Un affresco potente, composto da una spirale di percorsi intimi, sullo sfondo della storia italiana dell’ultimo secolo

Daniela De Prato è autrice de “La rabbia”, romanzo edito da IoScrittore.

Il libro in una frase

La storia di Clara e dei suoi compagni di avventura-sventura è una costellazione famigliare. Parte da molto lontano, infatti: dagli antenati, dagli eventi storici che hanno marchiato le loro esistenze, da scelte e drammi personali che sembrano essere rimasti impressi nel codice genetico di quelle stirpi. 

Ogni personaggio – così come ognuno di noi – porta dentro di sé infinite storie precedenti di cui non sempre è a conoscenza, ma tuttavia è portato a ripercorrere le stesse strade, a riecheggiare gli stessi destini. 

Solo quando l’ultima generazione riuscirà a chiudere il cerchio e a superare l’irretimento della sua storia famigliare, magari con atto di liberazione, che sani gli errori o perdoni i torti subiti dagli antenati, potrà davvero percorrere la propria autentica storia personale.

Il romanzo è, infine, anche una riflessione sulla responsabilità collettiva dell’uomo nei confronti della Terra, che sta pagando il prezzo di uno sfruttamento senza lungimiranza né rispetto.

Amici di scaffale

Amo i romanzi che si costruiscono via via, partendo da storie apparentemente lontane e sconnesse per poi svelare, come in un allargamento dell’inquadratura, il disegno che è sotteso, di cui ognuna è una componente essenziale. Perciò ho amato molto i romanzi dell’israeliano Eshkol Nevo, tra tutti La simmetria dei desideri e Tre piani

Amo anche i romanzi che restituiscono la stessa storia da punti di vista diversi che si integrano e completano tra loro: Il Minotauro, di un altro grande autore israeliano, Benjamin Tammuz, è uno dei miei capisaldi in questo senso. 

Amo le storie degli uomini che si infrangono sul muro della Storia collettiva, ma non si fermano: quel che resta di quegli uomini raccoglie i pezzi e in qualche modo prosegue, onorando l’esistenza fino all’ultimo: La storia di un amore (nella versione originale, bada bene, The history of love, non A love story) di Nicole Krauss, ne è un esempio magistrale.

Segni particolari

La rabbia è un romanzo “multipiano”. Svariati piani temporali, suddivisi in sezioni (Trapassato remoto, imperfetto, presente e così via). Diverse localizzazioni geografiche dal nord al sud dell’Italia, con alcune propaggini narrative all’estero. Molti, moltissimi personaggi: una vera sfida per la memoria del lettore. Tanti punti di vista, almeno quanti sono i personaggi e le loro evoluzioni nel corso della vicenda. 

Nel complesso, l’idea è di restituire un mosaico di sfaccettature che trasmettano al lettore la sensazione di connessione. Non siamo soli: chi ci ha preceduto è parte della nostra storia, e ogni nostra azione e scelta porta conseguenze e ci lega agli altri. Una ricchezza e una responsabilità individuale che andrebbe onorata.

Dove e quando

Molteplici “dove” e “quando”. Dal profondo Sud di un’Italia che sta per entrare nel primo conflitto mondiale al fronte orientale di quella stessa guerra, che poi diverrà teatro anche della seconda guerra mondiale e delle vicende partigiane, per passare all’Italia del boom economico, l’ottimismo, il mito della crescita, lo sfruttamento e la cementificazione a oltranza, senza lungimiranza, per giungere fino ai tempi recenti, quelli di un mondo globalizzato, senza confini, nel quale è difficile individuare causa ed effetto e trovare un responsabile della devastazione in atto. Devastazione ambientale che è anche sociale, delle relazioni umane e della salute.

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 #costellazionifamiliari #novecentoitaliano #petrolio  #responsabilità 

Come e perché ho deciso di partecipare a IoScrittore

Avevo già partecipato a un’edizione precedente con un altro romanzo, appena abbozzato, in cui non credevo molto. Non avevo preso sul serio il torneo: pensavo fosse poco più di un gioco per lettori e aspiranti autori. Solo dopo essere arrivata alla seconda fase, ossia alla valutazione dell’intero romanzo, mi sono resa conto di essermi imbarcata in qualcosa di importante, per il quale quel manoscritto non era pronto. Sono rimasta impressionata dalla serietà dei giudizi ricevuti, che dimostravano una lettura attenta. Quel testo non meritava tanto impegno. Così, quando ho sentito che “La rabbia” poteva essere pronto, ho pensato di restituire quell’impegno, portando un romanzo all’altezza della valutazione dei lettori.

