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"Non sono nostalgica": incontro con Zadie Smith

27 Ottobre 2023 |
di
Silvia Cannarsa
"Non sono nostalgica: perciò, se volevo scrivere un romanzo storico, dovevo farlo in maniera diversa...". Zadie Smith ci ha parlato del suo nuovo nuovo libro, "L'impostore", tratto da una truffa realmente accaduta. Anche i personaggi sono reali. Molti scrittori, tra cui Charles Dickens, verso cui l'autrice ci ha raccontato di avere sentimenti che si provano verso un genitore: gli scrittori inglesi (e non solo) arrivano tutti da lì. A ilLibraio.it la scrittrice spiega: "Per me è importante essere nel presente, capire cosa pensano le altre persone e cosa provano. Voglio sempre sapere cosa sta succedendo, ma non credo di volerlo sapere costantemente, con una notifica ogni trenta secondi sul mio telefono. Le cose le sai anche oltre il telefono, parlando con le persone. Ascoltando, stando nel mondo. Lo senti, lo percepisci. È nelle prime pagine dei quotidiani, è alla radio". E ancora: "Ogni giorno ci viene richiesto di prendere decisioni su base etica. Capire se una persona sia solo deludente, o cinica, oppure davvero cattiva, è una capacità umana. Voglio scrivere libri che esercitino quella capacità..."

Zadie Smith è una rockstar della letteratura inglese. Annata 1975, ha esordito giovane, giovanissima, nel 2000, con il suo sorprendente e maturo Denti bianchi (Mondadori, traduzione di Laura Grimaldi), un romanzo che è diventato in poco tempo un classico contemporaneo.

Il critico statunitense James Wood ha persino coniato un genere per descrivere lei e altri autori che come lei peccavano, secondo Wood di manierismo e grandiosità, il realismo isterico. Una definizione che Smith si è appuntata al petto e ha esibito con orgoglio, dimostrando di essere già allora la grande autrice che poi è stata riconosciuta negli anni.

Denti bianchi zadie smith

Da quel momento ne è passata di acqua sotto i ponti. Altri romanzi, L’uomo autografo, Della bellezza (Mondadori, traduzione di entrambi di Bernardo Draghi), che è stato anche finalista al Booker Prize del 2005, l’onirico NW, Swing Time (Mondadori, traduzione di entrambi di Silvia Pareschi), la raccolta di racconti Grand Union (Mondadori, traduzione di Silvia Pareschi) e  gli amati saggi Feel Free e Questa strana e incontenibile stagione (Big Sur, traduzione di entrambi di Martina Testa).

Feel free. Idee, visioni, ricordi zadie smith

Noi de ilLibraio.it l’abbiamo incontrata in una mattinata milanese nella piccola sala di un hotel per farci raccontare qualcosa in più sul suo nuovo libro, L’impostore (Mondadori, traduzione di Dario Diofebi).

Un romanzo storico, ambientato nella polverosa Londra dell’ottocento, così vibrante di vita, di fumo di pipa e di scrittori. Ed è proprio di loro che parla anche il libro: scrittori realmente vissuti che vengono affiancati da personaggi inventati.

Di origini anglo-giamaicane, Zadie Smith ha vissuto anche in Italia per qualche tempo.

Quando l’abbiamo incontrata, attendeva la sera perché le venisse conferito un premio che le sarebbe consegnato direttamente dal Sindaco Giuseppe Sala, il Sigillo della Città di Milano per meriti letterari, in occasione di Bookcity. Alla premiazione poi, quella sera del 17 ottobre, ha detto che sarebbe stata più felice se le avessero conferito un nuovo passaporto, oltre che il premio. Smith ha infatti vissuto a lungo negli Stati Uniti, e aveva preso la cittadinanza lì. Ora è tornata nella sua Londra.

