Blocco dello scrittore: 10 consigli d’autore per superarlo

Il blocco dello scrittore è un’esperienza che potrebbe essere capitata a tutti: di fronte a un tema da scrivere a scuola, a un compito in classe, a un brainstorming per proporre idee innovative, ecco che il cervello sembra incapace di trovare originalità e ispirazione, rimanendo bloccato in un vortice di pensieri improduttivi e sconnessi.

Anche chiamato “sindrome da pagina bianca“, il blocco dello scrittore consiste nella difficoltà a realizzare testi scritti di ogni tipo, dalla prosa alla poesia, dal genere giallo al romanzo di formazione.

E se è vero che questo problema ha riguardato (più o meno intensamente) ogni individuo nella sua quotidianità, è altrettanto comprensibile che anche le più grandi scrittrici e scrittori contemporanei abbiano dovuto affrontarlo, riuscendo infine a uscirne vincitori.

Proprio per via della loro grandezza, che li ha portati a realizzare opere letterarie famose e apprezzate, vari autori di talento, nel corso del tempo, si sono impegnati a consigliare giovani scrittori in erba, fornendo loro piccoli stratagemmi, tecniche fondamentali e modus operandi per la scrittura di un buon libro o racconto: così per esempio è nata la sezione dedicata ai “Consigli degli autori” sul sito del torneo letterario gratuito ioScrittore, o testi come Consigli a un giovane scrittore (Garzanti) del romanziere e sceneggiatore Vincenzo Cerami (1940-2013).

Abbiamo così raccolto le opinioni di alcuni degli autori più noti di ieri e di oggi sul tema del blocco dello scrittore: da Margaret Atwood a Haruki Murakami, da Joan Didion a Jonathan Franzen. Ognuno di questi romanzieri ha offerto la sua visione del fenomeno, contribuendo a renderlo meno spaventoso e insormontabile, e più simile a un visitatore indesiderato (ma temporaneo) della propria storia.

Possiamo far risalire una prima causa del blocco dello scrittore a un’assenza d’ispirazione, a una difficoltà nel trovare le parole giuste o addirittura un argomento di cui parlare. Nel 1899 lo scrittore e critico letterario francese Antoine Albalat affermava che “scrivere è una questione di ispirazione: e l’ispirazione non s’insegna” (dal saggio L’art d’écrire enseigné en vingt leçons). Oggi, l’evolversi della professione dello scrittore e il continuo cambiamento della società ci fanno sperare in un giudizio un po’ meno irremovibile: dall’esperienza di molti autori, infatti, possiamo trovare molti suggerimenti per ritrovare l’impulso a scrivere.

Partendo dai consigli più pratici, la scrittrice e poetessa canadese Margaret Atwood– autrice , tra i molti titoli, del celebre romanzo distopico Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie, traduzione di Camillo Pennati) e de L’altra Grace (Ponte alle Grazie, traduzione di Margherita Giacobino) – nel 2010 proponeva sul suo blog un decalogo per il blocco dello scrittore. Dieci punti che corrispondono ad altrettanti comportamenti da mettere in pratica o a spunti per rivedere il proprio scritto con occhi diversi.

Tra i primi suggerimenti “uscite a fare una passeggiata, fate il bucato, o mettetevi a stirare. (…) fate uno sport, qualunque cosa che richieda concentrazione e comporti una ripetuta attività fisicae poi “prendete in mano il libro che rimandavate da tempo” e Scrivete, ma in qualche altra forma: anche una lettera, o una pagina di diario, o la lista della spesa. Lasciate che quelle parole fluiscano attraverso le vostre dita”.

A queste proposte seguono poi consigli per rinfrescare il proprio testo e ottenere nuova energia – meglio se dopo averci dormito su (punto quattro) e aver mangiato un quadretto di cioccolato con “almeno il 60% o più di cacao, organico, biologico” (punto cinque). Atwood suggerisce di cambiare il tempo verbale, la persona o il genere, e poi di pensare al libro come a un labirinto” di cui si è incontrato un muro, e quindi di ripercorrere al contrario il percorso fino al momento in cui si è presa la direzione sbagliata.

