Le quattro funzioni del titolo di un romanzo

Ammettetelo: il vostro manoscritto è come un bambino. Perché, che ci abbiate messo nove, dodici, ventiquattro o sessanta mesi, quando l’avete finito ed è lì davanti a voi l’emozione è grande. Perché l’avete scritto voi. Perché è stato frutto di pensamenti, ripensamenti, correzioni, ispirazioni, disciplina e tanto, tanto lavoro. E scegliere il titolo per il romanzo che avete scritto è un po’ come dare un nome a quello che ormai è diventato quasi il vostro bambino.

Il titolo è molto importante. È come un biglietto da visita. Come un primo messaggio. Certo non tutto dipende dal titolo, ma pensate: il libro, se verrà pubblicato, viaggerà lontano verso i banchi delle librerie. E dovrà essere ben visibile, svettare rispetto agli altri. I concorrenti sono tanti e vari. Il vostro libro, quando sarà su quei banchi, dovrà attirare l’attenzione.
Dare un titolo al vostro manoscritto è come donargli una voce sottile che dica a chi lo sta guardando: «Ehi, lettore, lettrice, io sono qua. Prendimi, e leggi il risvolto di copertina».
Perché questo avvenga ci sono due elementi fondamentali: il titolo è uno di questi, la copertina (di cui parleremo più avanti) è l’altro.
Il titolo deve rispondere a diverse funzioni.
1) Deve essere accattivante, e per esserlo deve per lo più veicolare un’emozione. Ma che tipo di emozione? Dipende dal genere di libro. Provate a pensarci. Che emozione volete veicolare? Serenità? Tensione? Attesa? Mistero? Speranza? Per farvi capire quello che intendo prendo ad esempio un titolo che per me è un capolavoro, ovvero Sogno di una notte di mezza estate. Dice tutto, senza svelare troppo. C’è il sogno, la tensione emotiva. C’è la notte, quindi il mistero, la tensione. C’è l’estate, quindi l’amore, la gioia. Che però è mezza. Quindi non è ancora completa, non può essere goduta appieno.
2) Deve generare una domanda nella testa del lettore e per questo deve spiazzare. Provate a pensare a Entra nella mia vita di Clara Sánchez. Lo leggete e vi chiedete: cosa mi devi dire? Cosa devo scoprire? Chi sei?
3) Deve spiazzare. Pensate a Avevano spento anche la luna di Ruta Sepetys. È poetico e allo stesso tempo contiene un nucleo di senso nella cui contraddizione apparente si apre lo spazio narrativo. E così anche La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano.
4) Deve trasportare in un’altra dimensione, deve far evadere. La casa degli spiriti della Allende o Il profumo delle foglie di limone sono due titoli capaci di portarti altrove.
Questi sono i principi generali. Ci sono poi diverse regole che si stabiliscono e che poi vengono regolarmente smentite.
Ad esempio i titoli in inglese non funzionano, si diceva una volta. E poi è uscito Twilight.
Oppure, ancora: i nomi propri non attirano… Ma ditelo al Mondo di Sofia (ma anche all’intramontabile Anna Karenina 🙂 )
Certo tutto è relativo e le regole sono state stabilite per essere infrante…
Ma c’è un ultimo consiglio relativo al metodo per trovare un buon titolo a cui tengo particolarmente. So che solitamente gli scrittori si dividono in due categorie: chi parte dal titolo e poi inizia a scrivere (approccio sicuramente affascinante) e chi invece dà alla sua opera un titolo provvisorio e poi decide dopo.
A qualsiasi categoria apparteniate, fate decantare il vostro libro prima di decidere quello che secondo voi è il titolo definitivo.
Staccatevi un po’ dalla vostra opera. E poi tornateci sopra e decidete.
Il distacco è fondamentale, dovete imparare a guardare il vostro manoscritto come se non ne sapeste nulla. Come se vi avvicinaste a lui per la prima volta. Come se non ricordaste più il momento della sua nascita.
Pensate al libro come se fosse una torta. La tirate fuori dal forno. Se la lasciate decantare un po’, poi è più buona. Parola della nonna!

Due consigli per trovare il titolo giusto al vostro romanzo

Il titolo può essere lì, fin dall’inizio, come un gancio a cui attaccare tutto il resto del libro, o come una fonte di energia inesauribile. Oppure il titolo è una luce in fondo al tunnel, verso cui dirigersi pagina dopo pagina, frase dopo frase.

