Consigli degli editor

Fare soldi scrivendo libri: ieri, oggi, domani. Il guadagno degli autori sugli e-book

di
Oliviero Ponte Di Pino
Si può davvero diventare ricchi scrivendo e pubblicando romanzi? Oggi cerchiamo di capire quanto guadagna uno scrittore dalla pubblicazione in e-book

Nella puntata precedente abbiamo visto se e come si può diventare ricchi scrivendo libri. Ora cerchiamo di capire qual è il guadagno di uno scrittore sugli e-book.

Lo stesso meccanismo di remunerazione della copia cartacea è stato applicato agli e-book. L’autore riceve una percentuale sul prezzo di ogni copia venduta, con percentuali diverse considerata la riduzione dei costi: i diritti vanno dal 20% dei grandi editori al 70% delle piattaforme di self publishing (al netto delle spese).

In teoria, non è cambiato nulla ed è sempre possibile far (molti) soldi con i libri elettronici esattamente come accadeva con i libri di carta.

In pratica la situazione è un po’ più complicata. In genere i libri elettronici hanno un prezzo leggermente inferiore al corrispondente libro di carta: solo un piccolo sconto, perché gli editori “tradizionali” non vogliono fare eccessiva concorrenza al loro core business e alienarsi i librai (salvo le operazioni di sconti e supersconti temporanei consentiti dal commercio elettronico).

Tuttavia moltissimi libri elettronici, soprattutto quelli auto-pubblicati, vengono venduti a prezzi bassissimi, come il classico 0,99 €. Per accumulare significativi diritti d’autore sono necessari volumi di vendita enormi, un traguardo che quasi nessuno raggiunge.

Se quelli degli e-book sono dunque spesso micropagamenti, quelli che incassano autori ed editori di micronarrativa sono ancora più microscopici. nanoism.net, il sito curato da Ben White che pubblica testi lunghi al massimo 140 battute e li posta su twitter, ricompensa gli autori dei testi selezionati con nanopagamenti: attualmente 1,50 $ per una nanostoria, 5 $ per un nanoserial di 3-7 puntate.

Il passaggio al digitale comporta una mutazione ancora più profonda, che investe la natura stessa del prodotto culturale, all’interno di un più ampio processo di commodification.

I libri (ma anche le canzoni o i giornali) da bene di consumo (cioè un oggetto che si può vendere e comprare) diventano un servizio di cui si può usufruire, senza però possedere alcun oggetto materiale. È per questo motivo che l’Unione Europea differenzia l’IVA tra cartaceo e digitale: in Italia pesa il 4% per il bene di consumo e il 22% per il servizio.

Siamo nell’economia della condivisione. Non è più necessario possedere un’automobile o un utensile, basta avere la possibilità di usarlo. Lo stesso vale per i libri, che non si possono accumulare in case che si sono fatte sempre più piccole. Insomma, per un libro basta avere la possibilità di leggerlo. È la libertà apparentemente infinita della sharing economy di cui parla Evegnij Morozov, dove «quelli che non possiedono nulla hanno l’illusione di una vita comoda, affittando beni altrui».

La condivisione può interessare anche il cartaceo: la app Pickmybook (ideata dalla giovane torinese Arianna Cortese) consente di condividere libri usati ed è particolarmente apprezzata per procacciarsi libri di testo.

Per quanto riguarda gli e-book, le biblioteche pubbliche sono state le prime a sperimentare articolate forme di condivisione, vincendo le resistenze degli editori. Un volume cartaceo può essere preso in prestito da un solo utente alla volta, ma una volta scaricato il file una biblioteca in teoria può far leggere contemporaneamente un e-book a un numero infinito di lettori. Per gestire e regolare il processo (e limitare il numero di condivisioni) sono state create apposite convenzioni e piattaforme (in Italia MLOL).

Quello della commodification è un processo che prima dei libri ha interessato la musica (con servizi come Spotify, i-Tunes/Apple Music e Google Play Music) e il cinema e la televisione (Netflix). In rete sono attive da tempo piattaforme di condivisione di testi come Scribd e Oyster. Nel 2014 si è affacciata al settore anche Amazon.

«Tocca guardare il contesto più ampio. I libri non competono solo con i libri. I libri competono con Candy Candy, Twitter, Facebook, i film in streaming, i giornali che leggi gratis. È un mondo nuovo. Ed è molto importante non limitarsi a costruire un fossato intorno all’industria che cambia» (Corriere della Sera, 19 luglio 2014): così Russel Grandinetti, vicepresidente di Kindle for Amazon, ha spiegato la filosofia di Kindle Unlimited, un servizio che per 9,99 dollari al mese offre accesso illimitato a una biblioteca digitale di volumi elettronici e audiolibri.

Alla piattaforma non hanno aderito molti grandi gruppi editoriali: «Non si possono appiattire i libri, metterli sul mercato tutti allo stesso prezzo, indipendentemente dalla qualità e dal valore», ha obiettato Stefano Mauri (la Repubblica, 5 novembre 2014).

Peraltro un sistema analogo è adottato da alcune testate giornalistiche online, che pagano (o premiano) i collaboratori sulla base dei numero dei clic, dei “mi piace” e delle condivisioni.

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