Il decimo punto – quello conclusivo – afferma: “non siate arrabbiati con voi stessi. Fatevi, anzi, un piccolo regalo di incoraggiamento”. Margaret Atwood non esclude però anche la possibilità che dopo aver seguito ogni punto non si riesca ancora a superare il problema, da cui il suo suggerimento: “iniziare qualcos’altro” e tornare alla scrittura in un secondo momento.

Quest’ultima sembra essere una strategia adottata da molti scrittori di fama mondiale: per esempio da Colson Whitehead,newyorkese autore de La ferrovia sotterranea (Sur, traduzione di Martina Testa) e de I ragazzi della Nickel (Mondadori, traduzione di Silvia Pareschi), vincitori del Premio Pulitzer per la narrativa, rispettivamente nel 2016 e nel 2020.

Il Louisiana Museum of Modern Art, museo danese di arte moderna, ha domandato a diversi autori di spiegare il loro rapporto con “la pagina bianca”: in quest’occasione, Whitehead ha raccontato come il blocco dello scrittore sia per lui un problema non ancora risolto pienamente: “Potrei non sapere come cammina o parla un personaggio, ma continuo a scrivere altre parti del libro e lo capisco più tardi, una settimana o due settimane o tre mesi dopo. (…) So sempre che se inizio un libro e rimango bloccato, devo fare qualcos’altro per un po’

D’altronde, come dichiarava lo scrittore Francesco Burdin (1916-2003), “Bisogna interrompere di tanto in tanto il flusso della scrittura. Per evitare che dal rubinetto scorra sempre la medesima acqua”: un consiglio che può risultare prezioso soprattutto in momenti di minore creatività, per ritrovare vitalità ed energia proprio grazie a una pausa.

Non è inoltre da dimenticare che anche gli scrittori più affermati, talvolta, possono avere battute d’arresto e ritmi meno serrati di scrittura. In un’intervista del 2005, Joan Didion (1934-2021) raccontava al The Guardian di spendere spesso “la maggior parte della giornata a lavorare su un pezzo senza mettere nulla su carta, stando semplicemente seduta lì, cercando di crearmi un’idea coerente“.

L’autrice e saggista statunitense, che nel 2005 terminava di scrivere L’anno del pensiero magico (Il Saggiatore, traduzione di Vincenzo Mantovani), libro in cui tentava di affrontare la morte del marito, mostra attraverso le sue parole quanto sforzo sia richiesto per realizzare la sua scrittura analitica, schietta e tagliente: “forse mi viene in mente qualcosa verso le cinque del pomeriggio, e poi lavoro per un paio d’ore e ottengo tre o quattro frasi, forse un paragrafo”.

Un’altra tattica per superare il blocco dello scrittore è quella di definire una routine ricca di attività positive per la concentrazione e per l’inventiva, cercando di attenersi con regolarità ai propri impegni, compresa l’attività di scrittura.

Per esempio Haruki Murakami, celebre scrittore giapponese (autore di numerosi romanzi e racconti), descrive così la sua giornata: “Quando sono in modalità scrittura, mi alzo alle quattro del mattino e lavoro dalle cinque alle sei ore. Nel pomeriggio corro per dieci chilometri o nuoto per 1500 metri (o entrambe le cose), poi leggo un po’ e ascolto un po’ di musica. Vado a letto alle nove di sera”. 

Alle spalle di questo programma è ovviamente indispensabile una grande forza di volontà, oltre che fisica (“scrivere un romanzo è come un’addestramento alla sopravvivenza”), ma parallelamente Murakami è convinto che sia la ripetizione stessa a essere importante, per creare una sorta di ipnosi: “ipnotizzo me stesso per raggiungere uno stato d’animo più profondo”, racconta l’autore.

A prescindere dal numero di chilometri di corsa, quel che è certo è che la costanza e l’essere fedele ai propri piani siano elementi indispensabili per uno scrittore, indipendentemente dal fatto che sia un esordiente o, al contrario, un nome già conosciuto.

