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Ultimo giorno al salone (ore di sonno: non pervenute)

di
Ignazio Tarantino
Il primo quarto d’ora l’ho passato rigirandomi tra le mani Sto bene, sfogliandone alcune pagine, leggendo qua e là. Eppure mi ero ripromesso che una volta pubblicato non l’avrei aperto per un bel po’!
La notte prima del mio ultimo giorno al Salone ho fatto un sogno. Ero sulla strada di casa e mi venivano incontro mio fratello e le mie sorelle, con i miei cognati e i loro figli. Sembrava stessero partendo per una gita domenicale fuoriporta e, incrociandomi, mi dicevano che mio padre e mia madre mi stavano aspettando per parlare di Sto bene. E se ne andavano così, allegri, lasciandomi solo davanti al cancelletto di casa e alle mie responsabilità. Poi alzavo lo sguardo e vedevo affacciati al balcone mio padre e mia madre che si sbracciavano e mi salutavano come quando si rivede un parente dopo tanto tempo.

Il primo appuntamento del giorno era alle 11 nell’Auditorium per l’incontro con Massimo Gramellini. Perfetto. Avevo più di un’ora per fare colazione, preparare il bagaglio, doccia e check-out. Non potevo far tardi. Almeno così credevo… Ma non avevo calcolato il rallentamento fisiologico dovuto alle poche ore di sonno e al devastante mal di testa del dopo festa.

Il primo quarto d’ora l’ho passato rigirandomi tra le mani Sto bene, sfogliandone alcune pagine, leggendo qua e là. Eppure mi ero ripromesso che una volta pubblicato non l’avrei aperto per un bel po’!

Mi sono infilato i pantaloni della tuta e la T-shirt ormai imbevuta degli umori accumulati in due giorni di Salone e sono sceso a fare colazione. Ero vicino al dispenser dei corn-flakes con la ciotola in mano, ma poco più in là faceva bella vista di sé un vassoio con ammonticchiati attraenti esemplari di pasticceria, tra cornetti trasudanti crema al cioccolato e bomboloni spolverati di granella di zucchero. Se qualcuno mi avesse osservato in quel momento avrebbe visto un tizio spettinato, poco dissimile da un senzatetto con gli occhiali da sole, che faceva la spola dal vassoio di dolci al distributore di sani fiocchi di mais senza decidersi sul tipo di colazione da fare. Alla fine mi sono detto che dovevo festeggiare e ho optato per non una ma due paste alla crema.

La sala della colazione era praticamente una succursale del Salone. Non si sentiva parlar d’altro che di editori e autori, nuove uscite, acquisizioni, recensioni e copertine. Poco dopo ho intravisto due figure aggirarsi per il buffet come zombie. Erano le mie compagne di avventura postcenadegliautori: una visione celestiale e il primo abbraccio del giorno. Ci siamo scambiati alcuni consigli per il dopo-sbronza e ci siamo dati appuntamento dopo mezz’ora nella hall: praticamente un’utopia.

Arrivato davanti alla porta della mia camera mi sono reso conto di non avere la chiave, lasciata in sala colazione. Sono tornato a prenderla e, visto che c’ero, ho dato un’occhiata ai quotidiani. Tornato su e pronto a infilarmi nella doccia, ho ricevuto una telefonata da mio fratello. Aveva letto il mio libro tutta la notte e ne avremmo parlato per ore se non ci avesse interrotto la chiamata dalla reception: ero atteso dalle mie compagne a cui ho preferito dire di andare e che le avrei raggiunte presto al Lingotto.

Presto voleva dire nel giro di un’ora. Comunque alla fine ce l’ho fatta e grazie al prezioso pass e alla parola magica “Longanesi”, sono riuscito a superare senza intoppi cordoni e posti di blocco. Davanti all’Auditorium centinaia di persone, alcune ancora in attesa di entrare al reading di Gramellini già iniziato, altre che aspettavano l’arrivo del mio sindaco Renzi per l’incontro successivo. Erano le 11 e 30. L’Auditorium strapieno. Seduti al centro del palco Gramellini con due attori: sua moglie, Elisa Galletta, e Pino Ammendola; dietro di loro il primo piano dello scrittore su un maxischermo. Sarei rimasto in piedi in fondo alla sala, di fianco a un paio di agenti della polizia che mi tenevano sottocchio («È appena entrato un tipo sospetto con pantaloni rossi, T-shirt giallo sparato e felpa nera con cappuccio») se non mi fosse venuto incontro l’addetto stampa dell’editore a dirmi che avevo un posto riservato in prima fila. Ero indeciso se farmi tutta la galleria e la platea per arrivare lì davanti ma poi mi sono detto: quando mi ricapita di avere un posto riservato in prima fila?

Gramellini ha un grande dono, quello di saper incantare con le parole, di farti sentire in pace con te stesso, di rassicurarti. A sentirlo parlare sembra subito uno di casa, un amico, un parente. A un paio di poltrone di distanza da me era seduto Guglielmo, il mio editor, che si è girato a guardarmi e ha fatto un sorriso che voleva dire «Hai fatto le ore piccole?»
Di lui Gramellini ha scritto che è cortese ma implacabile ed è vero. Durante il lavoro di editing è stato molto rispettoso nei confronti del testo ma fermo quando c’era da contenere i miei eccessi proustiani da un lato (frequenti) o Mocceschi dall’altro (rari). L’incontro non poteva concludersi che con un augurio: fai bei sogni. E mi è sembrato che fosse rivolto proprio a me, come credo sia capitato a gran parte del pubblico.

Le ultime ore passate al Salone sono state come ai vecchi tempi, quando ci andavo da lettore. Pizza, patatine fritte e un birra sotto gli ombrelloni rossi all’esterno lato sala blu, con un bel sole, in compagnia di Barbara e Lucilla, a osservare la gente mangiare, parlare e leggere libri freschi di stampa.
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