa stessa infatti, era solita dire, facendosene un vanto, che aveva scelto per sé quest’etichetta «per non farsi mettere gli occhi addosso dai maschi», sottolineando sì il ruolo ancillare del femminile che, soprattutto se valente, doveva ben guardarsi dalle invidie di una società di stampo patriarcale, ma anche tenendo fede alla concezione secondo la quale il potere vero è quello che si esercita nella realtà dei fatti. “Nenne’ a nonna, comandare gli uomini è facile, basta fargli credere che comandano loro.” Insomma, che quel potere dovesse passare per la dissimulazione, a lei poco importava. A me invece importava tantissimo.

Da ragazzina io quella frase non la capivo, anzi mi faceva rabbia; consideravo uno spreco di energie, oltre che un sopruso, manipolare un uomo per esercitare un diritto di scelta. Ho cominciato a familiarizzare con quella frase solo dopo aver letto L’arte della gioia dell’immensa Sapienza, molto dopo averlo letto però; sulle prime, il romanzo mi ferì e sconvolse così tanto che lo odiai. Non riuscivo ad accettare che il riscatto femminile passasse ancora una volta, sempre e solo per la simulazione e l’inganno.

L’immagine di Modesta mi riportava a tutte le donne che avevo amato da bambina, come Filumena Marturano, che aveva dovuto ingannare un uomo per tutta la vita, pur di dare un cognome ai figli. Quelle donne non erano il ritratto della remissività, tutt’altro, ma mi ricordavano costantemente che, qualsiasi cosa io avessi voluto ottenere, sarei dovuta passare per la sopportazione e la cazzimma subdola. Non capivo che, anche grazie a quella sottile arte della manipolazione, noi donne eravamo riuscite perlomeno a capire cosa volevamo fare.

Per fortuna le cose non stanno più così, ma io ho dovuto mettermi a fare il suo mestiere di cuntastroppole per misurare la differenza che correva tra me e Nannina, come donna e come artista. Ho varcato soglie di cortili e girato piazze, provando a cucirmi addosso quel mestiere che non esiste più e che, così com’era, proprio non può più esistere, perché quel senso di comunità, in cui l’io e il noi si confondono, è sparito assieme alla generazione di mia nonna. È nella fatica di questo passaggio del testimone che nasce il mio romanzo, nella difficoltà di riadattare la stroppola a condizioni politiche e sociali mutate e nella sofferenza di prendere atto che, sotto tanti aspetti, io e Nannina, purtroppo e per fortuna, non siamo poi così diverse.

Nannina Stefania Spanò

L’AUTRICE E IL LIBRO – Stefania Spanò è una cantastorie, interprete Lis e insegnante di sostegno in una scuola secondaria di primo grado. Conduce da anni laboratori di teatro, scrittura creativa, comunicazione empatica e poesia visiva nelle periferie turbolente dell’hinterland napoletano, nel resto di Italia e all’estero. Nannina (Garzanti) è il suo romanzo d’esordio.

Veniamo ora alla trama. Il romanzo è ambientato a Secondigliano: Stephanie ha dieci anni e ogni volta che torna a casa si lamenta con la madre perché i suoi cugini giocano all’aperto e lei no. Il motivo è semplice: loro possono perché sono maschi, lei invece è una femmina. Dopo la scuola, si mette a leggere sul balcone, il solo spazio esterno in cui le è concesso di stare. Stephanie studia e studia perché sa che le parole sono la sua unica difesa contro il mondo. Gliel’ha detto la nonna nei pomeriggi passati a casa sua, due piani sotto nello stesso caseggiato: “Per le femmine tutte le cose sono più difficili. Devi imparare a difenderti. Tu devi sempre tenere il coraggio di parlare, Stephanie”. E se lo dice lei deve essere così. Del resto sua nonna è Nannina de Gennaro, detta Nannina la Cuntastroppole, la cantastorie.

Per alcuni è solo una vecchia pazza; per altri è colei che, grazie ai suoi cunti, i racconti recitati nei cortili, ha dato un’identità e una dignità alle madri di famiglia sfiancate dalla miseria e dalla protervia degli uomini. Con le sue storie, Nannina ha donato un volto a chi non l’aveva, ha riscattato i più deboli, ha fatto ridere e piangere. Ma adesso spetta a Stephanie riprendere la sua voce, cercare nei cunti un riscatto, il proprio riscatto, quello di una ragazza che ha un sogno: studiare e scoprire la libertà.

LA NUOVA COLLANA GLI SCHERMI – Come ci spiega Elisabetta Migliavada, direttrice editoriale di Garzanti, Nannina segna il debutto della nuova collana della casa editrice: “Gli schermi nasce da una consapevolezza ben precisa: in un mondo in cui la luce artificiale ci abbaglia, dai cellulari alla televisione, il libro è l’unico schermo la cui luce non cessa mai di splendere. Ad alimentarne la luminosità sono le voci degli scrittori, dotate di un potere di cui solo la letteratura è capace: restituirci noi stessi, le nostre paure, le nostre passioni, i nostri sogni, come uno specchio perfetto in cui rivedersi. Una buona lettura dipende anche dal lettore ed è così che anche i libri diventano schermi sui quali il lettore proietta i suoi sogni e la sua anima. A ispirarci nella scelta del nome della collana e nella sua essenza, è stato Fabio Mauri, Presidente di Garzanti nell’ultima parte della sua vita, che nel 1957 ha realizzato una serie di opere molto celebre, chiamata appunto Gli schermi. In questa nuova collana Garzanti si impegna a pubblicare storie, voci, mondi, personaggi in grado di mostrare la realtà in un’ottica diversa e inedita”.

Fonte: www.illibraio.it

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