La scrittrice e poetessa Joyce Carol Oates, autrice di decine di romanzi tra cui Blonde (La nave di Teseo, traduzione di Sergio Claudio Perroni) e Una famiglia americana (Il Saggiatore, traduzione di Vittorio Curtoni), riprende in parte la tesi di Murakami, sottolineando l’importanza di attività positive per il pensiero e la riflessione.

In occasione della sua intervista per il Louisiana Museum of Modern Art, infatti, l’autrice statunitense racconta di non aver mai davvero affrontato il blocco dello scrittore, perché prima di mettersi di fronte a una pagina bianca procede prima a riflettere: “Mi piace correre, camminare in solitudine, fare meditazione e pensare. Quindi, quando arrivo a una pagina bianca ho molte cose da dire. (…) Non scriverei mai prima, non penso sia una buona idea. (…) Pensi a lungo e poi scrivi quando sei pronto“.

Se quindi in alcuni casi si tratta di trovare il momento migliore per dedicarsi alla scrittura, in altri la chiave per riscoprire l’ispirazione può essere la scelta di un luogo adatto per scrivere: è questa l’opinione di Stephen King, uno tra gli scrittori più prolifici e riconosciuti a livello globale, che nel suo libro On writing. Autobiografia di un mestiere (Sperling & Kupfer, traduzione di Giovanni Arduino) dedicato al lavoro del romanziere, afferma: “Se vi costruirete il vostro rifugio personale, potrete metterlo in cima a un albero, sul tetto del World Trade Center o sull’orlo del Grand Canyon. (…) Il vostro può essere un angolo modesto (…), con un solo particolare davvero necessario: una porta che siate disposti a chiudere“. 

Il consiglio, quindi, è quello di cercare un posto in cui potersi dedicare appieno al proprio lavoro, che stabilisca dei confini precisi e dia soprattutto l’idea dell’impegno preso: “È una maniera per ribadire a voi stessi e al mondo intero che non state menando il can per l’aia: vi siete assunti un impegno della massima importanza.

Spesso però, anche organizzando al meglio il nostro tempo e ambiente di lavoro, la mente non sembra volerne sapere di collaborare. I pensieri sono vorticosi e frenetici, si sovrappongono l’un l’altro creando una gran confusione.

Per poter ricominciare a scrivere, quindi, manca un ultimo tassello: riuscire a fare i conti con le idee e le riflessioni dentro la nostra testa. Un concetto che Jonathan Franzen, intervistato per conto del Louisiana Museum of Modern Art, ha espresso molto chiaramente: La ‘pagina bianca della mente’ deve essere riempita prima di avere il coraggio di affrontare la vera e propria pagina bianca”.

L’autore di Le correzioni (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) e di Crossroads (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) spiega meglio la sua posizione con queste parole: “È quando hai un pensiero sotto la doccia, ti svegli nel cuore della notte e all’improvviso hai una frase. L’hai già scritto nella tua mente. È così che gestisci la pagina bianca”.

Essenziale, cioè, riprendendo anche le parole di Joyce Carol Oates, avere un pensiero ben costruito, prima di affrontare il processo di scrittura – non basta semplicemente mettersi di fronte allo schermo del computer con la volontà di iniziare una storia. Per questo possono essere utili schemi, mappe, appunti… o anche solo, come spiega Franzen, “un pensiero sotto la doccia”.

Un altro punto di vista illuminante è quello dello romanziere e saggista egiziano Alaa al-Aswany, autore di Palazzo Yacoubian (Feltrinelli, traduzione di B. Longhi) e di altri romanzi e racconti. Nell’intervista al Louisiana Museum of Modern Art, al-Aswānī spiega che la pagina bianca può diventare un’occasione preziosa, perché permette allo scrittore di scoprire ciò che può e (soprattutto) desidera dire: Avrai sempre un conflitto tra ciò che vuoi dire e ciò che potresti dire. La scrittura è questo conflitto: cercare continuamente di superare, di rimuovere le barriere che si mettono contro alla tua espressione”.