Daniela De Prato, dal torneo IoScrittore alla pubblicazione con l’ebook “La rabbia”

Il destino è un fiume carsico, capace di inabissarsi per lunghi tratti, lungo la linea del tempo, per poi riapparire all’improvviso e travolgere vite e situazioni. La Storia può essere un sortilegio sotterraneo, sorgente d’amore e radice di maledizione, capace di ridefinire i luoghi e rimescolare le carte dell’esistenza.

Con questo libro Daniela De Prato, originaria di Udine, ha preso parte a IoScrittore, il torneo letterario gratuito promosso dal gruppo GeMS. Il romanzo, intitolato La rabbia e giunto in finale, ora viene proposto in ebook.

Quattro famiglie italiane a cavallo del Novecento intrecciano le loro vicende, dal Friuli alla Toscana, dal Brennero alla valle dell’Agri, riversando passioni e viltà, ipocrisie e grandi gesti, nefandezze oscure e piccoli eroismi nel grande fiume della storia di un Paese scintillante e martoriato.

La rabbia, Daniela De Prato

Il filo conduttore è un processo, ai giorni nostri, in cui Clara, Alexandra e Pietrangelo rischiano molto delle loro giovani vite a causa di un gesto eclatante, una sfida violenta e simbolica portata alla potente Multinazionale, responsabile dello scempio di un territorio e della morte di persone. Di fronte a loro, in una capriola del fato, c’è Antonio, il giudice che ha stabilito un nesso tanto sottile quanto resistente tra lui e gli imputati, che risale nel tempo. I volti che ha davanti, le colpe che deve giudicare non gli sono totalmente estranei.

Un affresco composto da una spirale di percorsi intimi, da un tratto particolare e attento sullo sfondo di un Paese, l’Italia, la cui storia resta segnata da slanci, mediocrità e colpe inconfessate, e dove ogni possibilità di futuro è comunque legata alla capacità individuale di guardarsi dentro e di assumersi le proprie responsabilità.

Daniela De Prato

Daniela De Prato è nata a Udine, ma la sua vita si è spostata spesso dai confini nordorientali dell’Impero a quelli più meridionali – la Sicilia, l’Appennino lucano e il centro Italia – fino alla sua capitale. Forse per questo l’Italia, con le sue piaghe e bellezze, l’umanità a volte sfregiata a volte santa dei suoi abitanti, è al centro della sua scrittura. Ha pubblicato due romanzi: Il sole negli occhi (TEA, 2010) ed Exit (Mincione Edizioni, 2015). Oggi vive nuovamente ai confini nordorientali dell’Impero, dove si occupa di musei e del suo finalmente amato ambiente alpino.

 

Fonte: www.illibraio.it

Ciò che è autentico resta: i consigli di Hans Tuzzi agli aspiranti autori

Raggiunge il successo con i polizieschi dedicati all’agente segreto Neron Vukcic e con il ciclo del Commissario Melis che, con la sua squadra, indaga in una Milano grigia e austera, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. 

Tuzzi scardina i topoi del giallo con un linguaggio colto, personaggi che sorprendono il lettore sfuggendo alle maglie del genere e indagini che nascondono, nelle loro pieghe, uno spietato ritratto della società in cui si svolgono.

In queste settimane in libreria per Bollati Boringhieri con Nella luce di un’alba più fredda, tredicesima indagine del commissario Melis, Tuzzi svela ai lettori di IoScrittore qualche consiglio di metodo nella costruzione di un romanzo.

Lei ha uno stile estremamente riconoscibile, trasversale tra le opere, che siano romanzi gialli, ‘romanzi-romanzi’, o saggi. Cos’è lo stile e, soprattutto, si può costruire uno stile?

“Ogni scrittore ha una voce. Che, soltanto sua, va educata sino a plasmare naturalmente uno stile. Che non ha nulla a che vedere con il ‘bello scrivere’. Non saprei dare regole, per questa formazione. Scrivere è un atto di pensiero che everte la realtà, perché la interpreta e la riorganizza, perché le dà una struttura in sé conclusa. Ciascuno lo fa secondo un proprio stile, che non si costruisce: si riconosce e si educa. È la natura impalpabile dello stile che permette a due autori dalla prosa non proprio asciutta – Manzoni e Flaubert – le due più grandiose ellissi della letteratura moderna. In questo senso, la struttura di un romanzo è più vicina allo stile del suo autore che all’intreccio della vicenda. Calare la lingua entro le linee di una struttura, o, se preferite, ricoprire le linee di una struttura con la trama della lingua: questo è scrivere. Lo stile di un libro non è quello del lettore – anche se ogni lettore ha un proprio altare formato su scelte precise ancorché inespresse. Insomma, lo stile è faccenda difficilmente definibile, proprio come l’onore per Falstaff: potrei cavarmela dicendo che lo stile sta tutto tra ciò che intendo dire e i mezzi di cui dispongo per dirlo”.