In altri casi, o per altri scrittori, resta a lungo soltanto un promemoria, una sintetica etichetta per sintetizzare una realtà molto più complessa: tanto per trovare il titolo definitivo c’è sempre tempo…

Però a un certo punto bisogna pur sceglierlo, il titolo. E bisogna farlo bene, perché questo il vero biglietto da visita di un libro…
Per esempio, come leggeremmo l’Ulysses di James Joyce, si chiedeva Umberto Eco, se avesse un titolo diverso?
Il titolo è parte integrante di un libro – e azzeccarlo è un ingrediente fondamentale della sua fortuna… soprattutto se l’autore è un esordiente.Basti pensare alla fortuna di romanzi come Va dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Fai bei sogni di Massimo Gramellini: titoli che “bucano” e trasmettono la tonalità emotiva fondamentale del romanzo.


Ma come trovare il titolo giusto?

Per Milan Kundera, «qualunque mio libro potrebbe intitolarsi L’insostenibile leggerezza dell’essere oppure Lo scherzo o Amori ridicoli, i titoli sono intercambiabili, riflettono il piccolo numero di temi che mi ossessionano, mi definiscono e, sfortunatamente, mi limitano. Al di là di questi temi, non ho nulla da dire o da scrivere». Insomma, titoli generici e però assai evocativi.

Con grande pragmatismo, l’editore Alfred Knopf rimproverava così Dashiell Hammett: «Dovresti occuparti e preoccuparti un po’ di più dei tuoi titoli. Quando una persona non riesce a pronunciare il titolo o il nome dell’autore, si intimidisce e non osa più entrare in libreria per chiedere quel libro. Capita più spesso di quanto tu non creda.» Bisogna tenere d’occhio il lettore – anche come acquirente…

Nella ricerca della soluzione migliore, numerosi titoli sono stati cambiati in corso d’opera, dagli autori o dagli editori. Così non possiamo leggere Prime impressioni di Jane Austen (Orgoglio e pregiudizio), Il cuoco di mare di Robert Louis Stevenson (L’isola del tesoro), La balena di Hermann Melville (Moby Dick), Giuda: una storia di Cristo di Joseph Sinkiewicz (Ben-Hur), L’ultimo uomo d’Europa di George Orwell (1984), Il regno vicino al mare di Vladimir Nabokov (Lolita), Prima di questa rabbia di Arthur Hailey (Radici), Gli uccelli e le api di Woody Allen (Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete osato chiedere))
Un titolo di indiscutibile efficacia come Via col vento è stato preceduto, mentre Margaret Mitchell scriveva il suo capolavoro, da Pansy (così si chiamava in origine la protagonista Scarlett O’Hara), da Tote the Weary Load (il verso di una canzone) e da Domani è un altro giorno (l’indimenticabile frase dell’indimenticabile Scarlett).
David Herbert Lawrence ha cambiato molto spesso, con decisioni tormentate ma felici, i suoi titoli:
Paul Morel è diventato Figli e amanti, John Thomas e Lady Jane è diventato L’amante di Lady Chatterley, Le sorelle è diventato L’arcobaleno e L’anello matrimoniale è diventato Donne in amore.Anche Adolf Hitler aveva dato a Mein Kampf un altro titolo:
Quattro anni e mezzo di lotta contro le menzogne, la stupidità e la vigliaccheria, dimostrando, ha commentato Tim Foote sul «Time», che per qualunque autore è meglio avere un buon editor.


LA CURIOSITÀ

La rivista inglese «The Bookseller» assegna dal 1978 tramite referendum il Diagram Prize al titolo più curioso dell’anno. Tra i vincitori del prestigioso riconoscimento, The Madam as
Entrepreneur: Career Management in House Prostitution
(lett. La Madama come imprenditore. La gestione delle carriere nelle «case», 1979), The Joy of Chickens (lett. La gioia dei polli, 1980), The Book of Marmalade: Its Antecedents, Its History and Its Role in the World Today (lett. Il libro della confettura d’arance: i suoi antecedenti, la sua storia e il suo ruolo nel mondo contemporaneo, 1984), Oral Sadism and the Vegetarian Personality (lett. Il sadismo orale e la personalità vegetariana, 1986), How To Shit in the Woods: An Environmentally Sound Approach to a Lost Art (lett.
Come cacare nei boschi: un approccio ambientalisticamente consapevole a un’arte perduta, 1989), Reusing Old Graves (lett. Riciclare tombe usate, 1995), The Joy of Sex: Pocket Edition (lett. Le gioie del sesso: edizione tascabile, 1997), People Who Don’t Know They’re Dead: How They Attach Themselves to Unsuspecting Bystanders and What to Do About It (lett. Quelli che non sanno di essere
morti: come si appiccicano ai passanti inconsapevoli e come affrontare la situazione
, 2005), fino a The Stray Shopping Carts of Eastern North America: A Guide To Field Identification (lett. I carrelli della spesa randagi nell’America del Nord-Est: una guida all’identificazione sul campo, 2006).


