Come iniziare un thriller bestseller?

Quando si parla di thriller, nell’accezione più generale del termine, si dice che, per attirare l’attenzione degli editor prima e dei lettori poi, sia necessario scrivere un incipit – inteso come scena d’apertura – fulminante e che dia un’impronta decisa a tutto il romanzo.

Vero: è preferibile un buon incipit rispetto a un brutto incipit. L’importante, però, è che l’incipit non prenda il sopravvento sul resto del romanzo. Ciò che deve sempre rimanere centrale è l’idea narrativa di base – quella intorno a cui si costruisce la struttura del romanzo e i personaggi che lo popolano – e il modo in cui questa idea viene sviluppata per sfruttarne al meglio le sue potenzialità.
Ai miei occhi, un ottimo incipit non redime un thriller mediocre e scialbo, d’altro canto un romanzo dalla forza dirompente sopravvive benissimo a un incipit ordinario.
Ho quindi un unico consiglio pratico da dare: scrivere l’incipit nel momento in cui il romanzo è sostanzialmente già lì, pronto, in attesa soltanto della scena d’apertura più efficace. Così ci sono più possibilità che venga bene e svolga al meglio la sua funzione di «porta d’ingresso» al romanzo stesso.
Al di là della specificità dei thriller, vi consiglio di leggere il primo capitolo di Lunar Park, in cui uno dei miei scrittori preferiti, Bret Easton Ellis, analizza le frasi d’apertura dei suoi libri. È la prova che non solo un bravo autore può scrivere incipit molto diversi fra loro, ma soprattutto che è il resto del romanzo a determinare la natura e lo stile dell’incipit, non viceversa.

Un incipit straordinario

Come dev’essere l’incipit di un libro d’avventura? La cosa più importante è catturare subito l’attenzione del lettore dandogli un assaggio di cosa sarà il libro. Condensare nei primi paragrafi alcuni momenti salienti dell’avventura che si vuole raccontare. Si avrà poi tempo di tornare indietro all’inizio della vicenda, ai suoi retroscena e alla sequenza cronologica dei fatti. Esempio straordinario l’incipit di Aria Sottile di Jon Krakauer, un grande classico della letteratura di alpinismo.

«A cavalcioni sul tetto del mondo, con un piede in Cina e l’altro in Nepal, ripulii la maschera d’ossigeno dal ghiaccio e, sollevando una spalla per ripararmi dal vento, abbassai lo sguardo inebetito sull’immensa distesa del Tibet. Avevo fantasticato tanto su quel momento e sull’ondata di emozioni che lo avrebbe accompagnato; e ora che finalmente ero lì in piedi sulla cima del monte Everest, non riuscivo a radunare energie sufficienti per concentrarmi.»

In poche righe abbiamo l’ambientazione, l’atmosfera e il senso di meraviglia per il momento che il narratore sta vivendo. Perché sia lì, come ci sia arrivato, cosa lo ha spinto e come si è svolto il viaggio fino a quel punto, sono tutte cose che scopriremo nel corso del libro. Di fatto l’autore ci ha agganciato e adesso siamo pronti a seguirlo senza esitazioni.

Tre consigli utili per scrivere meglio

Cari partecipanti al torneo, l’incipit in fondo non è che il modo in cui vi presentate al lettore. Avete un vostro stile, una vostra lingua, una storia da raccontare, ma quello che ancora non avete è l’attenzione del vostro interlocutore. L’incipit è la vostra chance per conquistarvela.

 

Siate sinceri con voi stessi, quella attenzione la desiderate, altrimenti non avreste mai desiderato di pubblicare un libro, che poi vuol dire essere letti dagli altri. Ed è un desiderio del tutto legittimo. Dunque, come fare? Esiste un modo? La verità è che ne esistono mille, e nessuno certo.
Esattamente come quando vi capita di presentarvi a uno sconosciuto o sconosciuta, potete decidere di essere accattivanti, sfrontati, educatissimi, anticonvenzionali… E ovviamente, proprio come di solito avviene tra due persone, il vostro modo di presentarvi potrà suscitare curiosità, simpatia, attrazione, a volte (ve lo auguro!) passione travolgente.
 