Quali sono le fasi che per lei danno il via alla stesura di un’opera di narrativa?

“Prima viene l’idea, ma come in che forma e perché è un mistero, attesta Leonardo Sciascia. A volte parti da un fatto, un nodo che sgomitoli e tessi; altre da un’immagine, un fotogramma: chi sono quelle persone? Perché sono lì? E lì dove, quando?

La trama è lo scheletro, la scrittura è la carne che rende donne e uomini corpi esteticamente assai più interessanti e complessi dei loro pur necessari scheletri. Ma se un romanzo è solo progetto e intelligenza, nasce morto. Ogni buon romanzo ha sempre dentro più cose di quante consciamente ne abbia messe l’autore: è questa la misteriosa ricchezza dell’arte. La cucina ha ricette chiare, la cucina letteraria no. La scrittura non è una scienza esatta.

Prende forma una storia, e si struttura in una scaletta di massima (ma soltanto gli imbecilli si attengono rigidamente a una scaletta: lo fecero Weyrother ad Austerlitz e McClellan ad Antietam, e i risultati non furono brillanti). 

Vi sono trame nelle quali entri e abiti con sicurezza, altre nelle quali ti inoltri come in certi manieri antichi, con cautela, attento a non perdere l’orientamento. Ma quando entri in quel mondo parallelo ti scindi: mangi parli viaggi dormi e intanto ti muovi in quel nuovo universo invisibile a tutti tranne che a te. È il fascino della letteratura, fatta di storie e perciò di luoghi e di persone, e tu sei il piccolo dio di quel mondo dove, tuttavia, in certa misura esiste il libero arbitrio. Una delle più sicure garanzie di star scrivendo un buon libro è infatti una certa autonomia dei personaggi rispetto alle intenzioni originarie dell’autore”.

E, dunque, come procede dopo aver strutturato la trama?

“Scelto l’edificio della trama, quale stile di arredi adottare? Narratore estero o interno? Onnisciente o coinvolto? Dipende da materia e forma del romanzo. In merito trovo illuminanti le considerazioni di Kubrick al momento di tradurre Barry Lyndon dalla pagina alla pellicola. Nel romanzo chi narra è Barry, mentre il regista ricorse alla voce onnisciente in quanto, sostenne, mutare il medium muta prospettiva e autorità della voce narrante: lo iato fra realtà dei fatti e narrazione del protagonista (il cosiddetto ‘narratore inaffidabile’) sulla pagina interpretata dal lettore può convivere con il dramma, mentre l’oggettività dell’immagine filmica lo ridurrebbe a farsa. 

Scrivi, e mentre scrivi ecco arrivare le svolte e i riempimenti dei quali parla Roland Barthes.

In Madame Bovary la baisade di Emma e Rodolfo è una svolta nella vicenda. Emma che a tavola aspetta che Charles finisca di mangiare, e nel silenzio di una smania compressa traccia righe sulla tovaglia con la punta del coltello, è un riempimento. Un riempimento, sì, ma quanto rivelatore! Ecco, i veri scrittori sanno quanto vale il dettaglio, che esige distanza dalla materia, persino quando è autobiografica, anzi: tanto più quando è autobiografica.

Personalmente mi rileggo già in corso di prima stesura, terminata la quale vengono almeno altre due riletture, ciascuna delle quali porta a varianti: in genere tendo a levare all’interno delle frasi e aggiungere scene che anticipano o riprendono temi sotterranei. Levare migliora sempre un testo. Che per me in genere è concluso alla terza stesura”. 

Quali sono per lei le caratteristiche che fanno di un libro un buon libro?

“Lo dice bene Elisabetta Guido nel profilo del blog lecanzonibrutte: ‘mi piacciono i libri (ma non proprio tutti: solo quelli che per capirli devi iniziare a pensare)’. Mi pare ci sia poco da aggiungere, se non che, nel romanzo, è molto importante porgere in modo lieve la materia su cui pensare. Per dire, Candide e Gulliver sono assai più leggibili e più profondi dei noiosissimi parti del Nouveau Roman o di molti autori realisti. Certo, come dice Henry James, la letteratura è reticenza. Il che non significa però involuto o implicato: la superficie è profonda, insegna il folletto Cocteau, e un grande scrittore e un grande fotografo concordano nel dire che nulla è così misterioso come ciò che appare ‘esatto’. Sì, i buoni libri sono quelli che per capirli devi iniziare a pensare”.