IL CONSIGLIO NUMERO UNO: IL METODO HEMINGWAY

Ernst Hemingway i titoli dei suoi romanzi li sceglieva così: «Faccio un elenco di titoli dopo aver finito il racconto o il romanzo – a volte addirittura cento. Poi inizio a cancellarli, e a volte li cancello tutti.»

IL CONSIGLIO NUMERO DUE: IL METODO COPIANCOLLA
Prendete le classifiche dei bestseller degli ultimi anni. Volendo, potete restringere la selezione al genere del vostro romanzo e alle relative classifiche. Copiate pazientemente i titoli e contate le parole che ricorrono con maggiore frequenza. Scegliete i termini che meglio si adattano al vostro romanzo e combinateli meglio che potete:
otterrete così un titolo che punta dritto ai vertici della classifica.

Se volete dare maggiore scientificità alla procedura, potete utilizzare un fattore correttivo, sommando per ogni parola presente nei titoli in classifica l’indice di vendita dei libri in cui compare.
Otterrete così una classifica delle parole bestseller, che faciliterà senz’altro il vostro compito.

Potete verificare, con un rapido sopralluogo in libreria, che molti editor utilizzano proprio questo metodo per scegliere i titoli dei romanzi che pubblicano.

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Come cominciare un romanzo?

Come si scrive un romanzo? In che modo cominciare?

C’era una volta… Era una notte buia e tempestosa… Quel ramo di lago di Como… Nel mezzo del cammin di nostra vita…
Creare atmosfera, dire dove ci si trova, dare qualche indicazione sul protagonista, fornire qualche elemento della storia, così che il lettore possa cominciare a immaginarsela. Sono tutti buoni modi. Bisogna stupire senza esagerare, coinvolgere, incuriosire, far filtrare un’emozione, far scattare un senso di immedesimazione o portare via, lontano, subito.
Difficile, ma importante. Chi in libreria non controlla la copertina, o magari la quarta, o l’aletta e poi, quello che fa la differenza vera, le prime righe, per capire se vale la pena andare avanti? Sta tutto lì.
Si dice “Chi ben comincia è a metà dell’opera”. Forse a metà è un po’ troppo, forse è solo a buon punto. Ma, di certo, chi mal comincia è a un punto morto e rischia di non andare da nessuna parte.

Diciotto esempi perfetti per iniziare un libro

«Fate attenzione a quello che ora vi racconto.» Bohumil Hrabal, Ho servito il re d’Inghilterra, 1971

Mi sembra che gli editor che mi hanno preceduto lo abbiano già detto varie volte, ma ci tengo a ripeterlo: al momento della lettura e della selezione di un manoscritto, per un editor l’incipit non è fondamentale perché può sempre essere riscritto o totalmente cambiato dall’autore prima della pubblicazione.
Fondamentali in un manoscritto, almeno per me, sono invece uno stile personale ed efficace e una storia originale e coinvolgente. Stile e storia, durante l’editing, possono essere certamente migliorati, ma non possono in alcun modo essere ricreati dal nulla: o ci sono o non ci sono.

 
 

