Letteracura, ovvero perché leggere ti fa bene

Caro lettore,

quello che vedi nel titolo, come cercherò di spiegare, non è un refuso ma
un gioco di parole. Spero per cominciare che tu sia un lettore forte, ovvero che tu faccia
parte di quel 14,5% degli italiani che si legge almeno un libro al mese
(secondo di dati ISTAT). Lo spero per gli autori, per i librai, per gli
editori, ma soprattutto per te. Perché leggere fa bene, come sapeva Marcel
Proust (la lettura, a differenza della conversazione che subito svanisce,
penetra nell’anima) e come hanno dimostrato diverse recenti ricerche
scientifiche.

Per cominciare, leggere fa bene perché ci aiuta a capire meglio il mondo,
ma anche noi stessi e i nostri sentimenti
, soprattutto attraverso la
narrativa: i personaggi con cui ci identifichiamo e le loro storie ci formano e costruiscono la nostra identità individuale e collettiva. Forse è per questo che le donne, che leggono più romanzi degli uomini, sono più attente alla vita interiore, sia la loro sia quella altrui. (O forse è vero il contrario: le donne leggono più degli uomini proprio per la loro
necessità di comprendere meglio la nostra vita interiore). Con queste premesse, non sorprende che sia nata una disciplina come la Libroterapia, o Biblioterapia. Il primo a sistematizzate la pratica, intorno al 1930, è stato uno psichiatra americano, William Menninger, che ha iniziato a far leggere ad alta voce, nei reparti ospedalieri, secondo percorsi di lettura guidata. Il terapeuta ha il ruolo di scegliere i percorsi di lettura, sulla base delle diverse patologie: la Libroterapia particolarmente sarebbe particolarmente indicata per alleviare sindromi depressive, disturbi d’ansia e sessuali. Particolarmente consigliate le
testimonianze di persone che raccontano i loro percorsi di guarigione.

Alla terapia di gruppo è poi subentrata la terapia individuale: dopo il
primo approfondito colloquio, lo psichiatra assegna al lettore-paziente un
programma di lettura; successivi incontri verificano l’efficacia della
pratica ed eventualmente consigliare altre letture. In Francia se n’è
occupato Marc-Alain Ouaknine, in Italia il testo di riferimento è da alcuni anni Libroterapia. Un viaggio nel mondo dei libri, perché i libri curano
l’anima di Miro Silvera, autore (tra l’altro) del celebre aforisma: “Chi non legge ha un’anima anoressica”. Più di recente, qualcuno ha anche proposto una nuova pratica: Francesco Marchetti, autore di La dieta letteraria, spiega “Come leggere bene senza
appesantirsi” (è uno dei quattro divertenti volumetti pubblicati da Editrice Bibliografica nella collana Wuz diretta da Giulia Mozzato, dove si
parla e sparla anche di incipit, grazie a Matteo Baldi, dei clienti delle
libreria di provincia, grazie a Stefano Amato, e di come fingere di aver
letto un libro senza averlo fatto, grazie a Sandra Bardotti: ma chi legge
per IoScrittore sa che è impossibile giudicare un libro senza averlo letto,
ti sgamano subito).

Francesco Marchetti divide i libri in tre macrocategorie:

– i classici, che “contengono proteine, ovvero i mattoni della nostra
crescita” e “rivestono un ruolo importante nella vita di tutti noi”;
– i best seller, “ricchi di carboidrati”, che “finiscono per costituire la
parte essenziale della nostra alimentazione, anche se non sono considerati
nutrienti essenziali”;
– i libri della vita, ovvero quelli dei nostri autori preferiti, “che
vanno assunti costantemente”, insomma periodicamente riletti, e che sono le
nostre vitamine letterarie (a proposito, quali sono le tue vitamine
letterarie? Tra le mie ci sono sicuramente Dante e Shakespeare, Artaud e
Thomas Bernhard, Platone e Dostoevskij…).

Una dieta letteraria equilibrata deve bilanciare questi tre elementi. Come tutti i dietologi che si rispettino, Marchetti specifica per ogni libro gli ingredienti principali, l’apporto calorico e gli abbinamenti consigliati:
ma attenzione, non si tratta del cibo-spazzatura che dovete sgranocchiare
mentre leggete, ma il film che “condisce” il romanzo. Nel menu troviamo classici come I promessi sposi o Delitto e castigo, Amleto o Il grande Gatsby, ma anche Eco e Grisham.

In appendice, un piccolo e gustoso test permette di capire “Che tipo di lettore sei?”. Le risposte sono abbastanza originali: tra i prototipi, incontriamo il lettore onnivoro, quello vegetariano, quello stile grande abbuffata. (Viene da chiedersi dove si posizioni, in questa classificazione, chi legge romanzi per IoScrittore: dobbiamo inserirlo tra i devoti della nouvelle cuisine, o tra gli amanti della trattorie casalinghe?).
Ma attenzione: se assunta in dosi eccessive, la letteratura può avere qualche controindicazione. Lo hanno scoperto i protagonisti di due romanzi con altissimo contenuto proteico: Don Chisciotte, che impazzisce per aver letto troppi romanzi cavallereschi; ed Emma Bovary, che getta al vento la sua vita per aver letto troppe storie d’amore… Per non parlare dei libri assassini che popolano la narrativa: basti pensare al Nome della rosa…

(Un’ultima domanda, amico lettore: ci sono letture che mettono in pericolo
la tua vita, o la tua sanità mentale? Per me, quelli noiosi, e che non
riesco a smettere di leggere…) Nella certezza che leggere sia un’iniezione di salute (e magari un po’ una droga, come lo è del resto la lettura) ti prego di accettare i miei
migliori auguri di buona lettura e sicura guarigione.