Di tanto in tanto, ahimè, capita anche di risultare antipatici a prima vista. In realtà, al di là della prima regola fondamentale che è quella di ESSERE VOI STESSI PERCHÉ L’INCIPIT DEVE CERCARE DI METTERE IN LUCE DA SUBITO LA VOSTRA UNICITÀ, nel presentarsi, in genere, credo si risulti più interessanti se:
1. Si evita di parlare troppo di sé (che vuol dire, nel vostro ruolo di scrittori: limitate la voce narrante a un ruolo descrittivo delle situazioni, senza eccessive riflessioni o digressioni);
2. Si cerca di parlare di cose interessanti e di suscitare curiosità (che vuol dire poi far entrare subito il lettore nel vivo della vostra storia).
Infine e più in generale: se valeva per Flaubert, il motto «Madame Bovary c’est moi» può valere anche per voi: individuate il vostro protagonista e fatelo agire da subito al vostro posto.
La sua forza, la sua originalità, il suo mondo etico e simbolico sono i migliori passepartout che avete per arrivare al cuore e all’immaginazione del vostro potenziale lettore. Affidatevi al vostro protagonista, chiunque egli o ella sia, e lasciate che le presentazioni le faccia lui. Non vi tradirà.
Incipit preferito? Ce ne sono davvero tanti, ma adoro quello de I Miserabili:
«Nel 1815, era vescovo di Digne monsignor Charles François Bienvenu Myriel, un vecchio di circa settantacinque anni, che occupava quel seggio dal 1806.
Sebbene questo particolare abbia poco a che fare con ciò che racconteremo, non sarà forse inutile, sia pure solo per essere del tutto precisi, accennare qui alle voci ed ai discorsi che correvano sul suo conto, nel momento in cui era arrivato nella diocesi. Vero o falso che sia, quel che si dice degli uomini occupa spesso altrettanto posto nella loro vita, e soprattutto nel loro destino, quanto quello che fanno».
Ecco da subito:
1. la presentazione di un personaggio;
2. un accenno minimo ma illuminante d’ambiente (una diocesi piccola e pettegola);
3. una sentenza morale.
 E da lì tutto può partire…
 Buon lavoro!

Dieci ragioni per cui un editore rifiuta un libro

«Ci sono i rifiuti per inaccuratezza, per insabbiamento o per incapacità. Ci sono i rifiuti per viltà, e quelli per prudenza. I rifiuti ideologici, i rifiuti sacrosanti, le ribellioni all’insipienza o all’arroganza. I rifiuti tecnici, quelli per cause di forza maggiore, quelli elegiaci che vorrebbero ma proprio non possono e già rimpiangono, quelli dovuti. I rifiuti basati su una poetica, o sulla linea di una casa editrice. I rifiuti spiritosi, imbarazzati, balbettanti, insinceri; i rifiuti sdegnati, e quelli che semplicemente dicono: non mi piace.» (Mario Baudino, Il gran rifiuto. Storie di autori e di libri rifiutati dagli editori, Milano, Longanesi, 1991, pp. 8-9)
I motivi per cui un libro non viene pubblicato da un determinato editore sono assai variegati: l’ironico titolo del pamphlet dell’editor americano Pat Walsh promette di elencare «78 ragioni per cui il vostro libro non sarà mai pubblicato» (mentre quelle «per cui invece potrebbe anche esserlo» sarebbero solo 14…). Insomma, non tutto quello che viene scritto arriva in libreria: secondo Xlibris, partner strategico della Random House Venture specializzato in pubblicazioni a spese dell’autore, per ogni libro pubblicato negli Stati Uniti ce ne sono nove che restano inediti (Harper’s Magazine, dicembre 2000). 
Un libro può essere rifiutato perché, semplicemente, «non è abbastanza bello». Oppure perché l’autore «considera la sintassi un optional», o magari perché nella lettera d’accompagnamento esalta eccessivamente la genialità della propria fatica letteraria. Ma anche perché il genere o il tema dell’opera non rientra negli interessi della casa editrice, perché non è possibile trovare una collocazione adatta all’interno delle sue collane o perché è già in programma un titolo simile. Perché viene giudicato di qualità scadente. Perché viene ritenuto scarsamente vendibile o perché è troppo costoso da produrre. O semplicemente perché il gusto dell’editore non entra in risonanza con quel testo. 
Ovviamente le caratteristiche dell’opera devono corrispondere agli interessi culturali e commerciali della casa editrice, oltre che alla sensibilità di chi legge. 
Tuttavia nella miriade di sigle che affollano il panorama editoriale italiano, la possibilità che un «manoscrittaro» riceva una certa attenzione è tutt’altro che remota: in questo settore i cacciatori di talenti, che hanno l’ambizione di scoprire il prossimo mega seller o il futuro Premio Nobel, sono molto numerosi. Inutile avvertire che già una prima occhiata sarà sufficiente a scartare buona parte del materiale che inonda le segreterie editoriali: è semplicemente impubblicabile, da chiunque. Il fatto che un titolo non sia ritenuto adatto da una casa editrice non significa che un altro editore, con caratteristiche e sensibilità diverse, non possa decidere di pubblicarlo, facendone magari un successo. La storia dell’editoria è ricchissima di libri che, scartati da uno o più editori, magari con giudizi perentori, hanno poi trovato il favore del pubblico. Tuttavia non è affatto scontato che quel titolo avrebbe avuto lo stesso esito con il primo editore: uno degli ingredienti più preziosi per il successo di un libro è l’entusiasmo della casa editrice. 