“Queste barriere si pongono davanti a qualsiasi scrittore”, spiega l’autore, che presenta la pagina bianca come “una sfida, per superare queste barriere e dire (finalmente) quello che vuoi dire“. Visto da questa prospettiva, quindi, il blocco dello scrittore rimane un’esperienza complicata e sfidante, dietro a cui si nasconde però un’enorme potenzialità creativa.

Lasciare libero il pensiero è, il più delle volte, una strategia efficace per raggiungere l’espressività più autentica e completa. Talvolta, però, la mente ci può ingannare, come spiega efficacemente Philipp Meyer (autore di Ruggine americana e de Il figlio, Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella) nell’intervista per il museo danese: “Non credo che esista il blocco dello scrittore, è fondamentalmente insicurezza. È la tua critica interiore portata a un livello più alto di quello che dovrebbe avere in quel momento”.

Per concludere questa selezione di consigli, possiamo ricavare dalle parole di Meyer un ultimo suggerimento:  quello di ricordarsi, talvolta, di scrivere in piena libertà, lasciando scorrere i pensieri sulla pagina, senza rimanere bloccati nell’incertezza e nella paura di quello che sarà il risultato.

Quando inizi un lavoro (…), il tuo livello di critica deve essere abbassato a zero. Il punto è mettere le cose su carta, per permetterti di fluire. È solo scrivendo che scopri personaggi e idee…

Fonte: www.illibraio.it

Le “lezioni americane” di scrittura di Umberto Eco (e l’invito a non prendersi troppo sul serio)

“Ho pubblicato il mio primo romanzo, Il nome della rosa, nel 1980, il che significa che ho iniziato la mia carriera di narratore solo ventotto anni fa. Pertanto mi considero un romanziere molto giovane e, spero, promettente” racconta Umberto Eco nella prima delle sue “lezioni americane”, le Richard Ellmann Lectures tenute per la Emory University di Atlanta.

Siamo, come si sarà capito, nel 2008. E lo humour del semiologo scrittore lo spinge ad augurarsi, oltre ai cinque già pubblicati, molti altri romanzi “nei prossimi cinquant’anni”, che è già una bella sfida. Non è accaduto, com’è ovvio nel mondo nell’anagrafe e non della letteratura, ma intanto i testi scritti e pubblicati originariamente in inglese vengono ora tradotti in italiano – in contemporanea con la nuova edizione di Opera aperta – per La nave di Teseo (con la traduzione di Riccardo Fedriga e Anna Maria Lorusso), col titolo Confessioni di un giovane romanziere, che l’autore stesso dette alle sue conferenze.

Confessioni di un giovane romanziere di Umberto Eco

In esse troviamo ovviamente molti temi noti perché tipici del lavoro di Umberto Eco, per esempio la riflessione non tanto sulla letterarietà in sé ma sull’uso che si può e si deve fare dei testi, magari esemplificato sul rapporto tra lui e i lettori più colti a proposito di passaggi segreti (possibili citazioni, allusioni criptiche, scioglimenti di calembours linguistici), numerosissimi com’è noto in Il nome della rosa, proprio in conseguenza dei rapporti di intertestualità fra un libro e tutti quelli che gli stanno intorno nella biblioteca di Babele – e a volte del tutto arbitrari. Su questo (su dove si situi il limite dell’interpretazione, e come farlo valere) gli argomenti di Eco sono molto interessanti, anche se non “nuovi” nella sua lunga attività di studioso.

Stabilisce con chiarezza un criterio diciamo così di pulizia: l’interpretazione non è infinita.

Riprendendo il suo Lector in fabula, così, ci ricorda che “un testo e una macchina pigra che esige che i lettori facciano una parte del lavoro, cioè è un dispositivo concepito per suscitare interpretazioni”. E citandosi da I limiti dell’interpretazione, ribadisce rifacendosi a Karl Popper che, se pure “può essere difficile decidere se una data interpretazione è buona, o decidere quale fra due interpretazioni dello stesso testo sia migliore, è pero possibile capire quando una determinata interpretazione è palesemente sbagliata, folle, inverosimile”.