Un editor che interrompesse la sua lettura dopo un incipit insoddisfacente correrebbe il rischio di farsi sfuggire libri bellissimi. E la storia della letteratura mondiale, piena di capolavori con incipit davvero poco significativi, se non insignificanti, è lì a ricordarlo.
Detto questo, ritengo che un buon incipit possa invece aiutare un libro a farsi strada nell’affollatissima giungla delle librerie: sono molti i lettori che, incuriositi da un titolo o da una copertina, aprono il libro e ne leggono le prime righe per decidere se è proprio quello il libro di cui hanno voglia e bisogno.
Il primo compito di un incipit sarà quindi quello di sedurre e incuriosire il lettore, dargli una promessa di felicità nella consapevolezza che quella promessa andrà però mantenuta. Si tratta infatti di un vero e proprio impegno che lo scrittore prende con il suo lettore: “io ti offro questi ingredienti, fidati di me, leggimi e non resterai deluso”.
E poiché non c’è nulla di peggio di una promessa non mantenuta, per lo scrittore sarebbe un vero boomerang apparecchiare un incipit pirotecnico che non abbia niente a che fare con il resto del libro: ne otterrebbe solo un lettore deluso e rancoroso.
Ricapitolando: seduzione, patto con il lettore e niente effetti speciali che nascondano il nulla.
L’autore deve essere come l’«oste onesto e benintenzionato» di cui si parla nell’incipit di un capolavoro inglese del Settecento:
«L’autore dovrebbe considerare se stesso non come un gentiluomo che offra un pranzo in forma privata o d’elemosina, bensì come il padrone d’una taverna aperta a chiunque paghi. Nel primo caso, colui che invita offre naturalmente il cibo che vuole, e quand’anche questo sia mediocre e magari sgradevole ai loro gusti, gli ospiti non debbono protestare; ché l’educazione impone loro d’approvare e lodare qualunque cosa venga loro posta dinanzi. Proprio il contrario accade al padrone d’una taverna. Quelli che pagano vogliono dar soddisfazione al proprio palato, anche quando questo sia raffinato e capriccioso, e se non è tutto di loro gusto, si sentono in diritto di criticare, di protestare, d’imprecar magari contro il pranzo, senz’alcun ritegno.
Ecco perché, per non deludere i clienti, l’oste onesto e benintenzionato espone in genere una lista delle pietanze, a cui tutti, appena entrati nella taverna, possono gettare uno sguardo; ed essendosi resi conto di quel che c’è, possono rimanere gustando ciò che vien loro offerto, oppure andarsene altrove dove la lista meglio s’accordi coi loro gusti.»
Henry Fielding, Tom Jones, 1749
L’autore-oste deve quindi offrire un incipit che sia al tempo stesso attraente e in sintonia con il resto del pranzo-romanzo.
Senza nessun intento canonico, trascriverò sotto alcuni incipit di grandi romanzi che ritengo molto efficaci, seppure in modi diversi.Poiché molti, troppi romanzi iniziano con la descrizione fisica del protagonista, un buon incipit ‘descrittivo’ sarà quindi quello che riesce in qualche modo a differenziarsi dalla massa.
In questo caso, per esempio, sfruttando la lettera V:
«La mascella di Samuel Spade era ossuta e pronunciata, il suo mento era una V appuntita sotto la mobile V della bocca. Le narici disegnavano un’altra V, più piccola. Aveva occhi giallo-grigi, orizzontali. Il motivo della V era ripreso dalle spesse sopracciglia che si diramavano da due rughe gemelle al di sopra del naso aquilino e l’attaccatura dei capelli castano-chiari scendeva a punta sulla fronte partendo da un’ampia stempiatura. Somigliava, in modo abbastanza attraente, a un diavolo biondo.»
Dashiell Hammett, Il falcone maltese, 1930
In quest’altro, rendendo paradossale la stessa descrizione fisica:
 