Tratto da Oliviero Ponte di Pino, I mestieri del libro, Tea, Milano, 2008

Ancora sull’incipit: sette spunti di discussione nati dai post

Ho scelto tra i vostri post alcuni di interesse generale, per proseguire con voi il discorso sugli incipit. Mi scuso fin da ora con gli eventuali esclusi, spero che queste risposte possano essere comunque di aiuto a tutti.
@Elle Emme#8 “Dobbiamo parlare solo degli incipit o posso chiedere la ricetta dell’orata al sale?”
«Facile. 50 minuti in forno a 220 gradi. Ingredienti: un’orata da 500 g circa. 2 kg di sale grosso. Erbe aromatiche q.b. Olio extra vergine q.b. Un limone.»
«Eh, l’orata al sale, dici… Ma prima la devi pescare, l’orata», mi disse zio Pino aprendo un armadio di acciaio azzurro, stretto stretto e alto fin quasi al soffito, quasi invisibile nell’ombra in fondo al garage.
«Orata. Nome scientifico: spars aurata. Pesce di mare così chiamato per la tinta dorata che colora parti della sua livrea.
Al. Preposizione articolata, formata alla preposizione “a” e dall’articolo “il”.
Sale. Cloruro di sodio (NaCl). Punto di fusione: 801 °C Massa molare: 58,44 g/mol. Densità: 2,16 g/cm³. Punto di ebollizione: 1.413 °C.»
Cribbio, ma come avevo fatto a innamorarmi di un uomo così noioso? E per di più dotato di una memoria prodigiosa.
«Cavoli, ma questa sarebbe un’orata al sale, secondo lei?» Era rosso in volto, urlava con una vocina acuta e mi sembrò così buffa.
Sono quattro possibili incipit di un romanzo incompiuto da titolo La ricetta dell’orata al sale.
Non è che ci sia un incipit giusto e tutti gli altri sono sbagliati.
Dipende soprattutto da quel che viene dopo…
Insomma, con il mio post volevo solo suggerire che le prime parole, le prime frasi di qualunque libro trasmettono un’enorme quantità di informazioni, che decodifichiamo all’istante. Di più: stabiliscono il tono della relazione del testo con il lettore.
È un po’ come quando stringiamo la mano di una persona che incontriamo per la prima volta. E dunque, questa stretta di mano immaginaria con il lettore è molto importante: val la pena di prestarle molta attenzione, tenendo presente quello che verrà dopo, il modo in cui vogliamo proseguire il rapporto con chi legge.
E certamente una buona stretta di mano aiuta. Per uno scrittore, meglio esserne consapevole.
@Il Re degli Sfigati#12 La sorte di Fitzgerald sarebbe chiara: come minimo gli cambierebbero l’incipit di Tenera è la notte!
Anche Fitzgerald aveva un editor… E magari gli ha consigliato di cambiare l’incipit. Ma l’autore può cambiarselo anche da solo, l’incipit, se durante l’ennesima rilettura e riscrittura scopre un attacco più efficace. Non sempre la prima frase che hai scritto resta la prima frase del libro consegnato all’editore (o del libro stampato in self-publishing).
@Lilium#104 l’incipit dell’opera in torneo l’ho cambiato varie volte nel corso del tempo.
Appunto.
@Lilium#104 Del perché mi dovrei ritirare: 1. il piacere del racconto. Il mio racconto non è piacevole. 2. La voce: è la mia o sono riuscita a far spazio a quella dei personaggi? 3. La curiosità: è sporadica, non forte come in Kafka, no. 4. La provocazione: è l’elemento dominante, di questa ce n’è molta, l’intero romanzo è una provocazione. Ma fino ad ora solo pochi alleati, e nessuno era un editor. 5. Le verità eterne: forse una c’è, ma ho saputo renderla visibile? 6. Mille e uno modi per incuriosire un lettore o un editor: mi sa che non ci sono ancora riuscita 7. L’incipit più brutto dell’anno: no, non è il più brutto, ma a che posto è?
Grazie, Lilium, vedo che hai capito lo spirito. Tra l’altro, come dal tuo #104, puoi sempre peggiorare: secondo me, se ti impegni, puoi davvero puntare all’incipit più brutto dell’anno. Faccio il tifo per te! 😉 E grazie a tutti quelli che hanno risposto al Lilium Test!