Umberto Eco è però anche un maestro dell’aneddotica, sa fare esempi meravigliosi.

A questo proposito ne cita, fra i tanti, uno assai divertente a proposito della Finnegans Wake, il labirintico e complicatissimo ultimo libro di James Joyce, su cui dal ’38, quando uscì, si scatenano senza sosta migliaia di studiosi. Uno di essi, per smontare interpretazioni (appunto) troppo ardite – come quella che ci sia persino un (improbabile) riferimento alla Anschluss, cioè l’annessione hitleriana dell’Austria – “scopre” un’allusione, molto più criptica, a Lavrentij Berija, il temutissimo capo della polizia segreta negli anni del terrore staliniano. Berija era però un perfetto sconosciuto, almeno in Occidente, quando la Wake venne pubblicata: ma ciò non impedì a qualche joyciano di attribuire allo scrittore doti “profetiche”. Eco si diverte: “E ridicolo, certo, ma tra i fan di Joyce si possono trovare cose ancora più ridicole”.

Va detto che qualcosa di simile è accaduto anche tra i suoi, di fan. A proposito di Il nome della rosa, per esempio, un collega tedesco, a quasi trent’anni dalla pubblicazione (secondo Eco, che forse a questo proposito sbaglia un po’ i conti) gli scrive di aver trovato in una libreria di Buenos Aires un volume di Athanasius Kircher (il gesuita secentesco che viene ricordato nell’introduzione per un suo libro anonimo, e immaginario, tracce e citazioni del quale – la vicenda è un è po’ complicata – sarebbero state scovato nella capitale argentina), e gli chiede se non si tratti proprio di quello citato, facendo un corto circuito tra l’invenzione fantastica dello scrittore e la propria lettura diciamo così fattuale o realistica.

Nessuna menzione, invece, per un certo Milo Temesvar, anch’esso presente nell’introduzione al romanzo e indicato come autore di un altro volume chiave per il prologo della storia; è un personaggio inventato di sana pianta, non solo, ma anche nato da una burla internazionale, quando alla Fiera di Francoforte Eco, giovane consulente Bompiani, mise in giro la voce che tutti i maggiori editori si stavano contendendo un esordiente forse georgiano ed esule, a suon di milioni; ci cascarono in molti, se non altro a livello di chiacchiericcio, e pare che Giangiacomo Feltrinelli avesse affermato categoricamente di essersene già assicurato i diritti mondiali. Se parlasse sul serio, o semplicemente rilanciasse la beffa, non è dato sapere. Resta il fatto che da allora Eco dotò questo scrittore fantasma di una biografia e di una bibliografia adeguate, citandolo in certi suoi libri serissimi.

Agli americani non ha però raccontato niente di tutto ciò, forse per lasciare un poco di mistero. Ha parlato della vergine delle liste, invece, offrendo molti esempi tratti dai suoi testi; del modo di lavorare, delle letture da ragazzo, delle ricerche meticolose e quasi pignole che hanno sempre preceduto la stesura dei romanzi. E di cui i lettori in gran parte non si sono accorti. Non è un problema, servivano a lui in quanto autore. Del resto, “se pubblico un romanzo, in linea di principio sento il dovere morale di non elevarmi al di sopra delle interpretazioni dei miei lettori (e anche quello di non incoraggiarne alcuna)”. Il che rappresenta un ottimo consiglio per tutti i romanzieri.

Una lezione di scrittura – e un invito a non prendersi troppo sul serio, almeno in pubblico.