Il sigillo della Città: un’onorificenza importante…
“Sono molto contenta, anche se davvero non riesco a immaginare che forma avrà… Sarà quadrato, rettangolare? Di carta? (ride, ndr)”.

Il suo romanzo tra le altre cose è la storia di Eliza Touchet, cugina e governante (e molto altro ancora, in effetti), dello scrittore William Ainsworth e di sua moglie Frances, prima, e della seconda moglie Sarah, dopo.

Racconta, attraverso gli occhi di Eliza e della sua famiglia, la vera vicenda legale di un tale – un macellaio di nome Arthur Orton – che si spacciò per il baronetto Roger Tichborne annegato in mare dieci anni prima, per riscuotere l’eredità della madre appena morta. Madre che, in realtà, lo aveva però riconosciuto come suo figlio. Quindi, chissà.

Un altro che lo riconosce, nonostante tutti i conoscenti e parenti di Roger Tichborne dicano che non è lui, è il suo servo Bogle, un giamaicano misterioso, di cui non si capiscono le intenzioni e la cui figura sarà per Eliza molto importante.

Zadie Smith L'impostore

A una prima occhiata quest’ultimo libro è completamente diverso a ciò a cui Smith ci ha abituato. I suoi romanzi precedenti sono infatti uno specchio della contemporaneità, dove relazioni, gerghi e dialetti si intersecano, confondono, raccontando una Londra giovane, moderna e travolgente.

L’impostore è invece ambientato in epoca vittoriana, e in apparenza è saldo nel suo tempo. Eppure ciò non deve ingannare: anche in quest’occasione Smith usa gli artifici della narrativa moderna, flashback, montaggio alternato, un punto di vista mobile e non sempre affidabile, e una lingua che, per quanto credibile, non appartiene certo all’età vittoriana.

Smith, lei in un pezzo che ha scritto per il New Yorker per parlare del romanzo storico, ha raccontato che gli scrittori inglesi si trovano a un certo punto a fare i conti con questo genere, una specie di condanna che arriva da lontano, Charles Dickens, George Eliot… Ha definito, quello in cui cadono questi scrittori, un loop nostalgico molto stretto.
“È così. Tutti gli inglesi sono nostalgici: cose come i Take That, le Spice Girls tornano in scena dieci anni dopo essere scomparse e sono accolte come se fossero un grande momento di cultura del Paese. A pensarci è strano, perché so bene che quelle cose erano tremende, e che non migliorano certo col tempo. È insita nell’animo inglese, questa nostalgia estrema. Io non sono nostalgica: perciò se volevo scrivere un romanzo storico dovevo farlo in maniera diversa”.

Charles Dickens è onnipresente nella cultura inglese, lo era anche in vita. Com’è stato confrontarsi con lui? Farlo apparire nel suo romanzo? E anche ucciderlo a un certo punto de L’impostore?
“Sarebbe morto comunque, non l’ho ucciso io! Comunque è stato molto bello averci a che fare. Non riesco a immaginarlo solo come un antico uomo bianco. Prima di tutto penso che sia un mio collega. Arrivo da una comunità di scrittori, perciò gli sono vicina, spiritualmente e personalmente. Per questo è stato così bello scriverne. Non penso che fosse perfetto, anzi, ma non lo sono nemmeno io. È stato come avere a che fare con i propri genitori: non saresti qui se non ci fossero loro. Significa che sono perfetti? Certo che no! Ma sei la loro discendenza, lo senti”.

L’impostore (The Fraud, in inglese), gira intorno alla figura di un truffatore, un ciarlatano, che da un lato riconosciamo subito nella figura di Arthur Orton, ma, mano a mano che leggiamo, cominciamo a chiederci se non sia anche qualcun altro.
“La domanda ‘chi è l’impostore?’ è proprio l’obbiettivo del libro. È come se venisse posta direttamente al lettore. Se ci si pensa, ogni giorno ci viene richiesto di prendere decisioni su base etica. Capire se una persona sia solo deludente, o cinica, oppure davvero cattiva, è una capacità umana. Voglio scrivere romanzi che esercitino quella capacità”.