@Vinci#29 Se trovano, magari tra i torneisti, un romanzo scritto bene con una bella storia e tutto il resto, ma con un incipit debole, lo scartano o cercano di lavorare insieme all’autore per rafforzare l’inizio, per migliorarlo?
Ovvio, non è corretto giudicare un romanzo dalle prime cinque-dieci righe. Per capire se val la vena di proseguire nella lettura, un editor ha bisogno di almeno una ventina di pagine. E infatti sono più o meno venti le pagine che vengono lette nella prima fase di IoScrittore.
@Lilium#80 qual è stato nella tua carriera di editor l’incipit più breve che hai letto, quello che dopo quattro righe ti ha fatto pensare con convinzione: “inutile andare avanti, non c’è storia”.
Ripeto: quattro-cinque righe non bastano, però danno una prima idea. A colpo d’occhio, ci sono incipit sgrammaticati e sgangherati, o sdolcinati e affettatamente poetici, oppure artatamente piacioni, con cliché a raffica. Non basta per decidere che è un no. Però se, con una lettura a campione, scopri che il libro continua così per altre 650 pagine, forse pensi: “Be’, magari è un capolavoro, ma non sarò io a scoprirlo!”
@ Lilium #22 @La Svet Ho notato che anche Luca Crovi parla in particolare di Thriller e Noir. Sono i generi che al momento vendono di più ed è ciò che le case editrici cercano in particolare? Io in ogni caso ho trovato applicabile quanto dici anche a narrativa in generale, era solo una curiosità.
Il mio collega parlava di noir e thriller, ma come hai notato giustamente tu, quello che ha scritto si può applicare anche al noir e al thriller. Una delle informazioni trasmesse dalle prime pagine di un romanzo è certamente il genere: il tono, lo stile, i vari indizi disseminati dall’autore ci fanno subito capire il genere di riferimento.
Come ho accennato, per un editor è importante capire se un libro può rientrare in un genere: perché così sarà più facile fargli trovare i suoi lettori (scegliendo la copertina giusta, il titolo giusto, il videoclip giusto eccetera eccetera). E tra i generi il thriller-noir è certamente tra i più apprezzati, acquistati, letti. (Tieni presente che nel mondo anglosassone il genere viene declinato in categorie e sottocategorie molto più specifiche, così come il rosa, il romanzo erotico o il romanzo storico).
È un genere che ha una storia assai lunga: in fondo il primo detective della letteratura è quella voce dall’alto che interroga Adamo ed Eva sul furto della mela, o Caino sul destino di Abele. E quell’invenzione straordinariamente moderna – l’assassino che investiga sul crimine che egli stesso ha commesso – risale ad almeno 2500 anni fa, quando Sofocle ha raccontatola storia di un killer incestuoso di nome Edipo.
Questo per dire un paio di cose: che il nostro rapporto con il male è profondo e complicato. E sappiamo bene che (anche) dentro di noi, che ne siamo consapevoli oppure no.
Con i thriller, diamo una forma a questi fantasmi, li trasformiamo in racconto, e in qualche modo li esorcizziamo.
Coltiviamo le nostre ansie, le addomestichiamo e le esorcizziamo.
Insomma, il genere ha il suo pubblico, ed è un pubblico molto ampio.
Questo lo sanno benissimo anche gli editor, e l’hanno imparato anche gli scrittori.
Dunque è un filone molto frequentato, dove la concorrenza è assai aspra, con numerosi grandi maestri che occupano il centro della scena (e le posizioni di vertice nella classifica dei best seller).
Insomma, gli editor non cercano genericamente thriller e noir: cercano il thriller e il noir che abbia qualcosa di speciale, che faccia scattare un brivido nuovo.