Fonte: www.illibraio.it

IoScrittore 2023, i vincitori

Si è conclusa venerdì 17 novembre la 14esima edizione di IoScrittore con un evento in presenza (trasmesso anche in una diretta streaming molto partecipata e rivedibile qui) nella nuova libreria Ubik di via Monte Rosa91, come sempre all’interno della cornice di Bookcity Milano

All’evento di premiazione, moderato da Silvia Cannarsa, redattrice de ilLibraio.it e Antonio Prudenzano, responsabile editoriale de ilLibraio.it, hanno partecipato le scrittrici Francesca Giannone, autrice per Nord del romanzo La portalettere, con cui ha vinto il Premio Bancarella 2023, e Rokia, autrice per Magazzini Salani di The Truth Untold. La verità nascosta e Sindrome.

Ospiti della serata, l’ideatore del Torneo, Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del Gruppo editoriale Mauri Spagnol, e i partner di IoScrittore: Antonella Ferrara, presidente e direttrice artistica del festival Taobuk; Tiberio Sarti, amministratore delegato delle Librerie Ubik; Edoardo Scioscia, presidente del Libraccio ed Eugenio Trombetta Panigadi, consigliere delegato Fibs. 

L’incontro, dal titolo “Il sogno di esordire”, è stato un momento di scambio e dialogo per riflettere sui cambiamenti in corso nel mondo dell’editoria e sui diversi modi di arrivare alla pubblicazione di un libro, tra scouting tradizionale e nuove opportunità offerte dalle piattaforme digitali.

A proposito del self publishing Stefano Mauri ha sottolineato che indubbiamente svolge una sua funzione, e gli autopubblicati fanno parte delle fonti da cui le case editrici attingono per cercare libri interessanti. Ma si è ribadita l’importanza dell’editore, che ti assiste nell’editing, ti aiuta a dare una forma al libro, ti porta alle fiere, sul mercato internazionale, garantendoti una diffusione diversa da quella che ti può garantire una sola piattaforma.

Le due scrittrici presenti, Francesca Giannone e Rokia, hanno dato alcuni consigli rivolti a chi ha il sogno di scrivere; per Giannone bisogna allenarsi a sospendere il giudizio sui propri personaggi e non avere fretta di pubblicare. Per Rokia invece la scrittura e la lettura sono un rifugio e una cura, per sentirsi meno soli. Leggere per sentirsi meno soli e scrivere per far sentire gli altri meno soli, ricordandosi sempre perché si scrive, da dove si è partiti.

Questi i titoli dei romanzi vincitori della 14esima edizione: Il fantasma di Montecassino; Banco del Salvatore n. 107; Arrivederci, Roma; I mostri; L’inganno del tempo; Come si muore da queste parti; Julia, la strega di Siligo; Itaca; Una Vittoria senza speranza; I fiori inutili.

Nel corso dell’evento è stato assegnato il Premio Taobuk, dal 2021 partner del torneo, al romanzo Una Vittoria senza speranza, per la freschezza e l’originalità della protagonista, un’assistente sociale capace di svolgere il suo ruolo con profonda empatia e impegno nell’aiutare gli altri, anche se finendo a volte per trascurare la sua vita personale e i suoi affetti. Colpisce la capacità di raccontare una storia comune con una narrazione coinvolgente, arricchendola di spunti positivi e umanità.

Infine, il Premio under 30, novità di questa edizione, è stato assegnato a Mia nipote è una conchiglia.

Nel corso dell’evento, come tutti gli anni, sono stati premiati anche i migliori lettori, perché IoScrittore conosce bene l’importanza della lettura e della valutazione. Ecco gli pseudonimi dei 9 migliori lettori, che riceveranno un buono acquisto di 50 euro da parte dei partner del torneo (Ibs, Ubik e Il Libraccio): 

Mei Montali; Profumo; Riccardo Lalli; Rosamundak; Willy; Fior di loto; Gatta Nera; Herger; Ilex.

Il miglior lettore in assoluto è risultato invece Cassandra, cui andrà un buono acquisto di 100 euro da parte dei partner.

Sia gli scrittori che i lettori nominati riceveranno una selezione di romanzi del Gruppo editoriale Mauri Spagnol, scelti tra i migliori esordi del 2023.

