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Detrazione del 19% sul prezzo dei libri: dove stiamo andando?

di
Stefano Mauri
In un bell'articolo su Repubblica, Rosaria Amato punta il dito contro l'ingiustizia culturale: libri, arte e teatro, scrive, non sono più per tutti. La crisi non solo acuisce le disparità di reddito, ma penalizza anche il consumo culturale delle fasce deboli.
In un bell’articolo su Repubblica, Rosaria Amato punta il dito contro l’ingiustizia culturale: libri, arte e teatro, scrive, non sono più per tutti. La crisi non solo acuisce le disparità di reddito, ma penalizza anche il consumo culturale delle fasce deboli.
Segnala le forti disparità geografiche della lettura (più intensa al Nord e nei centri urbani) e le disparità di classe (più alto il reddito più alti i consumi culturali). Infine ricorda come la promessa detrazione sull’acquisto di libri (che aveva fatto sognare anche noi), per mancanza di fondi finisce per diventare “un più modesto buono sconto da distribuire agli studenti delle scuole superiori con un reddito familiare sotto i 25mila euro“. I librai potranno recuperare lo sconto con un credito di imposta.
Alcuni giornali hanno dichiarato che questa detrazione fiscale sui libri diventa un bonus per i librai, in realtà lo sgravio rischia di diventare un boomerang per gli stessi librai: con i bilanci in rosso, in questi tempi di crisi per il commercio, i librai come possono essere sicuri di recuperare il credito di imposta?
Ora vediamo i 3 “sogni” di cui siamo vittime.
IL SOGNO DELLA RICCHEZZA? Era un sogno la detrazione sui libri, anziché quella su palestre e decoder degli anni passati, e come tutti i sogni è evaporato quando si sono fatti i conti sulle casse disastrate del nostro Stato. Uno Stato che sicuramente continua a spendere miliardi in cose di dubbia utilità sociale ma difficili da smantellare, perché protette da sistemi di potere, lobby e via dicendo.
IL SOGNO DELL’ISOLA-CHE-NON-C’È? Un altro sogno è quello di immaginarsi un Paese reale diverso da quello che è. Il Paese reale non è a immagine e somiglianza delle persone che le elite al potere frequentano. Il Paese delle elite ha nulla o poco a che vedere con il Paese reale.
Mi spiego meglio: nel 1986 Hoepli pubblicò la mia tesi di laurea che verteva proprio su questi temi. In quello studio rapportavo i consumi culturali degli italiani dei primi anni ’80 con diverse variabili. La conclusione: il consumo culturale e librario era correlato al reddito e al grado di inurbamento. La lettura per abitante e il numero di titoli prodotti per abitante erano infatti fortemente correlati allo sviluppo economico del Paese. Esattamente come riporta ancora oggi Repubblica. Un solo esempio: notavo nella mia tesi che la produzione culturale Coreana fosse superiore quantitativamente a quella italiana. Forse oggi, vedendo l’enorme sviluppo che ha poi avuto questo Paese asiatico e constatando che è in cima ai test mondiali sul livello di istruzione dei suoi abitanti, quella nota fa meno ridere… dunque cultura e sviluppo sono legati a filo doppio. Perché chi consuma formaggio non per questo diventa produttore di formaggio, viceversa il consumo culturale induce produzione culturale, creando un circolo virtuoso che produce anche sviluppo.
IL SOGNO CHE “IN ITALIA SI LEGGE POCO”? Dunque la famosa lamentela che “in Italia si legge poco” va relativizzata alla reale situazione di questo Paese. Il posto occupato dall’Italia nella lettura pro capite è coerente con vari altri indici pro capite. Semmai si può dire che gli Italiani spendono tanto in vestiti e telefonia mobile. Esistono ampie fasce di popolazione che le elite non frequentano abitualmente (perché non sono collocate nei centri urbani del potere e nelle classi di reddito a loro più vicine) che sono distanti mille miglia dalla prospettiva di leggere libri. In taluni casi non hanno i mezzi materiali per procurarseli e possiamo immaginare che abbiano problemi più urgenti da risolvere: il mutuo, le bollette, arrivare a fine mese.
Nel pezzo di Repubblica sopra citato mancano 3 considerazioni per completare il quadro sulla crisi e i consumi “intellettuali” in Italia:
  1. le indagini ISTAT sulla lettura possono contenere un margine di errore: a differenza di ciò che la stessa ISTAT sembra lasciare intendere, e cioè di un continuo incremento della lettura dal 1995 al 2012, ci sono stati cali effettivi del mercato editoriale, ad esempio nel 1999, in un contesto di generale ascesa di questo indice.
  2. queste indagini ISTAT trascurano la quantità di soldi spesi dagli Italiani per tablet e reader, che certo servono anche per i consumi culturali, e che aggiunte ai consumi culturali porterebbero a vedere che, nel complesso, gli Italiani per leggere spendono di più, e non di meno, anche se le multinazionali, le cosidette OTT, che poi contribuiscono ben poco con le loro tasse ai servizi di cui i cittadini hanno bisogno, pretendono una grossa fetta di questi soldi, sia per la vendita dell’hardware che per la vendita degli ebook, impoverendo la creazione culturale.
  3. la considerazione più importante: queste indagini individuano tra reddito e consumi culturali una relazione di causa effetto invertita, come numerosi studi più scientifici del mio hanno dimostrato. Il crescere del consumo culturale porta, sul medio periodo, ad una crescita del reddito. Questo è ancora in parte vero sia in relazione all’individuo che in relazione al Paese. L’affermazione: “a leggere sono soprattutto le persone abbienti” può essere ribaltata: le persone che nella loro vita hanno letto mediamente sono più abbienti…
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