Consigli degli autori

Ho scritto un libro: come posso pubblicarlo?

di
Redazione IoScrittore
I consigli di Mirko Zilahy, traduttore e autore di un thriller best-seller per Longanesi

Come contattare una casa editrice? Come presentarsi per pubblicare il proprio romanzo inedito con un’importante casa editrice?

Continuano le interviste di IoScrittore agli autori che hanno pubblicato, per capire come è meglio muoversi nel complesso mondo dell’editoria. Dopo i i consigli per essere pubblicati di Marco Ghizzoni, i consigli di scrittura di Maurizio Maggi e i suggerimenti per arrivare alla pubblicazione di Roberto Centazzo e di Alice Basso, è oggi il turno di Mirko Zilhay, autore di un importante romanzo del genere thriller, È così che si uccide.
Per sapere di più vai alla biografia di Mirko Zilahy, autore e traduttore (E’ sua la traduzione dell’ultimo libro di Donna Tartt Il cardellino).
Come hai pubblicato il primo libro?

Per mesi ho assillato una persona che lavorava in un’agenzia letteraria dicendo che avevo scritto un thriller sui generis e che volevo un suo parere. Lei rispondeva: “Dai, fammelo leggere”. Ma non potevo, perché, come ogni scrittore sono un bugiardo e non avevo che sessanta pagine da darle. Poi un giorno, sapendo che sarei rimasto senza lavoro a breve, ho deciso di provarci e gliele ho mandate…
Puoi darci qualche consiglio su come presentare la propria opera a un agente letterario? 
Con una breve sinossi che dia le coordinate del genere, le caratteristiche salienti dei personaggi, qualche riferimento a romanzi di altri autori, una breve biografia e i primi capitoli.
Quali errori sono da evitare se si vuole pubblicare un libro con un editore importante?
Uno solo. Pensare che non sia possibile “arrivare” a un editore importante. Che l’editoria sia un mondo chiuso e riservato solo ai figli di, agli amici di… Gli editori veri, grandi e piccoli, sono sempre in cerca di nuove voci, di nuovi talenti.
Hai mai partecipato a un concorso letterario come IoScrittore? Che cosa ne pensi?
No, mai. Ma credo che siano delle buone palestre, dei luoghi in cui confrontarsi, un’occasione per farsi conoscere e provare ad attirare l’attenzione degli editori.
 
Che elemento di “novità” secondo te aveva il tuo thriller, tanto da attirare l’attenzione tra tante altre opere esordienti?
È difficile dirlo. Credo che È così che si uccide sia un mix: una Roma postindustriale mai raccontata, l’attenzione minuziosa alla mente dell’assassino, il vissuto del commissario Mancini, una scrittura un po’ fuori genere. La novità? Paradossalmente che è un romanzo che affonda le proprie radici in un’altra epoca.
Che cosa consigli a uno scrittore esordiente?
I miei consigli: avere alle spalle centinaia di letture appassionate, seguire l’istinto, la voce che sentiamo mentre scriviamo tenendo però vicino una mappa generale del romanzo per non perdersi nel mare magnum della scrittura. Scrivere il più possibile. Infine trovare un agente che creda e ami il tuo libro.
Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editore e con gli editor della casa editrice?
Mi ha dato la misura di tante cose. Io venivo da anni di lavoro a Roma, dove l’editoria è un prolifico laboratorio artigianale, dove si scoprono e si lanciano talenti. Ma mi sono sempre trovato dall’altra parte, al fianco dell’autore. Arrivare a Milano, a un editore come Longanesi, e dalla parte della scrittura sono stati elementi che mi hanno arricchito enormemente.
Mentre scrivi, pensi a un lettore ideale?
Quando scrivo penso a me, non esiste il lettore ideale. Esiste, ed è l’unico che bisogna ascoltare, il lettore interiore. Se quando rileggo mi emoziono come se non lo avessi scritto io allora per me va bene. Significa che il libro ha iniziato il suo processo di trasformazione, che si allontana da me e si prende il suo spazio nel cuore e nella mente dei lettori.
 
Un paio di cose che ti hanno detto i lettori sul tuo romanzo
Un collega che non ho la fortuna di conoscere personalmente mi ha scritto che È così che si uccide ha segnato una specie di rivoluzione in Italia, riportando la sensibilità e la delicatezza di Poe e Dylan Thomas nel thriller, dandogli una nuova vita. Un giudizio che mi tengo stretto! Tra i lettori ce n’è stato più d’uno che mi ha scritto della “necessità” di leggere altre storie di Enrico Mancini, della sua squadra nella mia Roma.  E io sto lavorando per loro.
Quando scrivi, parti da uno schema preciso?
Parto da un canovaccio e poi costruisco una mappa di capitoli con tutto quello che dovrebbe succedere in ciascuno di essi, ma poi accade che man mano che avanzo cambio idea, direzione, aggiungo e tolgo cose che stravolgono la mappa e devo rinunciare a seguirla.
Per l’incipit di È così che si uccide sono partito da un’immagine dickensiana scrivendo di un ragazzino rom che, in una piovosa notte di luna piena, entra nell’area dismessa del grande Gazometro, tra le fabbriche distrutte della Mira Lanza, le officine del gas e il vecchio mattatoio di Testaccio.
Per finire il libro ti dai dei tempi? Quando e dove scrivi?
I tempi sono un mix tra quelli editoriali e quelli familiari (ho due bambini piccoli!). Scrivo soprattutto di mattina. La notte serve per rielaborare e sperare che i sogni portino in dono qualcosa. Più di una volta mi è capitato di svegliarmi con una frase o un’immagine in testa e di correre ad appuntarmela prima che si dissolvesse.
Quando hai iniziato a scrivere, avevi un altro lavoro? Studiavi?
Quando ho iniziato a buttare giù idee e primi capitoli di È così che si uccide lavoravo in una casa editrice romana e facevo già il traduttore part time, collaborando con l’Università per Stranieri di Perugia come cultore della materia di Letteratura Inglese. E ho iniziato per mettermi alla prova, per vedere se riuscivo a lavorare sul linguaggio nell’unico modo che non avevo provato ancora, la scrittura di un romanzo.
 
Che importanza hanno le riscritture? Quando ti accorgi che il libro è finito, che è pronto per i suoi lettori?
Le riscritture sono necessarie, i ritocchi, gli assestamenti. Il romanzo è finite quando tutta la massa di materiale, delle parole, delle ricerche prende la forma della storia. E quando il mio editor in Longanesi mi dà il suo okay definitivo.
Chi ti ha dato consigli durante la stesura del libro? Li hai seguiti?
Gli unici che ascolto sono quelli della mia agente, Laura Ceccacci, del mio editor e di pochissimi, fidati, lettori a cui sottopongo la bozza del romanzo. Li ascolto e poi seguo la metà dei loro consigli.
Mirko Zilahy ha conseguito un Phd presso il Trinity College di Dublino, dove ha insegnato lingua e letteratura italiana. È giornalista pubblicista ed è stato editor per minimum fax, nonché traduttore letterario dall’inglese (ha tradotto, tra gli altri, il premio Pulitzer 2014 Il cardellino di Donna Tartt). È così che si uccide è il suo primo romanzo, più volte ristampato, del quale hanno detto: «Un thriller e molto di più: una scrittura che registra gli slittamenti della paura» Corriere della Sera e «Scorre come un fiume in piena» Sergio Pent, ttL, La Stampa.
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