I luoghi sono vivi, Londra è reale, la riusciamo quasi a sentire nel suo sferragliare, quando Eliza, la protagonista, va in città, eppure non ci sono quasi mai descrizioni.
“Per gli scrittori dell’età vittoriana era importante descrivere tutto. La descrizione era indispensabile, perché probabilmente la maggior parte delle persone non avrebbe potuto vedere tutti i posti raccontati nei libri. A quei tempi scrivere era ricreare il mondo tramite il linguaggio. È esattamente quello che faceva Dickens. Io non lo faccio. Ora tutto quello che descrivi lo puoi trovare su Google. Puoi googlare anche i protagonisti de L’impostore: Eliza Touchet e William Ainsworth, lo giuro!”.

Ci parli dei personaggi, dunque. Eliza, in particolare, una donna dura ma che sa essere compassionevole; fredda, ma al contempo capace di grande amore. È un mistero.
“Amo Eliza. È la mia preferita. Forse è il mio personaggio preferito tra quelli che ho creato. È un’idelista, divertente, intelligente. Che posso dire, la amo! È stato molto divertente scriverne, e anche semplice da fare, tutto sommato”.

Questo è un libro che parla di scrittori. Mentre scriveva si è confrontata con altri colleghi?
“Sì, in particolare con un mio caro amico: Adam Thirlwell. Ha scritto un libro davvero brillante ambientato a Parigi nel XVIII secolo. Si chiama The Future Future (non ancora tradotto in Italia, ndr). Nel libro ci sono ragazzi e ragazze che si spediscono delle lettere in giro per la città, rispondendosi anche in giornata. Nel suo romanzo, quindi, è quasi come se i personaggi si spedissero delle mail, o dei messaggi sul telefono”.

Dev’essere stato complicato rendere questa velocità negli scambi di lettere…
“Anche lui non era interessato a scrivere del passato con un tono nostalgico; intelligentemente ha deciso di utilizzare un linguaggio contemporaneo, con parole ambivalenti, ma non troppo moderne. Abbiamo parlato a lungo del suo lavoro, e ammiro quello che ha fatto. Non volevo fare esattamente la stessa cosa, ma entrambi abbiamo voluto sperimentare con un linguaggio che non suonasse antico”.

C’è un altro tema che ritroviamo nascosto nelle pieghe del suo romanzo, il doppio, uno dei temi letterari per eccellenza. Recentemente Naomi Klein ha pubblicato un saggio proprio su questo, che si chiama appunto, Doppio (La nave di Teseo, traduzione di Andrea Terranova) .
“Non penso che i miei interessi siano insoliti. Spesso quando esce un mio libro c’è qualcun altro che sta parlando della stessa identica cosa. È un buon segno, vuol dire che sono nel flusso delle cose. Che vivo nella stessa realtà degli altri è confortante”.

Significa stare nel presente.
“Sì, per me è importante essere nel presente, capire cosa pensano le altre persone e cosa provano. Voglio sempre sapere cosa sta succedendo, ma non credo di volerlo sapere costantemente, con una notifica ogni trenta secondi sul mio telefono. Le cose le sai anche oltre il telefono, parlando con le persone. Ascoltando, stando nel mondo. Lo senti, lo percepisci. È nelle prime pagine dei quotidiani, è alla radio”.

A proposito, dove ha scritto L’impostore? In città, in campagna, davanti a una spiaggia…
“A Londra, la maggior parte. Davanti a un parco. Mio figlio andava a giocare a calcio e io mi mettevo a scrivere in un caffè lì davanti. Indossavo le cuffie e non importava quante persone avevo intorno, scrivevo”.

E, ci dica, si è divertita?
“Moltissimo”.

Fonte: www.illibraio.it

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