Ultimo giorno al salone (ore di sonno: non pervenute)

La notte prima del mio ultimo giorno al Salone ho fatto un sogno. Ero sulla strada di casa e mi venivano incontro mio fratello e le mie sorelle, con i miei cognati e i loro figli. Sembrava stessero partendo per una gita domenicale fuoriporta e, incrociandomi, mi dicevano che mio padre e mia madre mi stavano aspettando per parlare di Sto bene. E se ne andavano così, allegri, lasciandomi solo davanti al cancelletto di casa e alle mie responsabilità. Poi alzavo lo sguardo e vedevo affacciati al balcone mio padre e mia madre che si sbracciavano e mi salutavano come quando si rivede un parente dopo tanto tempo.

Il primo appuntamento del giorno era alle 11 nell’Auditorium per l’incontro con Massimo Gramellini. Perfetto. Avevo più di un’ora per fare colazione, preparare il bagaglio, doccia e check-out. Non potevo far tardi. Almeno così credevo… Ma non avevo calcolato il rallentamento fisiologico dovuto alle poche ore di sonno e al devastante mal di testa del dopo festa.

Il primo quarto d’ora l’ho passato rigirandomi tra le mani Sto bene, sfogliandone alcune pagine, leggendo qua e là. Eppure mi ero ripromesso che una volta pubblicato non l’avrei aperto per un bel po’!

Mi sono infilato i pantaloni della tuta e la T-shirt ormai imbevuta degli umori accumulati in due giorni di Salone e sono sceso a fare colazione. Ero vicino al dispenser dei corn-flakes con la ciotola in mano, ma poco più in là faceva bella vista di sé un vassoio con ammonticchiati attraenti esemplari di pasticceria, tra cornetti trasudanti crema al cioccolato e bomboloni spolverati di granella di zucchero. Se qualcuno mi avesse osservato in quel momento avrebbe visto un tizio spettinato, poco dissimile da un senzatetto con gli occhiali da sole, che faceva la spola dal vassoio di dolci al distributore di sani fiocchi di mais senza decidersi sul tipo di colazione da fare. Alla fine mi sono detto che dovevo festeggiare e ho optato per non una ma due paste alla crema.

La sala della colazione era praticamente una succursale del Salone. Non si sentiva parlar d’altro che di editori e autori, nuove uscite, acquisizioni, recensioni e copertine. Poco dopo ho intravisto due figure aggirarsi per il buffet come zombie. Erano le mie compagne di avventura postcenadegliautori: una visione celestiale e il primo abbraccio del giorno. Ci siamo scambiati alcuni consigli per il dopo-sbronza e ci siamo dati appuntamento dopo mezz’ora nella hall: praticamente un’utopia.

Arrivato davanti alla porta della mia camera mi sono reso conto di non avere la chiave, lasciata in sala colazione. Sono tornato a prenderla e, visto che c’ero, ho dato un’occhiata ai quotidiani. Tornato su e pronto a infilarmi nella doccia, ho ricevuto una telefonata da mio fratello. Aveva letto il mio libro tutta la notte e ne avremmo parlato per ore se non ci avesse interrotto la chiamata dalla reception: ero atteso dalle mie compagne a cui ho preferito dire di andare e che le avrei raggiunte presto al Lingotto.

Presto voleva dire nel giro di un’ora. Comunque alla fine ce l’ho fatta e grazie al prezioso pass e alla parola magica “Longanesi”, sono riuscito a superare senza intoppi cordoni e posti di blocco. Davanti all’Auditorium centinaia di persone, alcune ancora in attesa di entrare al reading di Gramellini già iniziato, altre che aspettavano l’arrivo del mio sindaco Renzi per l’incontro successivo. Erano le 11 e 30. L’Auditorium strapieno. Seduti al centro del palco Gramellini con due attori: sua moglie, Elisa Galletta, e Pino Ammendola; dietro di loro il primo piano dello scrittore su un maxischermo. Sarei rimasto in piedi in fondo alla sala, di fianco a un paio di agenti della polizia che mi tenevano sottocchio («È appena entrato un tipo sospetto con pantaloni rossi, T-shirt giallo sparato e felpa nera con cappuccio») se non mi fosse venuto incontro l’addetto stampa dell’editore a dirmi che avevo un posto riservato in prima fila. Ero indeciso se farmi tutta la galleria e la platea per arrivare lì davanti ma poi mi sono detto: quando mi ricapita di avere un posto riservato in prima fila?

Gramellini ha un grande dono, quello di saper incantare con le parole, di farti sentire in pace con te stesso, di rassicurarti. A sentirlo parlare sembra subito uno di casa, un amico, un parente. A un paio di poltrone di distanza da me era seduto Guglielmo, il mio editor, che si è girato a guardarmi e ha fatto un sorriso che voleva dire «Hai fatto le ore piccole?»
Di lui Gramellini ha scritto che è cortese ma implacabile ed è vero. Durante il lavoro di editing è stato molto rispettoso nei confronti del testo ma fermo quando c’era da contenere i miei eccessi proustiani da un lato (frequenti) o Mocceschi dall’altro (rari). L’incontro non poteva concludersi che con un augurio: fai bei sogni. E mi è sembrato che fosse rivolto proprio a me, come credo sia capitato a gran parte del pubblico.

Le ultime ore passate al Salone sono state come ai vecchi tempi, quando ci andavo da lettore. Pizza, patatine fritte e un birra sotto gli ombrelloni rossi all’esterno lato sala blu, con un bel sole, in compagnia di Barbara e Lucilla, a osservare la gente mangiare, parlare e leggere libri freschi di stampa.