L’incipit, ovvero l’antipasto

Se il pranzo è gustoso, e magari se il dessert è particolarmente buono, nessuno alla fine si ricorda dell’antipasto, o meglio, io non me lo ricordo.

Questo per dire che non ho mai dato soverchia importanza all’incipit di un romanzo.
Anzi, trovo spesso fastidiosi gli attacchi che vogliono stupire o che puntano sfacciatamente a essere memorabili. Molto meglio introdurre o suggerire con un breve giro di frasi gli elementi che saranno centrali nel corso della narrazione: si apre la finestra e si additano due o tre punti di riferimento – un personaggio, uno stile, un luogo, un momento storico – grazie ai quali poi ci si potrà addentrare nel paesaggio del romanzo.

Il profumo di Patrick Süskind comincia così: «Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc., oggi è caduto nell’oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori».

In un paragrafo di undici righe e due frasi il lettore apprende che: è un romanzo storico (dove e quando); che al centro di tutto ci sarà un protagonista (Jean-Baptiste Grenouille) eccezionale (sta a fianco dei grandi della sua epoca), misterioso («è caduto nell’oblio») e ambivalente (genio e scellerato); che il tema del romanzo è specifico («il mondo degli odori»). Tutto, praticamente.

Le video-lezioni di scrittura di un’autrice bestseller

Da come si crea un protagonista agli espedienti per creare suspence, fino a come scrivere l’incipit perfetto, ecco tutte le 5 video-pillole con le lezioni di scrittura di Clara Sánchez pubblicate su VanityFair.it.

Guarda i video 

Clara Sánchez è autrice del bestseller Il profumo delle foglie di limone, da due anni in classifica, e del recente romanzo Entra nella mia vita, in top-10 dei libri più letti attualmente in Italia.

L’incipit, ovvero… aprite quella porta

C’è chi lo riscrive mille volte; c’è chi lo lascia per ultimo; c’è chi non può andare avanti se non ce l’ha; c’è chi lo cambia all’ultimo momento.

L’incipit di un romanzo è una brutta bestia: ma è giusto che sia così. Perché l’incipit spalanca la porta su un mondo nuovo, ignoto, e il lettore vi si affaccia, desideroso di abbandonare il proprio mondo, la propria quotidianità.

Purtroppo Per fortuna, i modi per aprire la porta sono pressoché infiniti: qualche autore la sfonda con violenza [«Sparano prima alla ragazza bianca. Per il resto c’è tempo.» (Toni Morrison, Paradiso)], altri la schiudono con un sorriso ironico [«Il Nobilis Homo Cipriano de’ Marpioni, col crescere della prole, aveva dovuto allargarsi.» (C.E. Gadda, Quattro figlie ebbe e ciascuna regina)], altri con un cigolio sinistro [«Una volta gli assassini venivano impiccati a Four Turnings.» (Daphne Du Maurier, Mia cugina Rachele)], altri ancora si limitano a farla girare sui cardini, scoprendo una realtà che, fino a un istante prima, per il lettore non esisteva [«In un buco del terreno viveva uno Hobbit.» (John R.R. Tolkien, Lo Hobbit)].