Ai vincitori le congratulazioni della redazione del Torneo, e l’invito a leggere e far tesoro e dei giudizi ricevuti per migliorare la propria opera. Perché IoScrittore è prima di tutto una palestra per esordienti.

Ricordiamo inoltre che entro il 18 dicembre verrà annunciato il titolo del romanzo che verrà pubblicato da una delle case editrici del gruppo e che presto saranno aperte le iscrizioni alla nuova edizione del Torneo, come sempre completamente gratuito.

Quale mistero si nasconde nelle stanze di un’antica dimora abitata dai fantasmi?

Marta Rosato è l’autrice di “Creature di carta“, romanzo edito da IoScrittore.

Il libro in una frase

Una storia di amicizia e coraggio, che racconta l’immenso potere dell’immaginazione.

Amici di scaffale

Patrick Ness, Sette minuti dopo la mezzanotte; Shirley Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello; Markus Zusak, Storia di una ladra di libri.

Segni particolari

Intreccio tra fiction e Storia. Omaggio a un grande classico della letteratura

Dove e quando

Cologny, Svizzera, 1947

Come e perché ho deciso di partecipare a IoScrittore

Volevo proporre il mio manoscritto ad alcune case editrici che, sulle loro pagine web, suggerivano, piuttosto che inviarlo a loro, di partecipare al torneo IoScrittore, così ho seguito il consiglio.

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“Creature di carta” di Marta Rosato, per chi ama le storie di fantasmi…

Una villa abbandonata, antica e cupa come una maledizione, una presenza inquietante custode di segreti terribili nel tranquillo paesaggio svizzero che si affaccia sul lago Lemano. Di questo è convinta la piccola Victoria, che di fronte a questa villa ci abita con la nonna Rose, discendente da una grande e ricca famiglia, e la madre Lilian.

Siamo nella placida Cologny, alle porte di Ginevra, nel 1947. Villa Diodati, questo il nome della casa che ossessiona la ragazzina, ha ospitato più di un secolo prima alcuni poeti inglesi, tra cui Mary Shelley, che qui ha creato il suo tetro e straziante capolavoro: Frankenstein.

marta rosato creature di carta

Ma a Victoria non interessa per spirito di avventura; deve e vuole aiutare sua madre, ormai ridotta a un fantasma per la depressione, a causa della scomparsa del marito durante la guerra. E da quando ha letto nel diario del padre che su di loro incombeva uno spettro, Victoria è sicura che proprio nella villa lui sia prigioniero e prova a intrufolarsi ogni giorno, aspramente rimproverata dalla nonna. Il colpo di fortuna sembra essere l’arrivo dei nuovi giardinieri, che hanno un figlio della stessa età di Victoria, Lucien, timido e sensibile. Legati da una solida quanto immediata amicizia, i ragazzi proveranno ad entrare insieme, di notte e di nascosto, per scoprire una volta per tutte il mistero che aleggia sull’inquietante dimora. Quello che scopriranno cambierà per sempre la loro esistenza, perché spettri e fantasmi abitano davvero quelle stanze. Ma, mentre alcuni, incorporei, si riveleranno addirittura amici e utili per la ricerca, altri, tanto più terribili quanto più reali, mostreranno una verità orribile per Victoria e per la sua famiglia, mostrando quanto inaspettatamente vicino possa annidarsi il male.

Con Creature di carta, Marta Irene Rosato firma un racconto che affascina, appassiona e disorienta, capace di rovesciare e ridefinire normalità e diversità, realtà e inconsueto.

Il libro, protagonista al torneo letterario gratuito IoScrittore, è ora disponibile in ebook.

L’autrice è laureata in Lettere Moderne e diplomata in Filmmaking. Nel 2019 ha conseguito il Master of Arts in Screenwriting presso la London Film School. Ha scritto diversi cortometraggi, lungometraggi e teleplay. La sua passione per la letteratura gotica, l’arte e la psicologia è di costante ispirazione per i suoi scritti, pervasi di rappresentazioni visive cariche di simbolismo.

Fonte: www.illibraio.it