«La protagonista femminile dell’azione, nella prima parte, è una donna di quarantotto anni, germanica: alta m 1,71, pesa kg 68,8 (in abito da casa), perciò ha solo 300-400 grammi meno del peso ideale.»
Heinrich Böll, Foto di gruppo con signora, 1971
Un romanzo umoristico deve preferibilmente riuscire a essere umoristico fin dall’incipit:
«Alle 7 del mattino, Carl’Alberto entrò nella stazione di Roma e un facchino l’accompagnò al treno di Napoli.
– Veramente – osservò il giovane – io debbo andare a Firenze.
– Salga! – disse il facchino.
– Sempre prepotenze! – mormorò Carl’Alberto, prendendo posto nel treno di Napoli.»
Achille Campanile, Ma che cosa è quest’amore, 1927
Un incipit può far capire, sin dalle prime righe, che si avrà a che fare con un giallo:
«Il martedì di giugno in cui fu assassinato, l’architetto Garrone guardò l’ora molte volte.»
Fruttero e Lucentini, La donna della domenica, 1972
O con un noir:
«Interrotto dalla vecchia, venuta a vedere che cosa stava succedendo nella stanza accanto mentre doveva ancora terminare con la ragazza, l’assassino le saltò addosso senza una parola, la sollevò come se fosse un sacco dell’immondizia e le fece sfondare la pendola accanto alla porta d’ingresso, con una forza che neanche lui sapeva di avere. Non avrebbe potuto fare di meglio, constatò: era morta sul colpo.»
Derek Raymond, Il mio nome era Dora Suarez, 1990
Può immediatamente gettare il lettore in un universo paranoico e allucinato:
«Sento la polizia che si stringe, li sento lì fuori mentre fanno le loro mosse, mentre preparano le loro demoniache “bambole” degli informatori, borbottano sul cucchiaio e sul contagocce che ho buttato via alla Stazione di Piazza Washington, scavalco la porta girevole e le due rampe giù per le scale di ferro, ce la faccio ad acchiappare un treno “A” per il centro…»
William Burroughs, Il pasto nudo, 1959/62
«Una volta un tizio stette tutto il giorno a frugarsi in testa cercando pidocchi. Il dottore gli aveva detto che non ne aveva. Dopo una doccia di otto ore, in piedi un’ora dopo l’altra sotto l’acqua bollente a sopportare le stesse pene dei pidocchi, usci e s’asciugò, con gli insetti ancora nei capelli; anzi ne aveva ormai su tutto il corpo. Un mese più tardi gli erano arrivati fin dentro i polmoni.»
Philip K. Dick, Un oscuro scrutare, 1977
E può spiazzare da subito le normali attese del lettore, introducendolo in un romanzo che si diverte a sovvertire le regole della forma romanzo classica:
«Come si erano incontrati? Per caso, come tutti. Come si chiamavano? E che ve ne importa? Da dove venivano? Dal luogo più vicino. Dove andavano? Si sa dove si va?»
Denis Diderot, Jacques il fatalista e il suo padrone, 1796
«In una giornata dal cielo coperto ma luminosa, qualche minuto prima delle 4 pomeridiane del 1° aprile 192… (un critico straniero ha fatto rilevare che molti romanzi, per esempio tutti quelli tedeschi, iniziano con una data, ma solo gli autori russi, in virtù dell’originale onestà della nostra letteratura, tacciono l’ultima cifra), all’altezza del n. 7 di Tannenbergstrasse, in un quartiere occidentale di Berlino, si fermò un furgone per traslochi molto lungo e molto giallo.»
Vladimir Nabokov, Il dono, 1937
È molto difficile e rischioso, ma l’autore può decidere di sintetizzare nell’incipit i principi che andrà poi a svolgere narrativamente nel romanzo. Questo che segue è, a mio parere, uno dei non molti casi in cui una sfida del genere è risultata vincente:
«Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anch’io ho creduto fatale quanto poi si è rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato.»
Aldo Busi, Seminario sulla gioventù, 1984
Un incipit può attrarre l’attenzione del lettore puntando da subito su temi incandescenti come il dolore, il male, la morte, il peccato:
«Il mio vero nome è fin troppo noto, nelle carte e nelle cronache della prigione di Newgate e al tribunale dell’Old Bailey, e vi sono ancora pendenti faccende di gravità tale, riguardo alla mia specifica condotta, da far escludere che io possa firmare quest’opera o nominare la mia famiglia. Magari dopo la mia morte se ne saprà di più.»
Daniel Defoe, Moll Flanders, 1722
«Sono un uomo malato… Sono un uomo maligno. Non sono un uomo attraente.»
Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, 1864
«Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.»
Albert Camus, Lo straniero, 1942
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia.»
Vladimir Nabokov, Lolita, 1955
«La morte è sempre la stessa, ma ogni uomo muore alla sua maniera. Per J.T. Malone cominciò in una maniera tanto semplice e normale che per qualche tempo egli confuse la fine della vita con il principio di una nuova stagione.»
Carson McCullers, Orologio senza lancette, 1961
«Vaughan è morto ieri nel suo ultimo scontro. Nel corso della nostra amicizia, aveva fatto le prove della sua morte in molti scontri, ma il suo ultimo è stato proprio e semplicemente un incidente – l’unico.»
J.G. Ballard, Crash, 1973
Non posso non finire con il mio classico preferito:
«Poiché Lord Trelawney, il dottor Livesey, e altri gentiluomini mi hanno chiesto di scrivere la storia dell’Isola del Tesoro in tutti i suoi dettagli, dall’inizio alla fine, senza tralasciare nulla se non la posizione dell’isola, e questo solo perché esiste là tuttora un tesoro non ancora portato alla luce, prendo in mano la penna nell’anno di grazia 17… e torno al tempo in cui mio padre era proprietario della locanda “Ammiraglio Benbow” e il vecchio lupo di mare, abbronzato e sfregiato da un colpo di sciabola, prese alloggio sotto il nostro tetto.»
Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, 1883
Una locanda, un’isola, un tesoro non ancora scoperto e un vecchio lupo di mare sfregiato da un colpo di sciabola… Tutte le basi dei romanzi d’avventura condensate in pochissime righe.
Insomma, gli incipit belli ed efficaci sono tantissimi e tantissimi devono ancora essere scovati, scritti e felicemente letti.
Buona ricerca!

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