Che cosa voglio raccontare? chiede l’incipit all’autore. E soprattutto, come lo voglio raccontare? Quale voce intendo dare a queste parole?
Quali colori, quali emozioni sto per consegnare al mondo che mi accingo a raccontare? Se si riesce a rispondere, la strada si distende, diventa un po’ più pianeggiante… almeno finché, all’orizzonte, non spunta il fratello dell’incipit: l’explicit, il finale. Ma di questo, magari, parleremo dopo aver percorso almeno un tratto di strada…

Cinque consigli per un incipit da brivido

Contrariamente a quanto si pensa, chi ben inizia non è a metà dell’opera: è soltanto all’inizio, mi dispiace 😉

Ma vediamola dall’altro lato: chi inizia a leggere il vostro thriller ha già mosso un primo passo, vi sta già venendo incontro, ed è un momento prezioso. Voi che siete anche lettori forti lo sapete bene: sta a chi scrive convincere chi legge a fare i passi seguenti.
Mi riferirò, in quanto segue, alla prima unità conchiusa di testo (prologo, primo capitolo): so che l’incipit ai fini del concorso IoScrittore è più consistente, ma parliamoci chiaro: soprattutto in un thriller dovete conquistare il vostro lettore dalle prime pagine, il resto verrà da sé 🙂
Non esistono a mio parere regole universali per un buon incipit. Per questo non posso che indicarvi ciò che tendenzialmente (tenendo conto di tutte le possibili e perfino probabili eccezioni) mi conquista alle prime righe di un thriller, un giallo, un noir.
Il prerequisito essenziale è che abbiate le idee chiare in merito allo scopo che, nell’economia del romanzo, deve avere il vostro incipit. Presentare un personaggio? Una situazione? I primi indizi di un enigma? Una voce? Definite un obiettivo, uno solo fra questi, valutandone la presa sul lettore, e attenetevi rigorosamente a questo.
A questo punto, ecco le mie personalissime, ma credo sensate, preferenze in proposito.
1) Un incipit è una singola, puntuale, precisissima emozione. Se riuscite a farmi provare esattamente l’emozione che vi siete prefissati, siete già a un ottimo punto.
2) Una sola situazione. Pochi personaggi. Avrete tempo e spazio nel resto del romanzo per approfondire ed espandere.
3) Se ci sono dialoghi, fatemi sentire la specificità delle voci. Nel resto del romanzo, sarebbe meglio non aver bisogno della specifica ‘disse Giovanni’ per capire che a parlare è stato appunto Giovanni. Perché dopo due pagine, la voce di Giovanni dev’essere riconoscibile da sé.
4) Cambiate le carte in tavola. Spiazzatemi. Sorprendetemi. Da subito.
5) Una piccola postilla sulla primissima pagina: evitate qualsiasi elemento che possa potenzialmente respingere. Avete davvero bisogno di dar carattere al vostro personaggio facendogli pronunciare una sonora volgarità alla terza riga? Avete davvero bisogno di un monoblocco descrittivo di venti righe ininterrotte senza salto di paragrafo, che anche all’occhio dà l’impressione di assenza di ritmo?
E infine, il consiglio che mi sta più a cuore: divertitevi. Non dovete vedere l’incipit, soprattutto nel caso di un thriller, come un semplice punto di partenza per arrivare a qualcos’altro, a ciò che secondo voi è importante. L’incipit non è una formalità da sbrigare solo perché poi arriva la sostanza: è la sostanza.
E se scrivendolo proverete la stessa emozione che volete trasmettere, vedrete che il brivido ci sarà.

Del buon uso del blog

Questo forum, come qualunque altro forum su internet, dovrebbe essere improntato a delle regole di confronto condivise.
Per questo, essendo il blog di un torneo letterario, non possiamo che raccomandare di astenersi dall’affrontare argomenti che da sempre provocano quelle che in gergo si chiamo flame wars, cioè dibattiti che rischiano di alimentare soltanto polemiche spiacevoli, ma soprattutto inutili.

Contrariamente a quanto alcuni hanno affermato, questo blog non è moderato: nessun commento, finora è stato sottoposto all’approvazione di un moderatore perché la libertà è nel nostro DNA. Alle critiche rispondiamo se sono sensate e colgono aspetti nuovi e interessanti, perché ci aiutano a migliorare. Per noi questa è una attività che comporta un impegno extra, lo affrontiamo volentieri e in perfetta buona fede perché ci piace veder nascere il talento.  Ma le critiche o le domande poste senza quel rispetto che ci pare di meritare come lo meritate voi le lasciamo cadere; saranno poi gli altri partecipanti a trarre le conclusioni.
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La redazione di IoScrittore