Ci sono delle particolari accortezze a cui prestare attenzione nella costruzione di una vicenda ‘gialla’?

“Il giallo si fa letteratura (da Dürrenmatt a Sciascia passando per Simenon e Holiday Hall) soltanto quando scardina alcune regole del genere. Questo vale anche per giallisti poco più che autori di sciarade, come Agatha Christie: i suoi libri migliori – da Dieci piccoli indiani a L’assassinio di Roger Ackroyd – sono tali in quanto forzano la rigida gabbia del mystery. 

Però, scrivendo all’interno di un genere, non si possono scardinare tutte le regole. Bisogna rispettare il tacito patto sottoscritto con il lettore: ciò comporta attenzione ai dettagli, ai tempi dell’azione, ai personaggi. Un buon giallista deve curare il ritmo della narrazione. (In questo, ammetto, nel ciclo di Melis calco più su romanzo che su giallo: e mi fu subito chiaro l’arco narrativo, dal 1978 –sequestro Moro – al 1994 – agonia del primo governo Berlusconi – , una parte del lungo mystery che è la storia d’Italia dal 12 dicembre 1969).

Più interessante, proprio perché più libero, estraneo al lieto fine del colpevole scoperto e punito, è il genere noir, che offre inediti punti di vista, notevoli istantanee sulla società”. 

Come si caratterizza un personaggio?

“In letteratura l’abito fa il monaco. Piccoli gesti, piccole abitudini… Qualcosa di non troppo insistito, non in primo piano ma sotto la pelle del personaggio. E la voce: il dialogo è pietra di paragone. Ogni voce deve essere riconoscibile. Nei romanzi di genere o comunque legati a certe realtà, deve essere anche credibile. Ma nei romanzi senza etichetta sommi autori, pur muovendo i dialoghi a livelli alti e molto lontani dal quotidiano, sanno plasmare perfettamente le voci: penso in particolare a Kafka e Mann, per restare ai classici. La difficoltà maggiore è rendere le voci dei bambini, qui ci vuole davvero anche una dote naturale, una empatia con l’infanzia. Soltanto i sommi sanno far parlare bambini o animali”. 

Nella sua narrativa sono molto importanti i luoghi. A cosa è opportuno prestare attenzione nella descrizione di un’atmosfera?

“Salgari insegna: non è necessario essere stati in un luogo per descriverlo in un romanzo con bella incisività. E poi letteratura è selezione, anche là dove descrive. Perciò l’atmosfera di un luogo – sia esso un paesino della Bassa padana o un villaggio kikuyu – non si descrive: si evoca, si suscita. Uno scrittore bravo ci riesce con poco: la provincia francese in Simenon e Mauriac, la Cornovaglia di Du Maurier, la Bretagna di Chateaubriand, le coste baltiche di Fontane, l’Africa di Blixen. Perciò, nel ricreare un’atmosfera, importa anzitutto rievocare ciò che resta nella nostra memoria – diretta o indiretta che sia – di quei luoghi. Il che implica, a monte, che uno scrittore contempli la vita intorno a sé, oltre il proprio ombelico”.

Che tipo di lettore deve essere un aspirante scrittore?

“Onnivoro. Se l’uomo è ciò che mangia, lo scrittore è ciò che legge. E il proprio bene si trova spesso là dove non si penserebbe. Nella prima bozza dell’introduzione a Sesamo e i gigli Proust scrive:

‘Fin dall’infanzia leggiamo in modo attivo e personale, il libro per noi è la porta aperta su tutte le strade che si protendono fino alla fine del mondo’. Perciò vanno evitati quelli che Furio Jesi definì non libri ma “feticcio che serve a dare il piacere che deriva dalla riduzione della fatica di pensare”. Perché ha ragione August Macke: ‘Creare forma è essere vivi. Imitare la forma è fingere di essere vivi’. In letteratura, ne sono convinto, il meglio si trova fra gli interstizi e nel connubio fra generi. I frutti puri impazziscono”.

C’è qualche domanda che le sembra che un autore, o aspirante tale, debba sempre porsi prima di mettersi a scrivere?

“Sento davvero la necessità di scrivere questa storia? Il mio lettore ideale sentirebbe la necessità di leggerla? Quanto mi cambierà, dopo che l’avrò scritta?”

Se dovesse dare un unico consiglio a un aspirante scrittore, quale sarebbe?

“Vivere e leggere. E se ogni libro è un viaggio, e lo è, non avere fretta, evitare villaggi turistici, mete alla moda e viaggi organizzati, saper guardare, saper scoprire, anche nei luoghi meno esotici, dietro casa. Quel che è alla moda invecchia, si butta. Ciò che è autentico resta”.